Samuel Shimon, An Iraqi in Paris. An Autobiographical Novel, translated from Arabic by Samira Kawar, Paul Starkey, Issa J Boullata, Christina Phillips, Shaker Mustafa, Fiona Collins, Banipal Books, London 2005, pp. 252

Parigi è una città con una folta comunità araba – o sarebbe meglio dire con tante e diverse folte comunità arabe. Sì, perché, nonostante la lingua e alcune tradizioni che li uniscono tra loro, esistono differenze, a volte marcate, tanto che può dirsi che i maghrebini non saranno mai levantini, gli egiziani saranno sempre diversi da un tunisino o da un saudita, così come i libanesi non sono siriani, i palestinesi sono ancora altro e… gli iracheni? A chi assomigliano gli iracheni? Chi sono?

“Io sono iracheno, non arabo.”

“Che cosa significa – io sono iracheno, non arabo?” chiese l’uomo. Sembrava del tutto confuso. Fui costretto a ripetergli la solita lezione, ossia che l’Iraq si compone di diverse e antiche popolazioni quali gli Arabi, i Turcomanni, gli Assiri, gli Armeni, i Curdi, i Sabei e gli Ebrei. [p. 107]

Così scrive in An Iraqi in Paris. An Autobiographical Novel Samuel Shimon (Ṣamū’īl Šim‘ūn), classe 1956. Questo intellettuale, profondamente innamorato del cinema, e soprattutto di quello americano di John Ford, è un assiro d’Iraq. Un cristiano. Il nome, però, è fuorviante, dato che, nel leggerlo o nel sentirlo, la mente va subito al mondo ebraico. In effetti, lo scrittore ricorda, nel libro, di come, durante una delle sue brevi o brevissime permanenze nella Damasco della fine anni ’70, fosse scambiato per una spia israeliana, proprio a causa del suo ambiguo nome. E ricorda, inoltre, come né la sua appartenenza cristiana lo avesse sottratto alle torture dei Falangisti a Beirut, che lo credevano una spia siriana, né il suo essere arabo e monarchico gli avesse risparmiato la furia dei soldati del regime giordano nei primi anni ’80. Forse è anche per questo che Samuel Shimon è, prima di qualsiasi altra cosa, un iracheno e un intellettuale… e, ancor di più, un uomo da sempre appassionato di cinema americano e il figlio di un umile panettiere sordomuto infatuato della Regina d’Inghilterra e da piccolo chiamato affettuosamente Kikah. Questo nome, Kikah, ricorda ai cultori il sito specializzato in letteratura araba e creato proprio da Samuel Shimon, che è inoltre il co-fondatore e, dal settembre 2010, l’editore della ormai celebre rivista “Banipal”, dedicata al mondo culturale arabo.

Il volume An Iraqi in Paris. An Autobiographical Novel è la traduzione dell’originale arabo, ‘Irāqī fī Bārīs, anch’esso apparso nel 2005. Il libro qui presentato racchiude due scritti, An Iraqi in Paris [pp. 1-150] e The Street Boy and the Cinema. A Story of Childhood in Homage to John Ford [pp. 151-249], due storie autobiografiche molto diverse tra loro. La prima, infatti, raccoglie vari testi pubblicati nel corso degli anni sulla stampa che offrono il resoconto disincantato, vivace e accattivante delle avventure e tribolazioni dell’autore dal momento in cui abbandona l’Iraq e della sua vita disordinata in Francia, particolarmente a Parigi; mentre, la seconda propone scene della sua vita da ragazzino e adolescente, ma vuol essere soprattutto un tributo al cinema, al suo mentore Kiryakos e, ancor di più, al padre, Kikah.

Samuel Shimon, dunque, un giovane istruito e di belle speranze, nel 1979 decide di lasciare la sua città, al-Ḥabbāniyyah, nel desiderio di poter realizzare il suo sogno più grande, emigrare in America per lavorare nell’ambiente cinematografico. Una mattina, dopo aver salutato i genitori e i fratelli, parte per Baghdad, attraversa il confine con la Siria, giungendo a Damasco, con l’intenzione di trasferirsi a Beirut Est e, quindi, di partire alla volta degli Stati Uniti. In realtà, questo suo progetto incontra molti ostacoli, tanto che l’uomo vivrà per qualche tempo ad Amman, dove entrerà in contatto con alcuni ambienti palestinesi, critici nei confronti della Corte hashemita e, sebbene non compromesso con loro, subirà terribili torture e sarà costretto ad abbandonare la Giordania. Rifugiatosi a Beirut, troverà riparo nel quartiere di al-Fākihānī, tristemente famoso per il massacro del 17 luglio 1981, durante il quale cade vittima un medico francese, amico di Shimon, con il cui spirito lo scrittore entrerà in contatto a Parigi tramite un taxista misterioso. Nella capitale libanese il giovane Samuel collaborerà con l’OLP, occupandosi della stesura dei bollettini quotidiani. Grazie al suo lavoro, e seguendo le vicissitudini dell’organizzazione palestinese, visiterà spesso Il Cairo, sarà a Tunisi, vivrà a Nicosia, quindi, dovendo abbandonare, a causa delle circostanze avverse, il suo sogno americano, Shimon si sposterà in Francia, dove sarà registrato come rifugiato politico. Infine, dopo qualche tempo trascorso in un ostello per rifugiati provenienti da tutto il mondo a Moulin, si trasferirà a Parigi e si avvicinerà alle tante comunità arabe e a personaggi davvero stupefacenti.

Come alcuni suoi amici, non vorrà piegarsi alla logica imperante nell’ambiente degli intellettuali arabi in Francia, i quali hanno davanti a sé due strade: o condurre una vita da rifugiati politici o vivere un’esistenza “normale”, magari agiata, scrivendo per giornali e riviste finanziate da regimi arabi ricchi, corrotti, oppressivi. Alcuni, tuttavia, scelgono una terza opzione: essere indipendenti. Ciò significa scrivere quello che davvero sentono e in cui credono, a volte trovando fama e fortuna, a volte no. E Shimon sceglie di essere indipendente, forse in maniera eccesiva. Così, per circa dieci anni, l’autore vivrà da senzatetto, confidando spesso nella generosità dei suoi compagni di avventura e sventura, e conoscenti, ma sempre accompagnato dalla sua fedele macchina da scrivere, sulla quale registrerà impressioni, osservazioni, storie, sceneggiature. Sarà anche il dattilografo di un importante poeta, Adam, nel quale è riconoscibile il famoso vate siriano Adūnīs (Adonis), il quale lo aiuterà, anche nei periodi di non collaborazione.

Fin dai giorni trascorsi ad Amman, redigendo obituari in un’agenzia di annunci, il giovane iracheno aveva dato prova di possedere un grande talento nello scrivere, e la sua bravura e creatività gli avevano permesso di coltivare la speranza di farsi strada come autore e sceneggiatore. Le sue capacità sono state poi ampiamente riconosciute in vario modo, ma è soprattutto con l’apparizione dell’opera qui presentata che Shimon è stato esaltato, raccogliendo vasti consensi da parte della critica araba, che ne ha elogiato l’utilizzo della lingua araba e lo ha paragonato a Henry Miller, e da quella straniera. La traduzione inglese, ad esempio, è stata candidata a più di un premio, tra cui l’IMPAC Dublin Literary Award, 2007. Il lavoro è stato tradotto in svedese, francese e, una piccola parte, in tedesco. Si spera che anche l’editoria italiana si accorga di questo autore così interessante.

Il lavoro di Samuel Shimon è annoverato tra i romanzi autobiografici. In realtà, esiste una cesura tra le sue due parti. È vero che, insieme, i due testi che lo compongono formano un unicum, nel senso che il secondo è propedeutico al primo, ed è è una sorta di Bildungsroman, se si vuole, perché vi si narra della formazione del piccolo Samuel, in un contesto assiro e, per alcuni versi, ancora profondamente monarchico e legato al Regno Unito e alla sua Regina, anche perché la città di al-Ḥabbāniyyah era stata la maggiore base militare britannica in Iraq; d’altra parte, la cultura dei paesi anglofoni tutti, e specialmente quella americana, attraverso il suo cinema, influenza la mentalità della gente, e non soltanto dei più giovani. L’Occidente, con la sua civiltà, rappresenta un fondamentale modello da ricercare e da perseguire. Nella sezione iniziale dell’opera, il presente si contrappone al passato narrato nella successiva: qualche critico vi ha notato una certa somiglianza con i modi narrativi tradizionali arabi, dalle fiabe de Le mille e una notte – alla protagonista della storia-cornice, l’impareggiabile e instancabile Šahrazād, si fa esplicito riferimento all’interno di An Iraqi in Paris – agli aneddoti che danno vita alle maqāmāt, genere reso celebre da al-Hamaḏānī (X-XI secc.). In verità, la storia stessa della pubblicazione del volume richiama piuttosto alla mente quella di una neo-maqāmah, Ḥadīṯ ‘Īsà ibn Hišām aw fatrah min al-zaman (Il discorso di ‘Īsà ibn Hišām o un intervallo di tempo, 1907) dell’egiziano Muḥammad al-Muwayliḥī (1868-1930), che, data alle stampe sulla rivista della famiglia dell’autore, apparve poi in volume. Il critico inglese Roger Allen considera l’opera «un ponte tra le forme e lo stile della prosa classica, o neo-classica, e dell’esordiente tradizione del romanzo». E in Ḥadīṯ ‘Īsà ibn Hišām aw fatrah min al-zaman, a differenza di quanto accade dell’opera dell’epoca classica, vi è una qualche introspezione psicologica dei personaggi e una importante critica sociale. In realtà, a mio avviso, anche in An Iraqi in Paris è riscontrabile, seppure ben nascosta tra le pieghe del racconto spesso frammentato e assurdo, quasi, irriverente, un’analisi dell’uomo arabo, che sembra sconfitto, in un certo senso, dall’Occidente e, al contempo, dalle società di provenienza che, tra gli anni della crescita del giovanissimo assiro iracheno e la sua presa di coscienza, hanno vissuto sconvolgimenti tragici le cui conseguenze sono ancora ben avvertibili oggi.

Tra un caffè e un ristorante, tra una bottiglia di birra e una di vino, tra incontri effimeri e grandi turbamenti sentimentali, la vita dei parigini, dei francesi, scorre, e così quella degli arabi adottati dalla grande capitale che, nei decenni, hanno lasciato toccanti testimonianze delle loro esperienze nella Ville Lumière. Il lavoro di Samuel Shimon rappresenta un ulteriore tassello nella lunga, e travagliata, storia d’amore tra il tormento arabo, soprattutto dell’intellettuale, e la (apparente) levità dell’antica città gallica.

Paola Viviani

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 1, giugno 2011

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L’Autore

Paola Viviani | Assistant Professor in Arabic Language and Literature at Seconda Università di Napoli, Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet”.