Giuliano Mion (ed.), Mediterranean Contaminations. Middle East, North Africa, and Europe in Contact

in La rivista di Arablit, a. XI, n. 21-22, giugno-dicembre 2021, pp. 137-142.

Il volume Mediterranean Contaminations. Middle East, North Africa, and Europe in Contact edito da Giuliano Mion riunisce dodici articoli di autori di diversa estrazione disciplinare accomunati dall’interesse per il mondo arabo e semitico. Il punto di partenza e di convergenza dei contributi è rappresentato dal Mediterraneo, luogo reale di incontro-scontro tra il vecchio e il nuovo, e al tempo stesso luogo ideale di osservazione dell’interazione tra tre realtà, Medio Oriente, Nord Africa ed Europa, dalle cui dinamiche di contatto si generano contaminazioni tra le lingue, le culture e le società che le popolano. La varietà e complessità di tali “contaminazioni mediterranee” viene approcciata nel volume attraverso quattro diverse prospettive – linguistica, letteraria, musicale e paremiologica – che spaziano storicamente dal Medioevo ai nostri giorni e geograficamente tra le sponde del bacino mediterraneo, e che si riflettono nelle sezioni in cui è suddiviso il volume.
La prima sezione, Perspectives on Linguistics [pp. 12-135] – la più corposa e varia per numero di contributi, tematiche e metodologie – si apre con l’articolo di Philippe Cassuto dal titolo La route de la grammaire hébraïque de Tibériade à Venise (9e – 16e siècles) [pp. 13-46], un’analisi di impronta storiografica incentrata su un determinato momento della storia della lingua ebraica: il passaggio da una grammatica di tipo quantitativo ad una di tipo qualitativo, che è segnato da due avvenimenti, ovvero «le schisme qaraïte/rabbanite et l’influence de plus en plus importante de l’arabe et de sa grammaire sur l’hébreu et sa grammaire» [p. 16]. Qui, le contaminazioni mediterranee assumono una particolare connotazione linguistico-confessionale passando attraverso la tradizione masoretica, a partire dalle innovazioni introdotte dai maestri tiberiensi dal IX secolo fino a giungere alla Venezia del 1500 con la figura di Elia Levita, il primo ad aver sintetizzato nelle sue fondamentali opere entrambe le tipologie grammaticali dell’ebraico in esame.
Extraterritorial Varieties of Tunisian Arabic. The Dialect of Chebba Spoken in Mazara del Vallo (Sicily) [pp. 47-72] è il contributo di Luca D’Anna, che analizza il caso della più antica comunità tunisina in Italia, quella di Mazara del Vallo. L’autore pone l’accento sull’originale configurazione sociolinguistica di questa realtà extraterritoriale, che è marcata da un carattere “transnazionale” (più che “diasporico”) e contraddistinta da una particolare composizione socio-demografica, con una popolazione costituita prevalentemente da pescatori originari di Mahdiya e Chebba. La varietà dei parlanti provenienti da quest’ultima è l’oggetto del caso di studio proposto, un’indagine sociolinguistica da cui emergono i principali aspetti fonetico-fonologici – tra cui la realizzazione della *q, tratto peculiare caratterizzato da una particolare distribuzione diastratica correlata alle variabili di età e di genere.
Il contatto può svolgersi interamente all’interno della dimensione arabofona, con le dinamiche diglossiche che la contraddistinguono, e realizzarsi anche nella comunicazione virtuale, trasversalmente rispetto ai tradizionali canali diamesici dell’oralità e della scrittura. È questo il caso illustrato nell’originale articolo di Daniela Rodica Firanescu, Mixed Arabic Encounters: Online and Live Syrian for Egyptians [pp. 73-101], che propone un esempio di “writing the spoken” analizzando un corpus di arabo misto siro-egiziano. Nel consentire la reciproca comprensione e comunicazione, questa nuova forma di arabo, sviluppatasi spontaneamente in rete prima dell’avvento della guerra civile siriana, avvalora «the concept of linguistic ‘continuum’ in Arabic» [p. 94], nella misura in cui le similarità linguistiche tra due varietà parlate permettono di creare una base solida dove è possibile inserire anche elementi di arabo moderno standard, la lingua condivisa. Partendo da questo presupposto, e riflettendo sull’attuale situazione dei rifugiati siriani in Egitto, l’autrice si interroga sull’eventualità che un tale “linguistic blend” virtuale possa realizzarsi anche nella vita reale.
“Prehilalico/hilalico”, “sedentario/beduino”, e “parler villageois” sono etichette che afferiscono a una serie di classificazioni e categorie interpretative che vengono convenzionalmente impiegate nella ricerca linguistica e dialettologica maghrebina contemporanea. Tuttavia, possono – e in che misura – tali concettualizzazioni, formulate prevalentemente dagli orientalisti europei durante il periodo coloniale, essere considerate valide ed effettivamente applicabili nel contesto attuale? Da questo interrogativo muove il rilevante contributo di Giuliano Mion, Pré-hilalien, hilalien, zones de transition. Relire quelques classiques aujourd’hui [pp. 102-125], che, adottando un punto di vista dichiaratamente “tunisino-centrico”, analizza alcune discriminanti linguistiche comunemente prese in esame negli studi di dialettologia araba relativamente alle classificazioni dialettali, riconsiderandole alla luce di una rilettura delle principali categorie tradizionali. Il punto di partenza nella reinterpretazione di tali categorie è di includere nell’analisi metodologica alcuni fattori ed eventi linguistici ed extralinguistici finora trascurati, in primis l’esperienza personale dello studioso, che influenza non solo il metodo ma anche l’analisi e i risultati stessi della ricerca. Inoltre, un altro elemento fondamentale da considerare è la dimensione sociolinguistica, in particolare la variazione diastratica che – come osserva acutamente l’autore – si rivela col tempo il fattore determinante per la stabilizzazione di una data tipologia di neoarabo.
A chiudere la prima parte del volume è l’articolo di Gabriel M. Rosenbaum, dal titolo Components of Romance Languages in the Arabic Variety Spoken by Jews in Modern Egypt [pp. 126-135], che illustra i principali aspetti lessicali di una varietà di giudeo-arabo parlato nell’Egitto moderno, basata sulla parlata locale di arabo e impreziosita da una singolare combinazione di elementi semitici (propri dell’ebraico-aramaico e dell’egiziano standard) e romanzi, in particolare dal francese, italiano e giudeo-spagnolo.
La seconda sezione, Perspectives on Literature [pp. 136-217], celebra l’Egitto, con le contaminazioni che si realizzano nelle dimensioni passata e presente, locale e nazionale, interiore e sociale. In Westernization, Colonialism, and Cosmopolitanism: Literary Voices from the Pre-Revolutionary Egypt [pp. 137-178], Lucia Avallone esplora le dinamiche culturali tra Egitto ed Europa tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, in un contatto “a doppio senso”, che vede, da un lato, le élite egiziane muoversi verso l’Europa con una percezione ambigua di quest’ultima (modello di modernità e innovazione da imitare, oppure elemento intrusivo o addirittura corruttivo da fuggire?); e, dall’altro lato, gli europei muoversi verso l’Egitto spinti, tra realismo e idealizzazione, dal nuovo impulso coloniale. Questo processo di mutua “confluenza” contribuisce alla formazione, nell’Egitto alla vigilia della rivoluzione, di una società cosmopolita. Occidentalizzazione, colonialismo e cosmopolitismo sono appunto le tre direttrici lungo le quali si muove l’analisi proposta dall’autrice, che, attraverso la voce di alcuni dei più autorevoli intellettuali del tempo, offre un interessante spaccato di quel particolare momento della storia egiziana in cui la letteratura «was an intellectual and political arena where to create the concept of Egyptian nation in a crucial comparison with Europe» [p. 149].
Di cosmopolitismo egiziano, qui nell’accezione locale, si occupa anche il contributo successivo, dal titolo Arabic/Egyptian/Alexandrian: Identity and the Mediterranean Colorito in Modern Alexandrian Poetry [pp. 179-194], di Bohdan Horvat. Ponendo al centro il gruppo degli al-Arbi‘ā’iyyūn, un circolo di intellettuali di Alessandria d’Egitto organizzato da ‘Abd al-‘Aẓīm Nāǧī a metà degli anni Ottanta del Novecento, l’autore propone una lettura interpretativa in prospettiva braudeliana della poesia alessandrina moderna, riflettendo più in generale inoltre sull’evoluzione della poesia egiziana verso una dimensione interiore, esistenziale ed esperienziale che culmina in una sorta di “decentralizzazione” nell’atteggiamento poetico della generazione degli anni Novanta.
Il richiamo alla dimensione interiore si ritrova anche nell’ultimo articolo della sezione, Scrittura come riparazione in ‘Azāzīl. Storia e psicoanalisi nel diario intimo di un monaco egiziano [pp. 195-217] di Paolo la Spisa, qui analizzata in riferimento all’impiego della psicoanalisi come strumento di critica letteraria. Nel caso specifico, l’autore esamina l’opera ‘Azāzīl (2008) dello scrittore contemporaneo Yūsūf Zaydān, un romanzo storico ambientato tra l’Egitto, la Siria e Gerusalemme nella tarda antichità, che narra delle vicende autobiografiche di un monaco egiziano. L’indagine mostra le applicazioni e implicazioni di alcune categorie psicoanalitiche, a partire dai meccanismi della “riparazione” e dello “sdoppiamento” che nell’opera in questione si intrecciano sia con la funzione della scrittura in generale, sia con le strategie narratologiche e le sue strutture proprie dell’autobiografia (come il monologo interiore e il flusso di coscienza) in particolare.
La terza parte del volume, Perspectives on Music [pp. 218-242], consta di due articoli che approcciano la musica nel mondo arabo da due punti di vista differenti. In Rap in the Arab World: Between Innovation and Tradition [pp. 219-231], Emanuela De Blasio ci introduce nel mondo del rap, genere contemporaneo che, declinato nel contesto arabo, appare come una forma di ibridazione tra tradizione e innovazione. L’autrice rileva gli elementi riconducibili all’una e all’altra faccia della stessa medaglia: tradizionale è il complesso di valori che manifestano il radicamento e la volontà di riappropriazione e di difesa dell’identità nazionale; innovative sono, di contro, le spinte e le aperture verso il cambiamento, la sperimentazione e la contaminazione ispirate ai modelli occidentali. In questo scenario, per il ruolo centrale che ha assunto nelle rivoluzioni, il rap arabo rappresenta una visione avanguardista di ideologia politica.
All’espressione musicale di matrice popolare, qui con un taglio più squisitamente tradizionale, si rivolge anche il contributo di Najla Kalach dal titolo Folk Songs in Homs’ Weddings: a Sociolinguistic Perspective [pp. 232-242], che offre uno sguardo sulla canzone popolare siriana, presentando una breve selezione di brani tipici della tradizione matrimoniale della città di Homs. L’analisi sociolinguistica dei testi – di cui viene proposta anche la trascrizione – da un lato fornisce nuovi dati sulla varietà di arabo parlata a Homs, dall’altro lato contribuisce a valorizzare il patrimonio linguistico-culturale siriano preservandone una parte importante della tradizione orale.
Le contaminazioni mediterranee passano, inoltre, attraverso la conoscenza legata alla dimensione esperienziale del vissuto e del quotidiano, di frequente espressione di costume e saggezza popolare, che viene trasmessa intergenerazionalmente ed espressa anche con i proverbi. In quanto «parola popolare che viene da un altrove senza tempo» [p. 244], il proverbio si rivela essere sia manifestazione della tradizione orale di un popolo, sia punto di incontro di lingue, culture, e civiltà diverse. Con questa riflessione si apre il lavoro di Jihène Jerbi Mansour, dal titolo Le proverbe à la confluence des cultures méditerranéennes [pp. 244-260], il primo dei due contributi contenuti nell’ultima parte del volume, Perspectives on Paremiology [pp. 243-274]. L’articolo propone lo studio contrastivo di alcuni proverbi in francese, italiano e tunisino, mettendo in risalto le (dis)similarità linguistico-culturali e i meccanismi linguistico-cognitivi alla base del loro uso (come lo stereotipo, le associazioni metaforiche, e i meccanismi inferenziali propri dell’esempio e dell’analogia).
L’articolo che chiude l’ultima sezione e l’intero volume è Les proverbes commençant par “si” dans le premier tome de l’ouvrage inédit d’Azzajjālī [pp. 261-274] di Ahmed-Salem Ould Mohamed Baba, che presenta l’edizione di un estratto di un testo paremiologico inedito del XIII secolo d. C. di Abū Yaḥyà al-Zaǧǧālī. Dallo studio emerge che il contatto tra la cultura arabo-islamica e quella andalusa si riflette nella paremiologia andalusa e nella sua duplice tipologia di “proverbi dell’élite” (amṯāl al-ḫāṣṣah) – i detti in arabo classico prevalentemente di origine orientale risalenti sin dalle prime conquiste islamiche – e di “proverbi del popolo” (amṯāl al-‘āmmah) – i detti in arabo andaluso con marcate connotazioni idiosincratiche ma con elementi mediorientali e mediterranei.
Nel suo complesso, il volume si contraddistingue per la centralità del taglio interdisciplinare, che si manifesta, oltre che nella combinazione delle diverse prospettive scientifiche e metodologiche, nella proposta tematico-contenutistica, in relazione sia alla trasversalità degli argomenti trattati – che spaziano dai campi più tradizionali (inclusi i particolari prodotti linguistico-culturali come i proverbi) alle forme, generi e linguaggi contemporanei (ad esempio, la musica rap e i nuovi media) – sia alle applicazioni di moderni metodi e strumenti di indagine, come la psicoanalisi nella critica letteraria. Un altro punto di forza è rappresentato dall’approccio stesso al contatto e alla particolare configurazione che questo assume nel contesto arabofono/semitico in area mediterranea, che tiene conto delle dinamiche sia esterne che interne, ovvero sia interlinguistiche che intra- e interdialettali, e della singolare interconnessione di fattori linguistici, culturali e confessionali. Un ulteriore valore aggiunto è insito poi nell’organizzazione del lavoro, espressione della sapiente abilità con cui il curatore riesce a tenere insieme una tale varietà ed eterogeneità di temi, approcci e metodi, e che costituisce un modello originale per le ricerche future. In definitiva, il volume offre diversi piani e livelli di lettura aprendo a molteplici spunti di ricerca e di applicazione in vari ambiti, e, al tempo stesso, per questa sua visione interdisciplinare, diventa un luogo di riflessione metalinguistica sul futuro della ricerca in campo arabistico e semitistico.

Cristiana Bozza

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno XI, numeri 21-22, giugno-dicembre 2021

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