Intrighi alla Mecca nel recente romanzo di Rağā’ ‘Ālim [Raja Alem], Ṭawq al- ḥamāmah (Il collare della colomba), al-Markaz al-ṯaqāfī al-‘arabī, Dār al-Bayḍā’ 2010, pp. 566.

Rispetto alle altre letterature del mondo arabo, spesso quella saudita è guarda- ta, perfino da un pubblico esperto, con una sorta di perplessità, in quanto si è soliti associare la società e la cultura che essa esprime e da cui essa stessa scaturisce a un mondo molto particolare, ultratradizionalista e, nel contempo, ultramoderno, che, anche a causa di tale dicotomia, può creare appunto sconcerto. In verità, di questa civiltà, che effettivamente presenta elementi di profonda contraddittorietà, il lettore occidentale non specialista non conosce tanti aspetti. Nonostante il gran dibattere nei nostri media sulla condizione femminile in ambito arabo e islamico, poco si sa ancora sulla vita quotidiana in Arabia Saudita di donne e uomini, en- trambi obbligati a subire una segregazione che li tiene separati gli uni dagli altri nella maggior parte delle situazioni, addirittura le più normali.

Bisogna però ribadire che l’esistenza condotta dall’universo femminile è co- munque variegata e multiforme, niente affatto monolitica, come si potrebbe pen- sare, e ciò emerge chiaramente allorché ci si avvicina alla produzione narrativa, poetica e teatrale locale. Il pubblico italiano ha avuto modo fin dal 20011 di acco- starsi alla scrittura femminile saudita e, per suo tramite, a molteplici sfaccettature della società in cui queste autrici vivono, avendo così la possibilità di rendersi conto che, malgrado le ambiguità e le difficoltà che devono affrontare, le intellet- tuali riescono a creare testi di denuncia, certo, ma interessanti da una prospettiva puramente letteraria e artistica, e non soltanto. Da tali opere si evince, infatti, un universo ricco di contrasti: da un lato, la separazione tra i sessi, i soprusi, e così via; dall’altro, una fortissima vivacità, un incessante movimento (benché quest’ul- timo probabilmente nasca a volte proprio da una violenta e attiva reazione alle specificità culturali del paese arabo), una determinata volontà di liberarsi da oppri- menti catene e porre in evidenza le peculiarità di ogni singolo individuo, che non ha più intenzione di sentirsi come manovrato.

In tale contesto difficile e stimolante insieme, negli ultimi anni ha acquisito sempre maggiore visibilità numerose autrici che hanno aperto un immenso squar- cio su ciò che le circonda, lasciando uscire allo scoperto una vitalità forse inso- spettata nella loro stessa creatività. Rağā’ ‘Ālim, nata a La Mecca negli anni ’60, è una delle più famose, lette e tradotte scrittrici saudite, che ha al suo attivo ro- manzi, racconti e pièce teatrali. Vive da tempo tra Arabia Saudita ed Europa, e ha ricevuto vari riconoscimenti, tra i quali il prestigioso premio International Prize for Arabic Fiction (IPAF, 2011), ex aequo con il marocchino Muḥammad al-Aš‘a- rī, con l’opera Ṭawq al-ḥamāmah. Il titolo del romanzo è un chiaro richiamo al celebre trattato amoroso del pensatore, uomo di legge e artista andaluso Ibn  Ḥazm (X-XI sec.), in cui viene celebrato l’Amore in ogni suo aspetto. Anche nel libro dell’autrice saudita questo sentimento viene presentato da varie prospettive. La scrittrice associa le donne alle colombe – nell’immaginario collettivo simbolo del divino, della bellezza, dell’amore – che, numerose, popolano La Mecca, spe- cialmente la sua zona più inviolabile, ossia il Sacro Recinto della Kaaba.

Il lavoro, in cui si mescolano diversi generi, dalla detective story al testo di denuncia sociale al romanzo psicologico, è diviso in due parti: la prima si svolge a La Mecca, la principale città santa per i musulmani; la seconda, tra la Spagna e l’Arabia Saudita. La trama è un po’ complicata ma avvincente. Nell’antico quar- tiere di Abū al-Ru’ūs accadono misteriosi e tragici eventi. Viene uccisa una giova- ne ragazza, il cui cadavere nudo è ritrovato per strada; delle indagini è incaricato Nāṣir al-Qaḥṭānī, famoso per  il suo proverbiale fiuto e la capacità di penetrare nei meandri delle menti criminali, così come di guardare alle più spietate brutture sen- za essere sconvolto, per via di un passato infelice che lo ha reso sordo ai senti- menti. Egli si ritrova a dover risolvere un autentico rompicapo, in quanto, nel cor- so delle ricerche per chiarire le cause della morte della donna, si imbatte nel dia- rio di Yūsuf, il folle, che da subito viene additato come il principale sospettato. Nel frattempo, Nāṣir deve far luce anche sulla scomparsa di una seconda giovane, ossia ‘Ā’išah, la maestra del quartiere di Abū al-Ru’ūs, scomparsa avvenuta in cir- costanze oscure e inspiegabili. Nel computer di ‘Ā’išah, l’uomo trova delle lettere

̶   inviate dalla ragazza a un tedesco, conosciuto tempo prima a Bonn, dove si   era sottoposta a un intervento chirurgico ̶  rivelatrici della condizione  della  donna (o della situazione socio-politica) in Arabia Saudita. L’insegnante è profondamente delusa dall’ambiente circostante, dalle costrizioni, dai sotterfugi a cui bisogna ri- correre giorno per giorno pur di avere l’illusione di vivere normalmente. In effetti, l’esistenza a La Mecca non è facile; per di più, nonostante la sacralità del luogo, e i dettami religiosi e legali insieme imposti sulla popolazione e sui fedeli che vi si recano per compiere il pellegrinaggio rituale, nella città si consumano crimini di ogni tipo. Costantemente la morale viene calpestata: i personaggi si muovono in un contesto opprimente e oppresso da storie di droga e di prostituzione, ma pure da una volontà perversa di modificare  il volto stesso della città. Addirittura, viene messo in luce un piano “mafioso” e diabolico di creare una nuova Kaaba, un im- menso mostro di acciaio e cemento che dovrebbe rimpiazzare il tradizionale cen- tro del culto islamico.

Nell’opera vi è il ricorso a un artificio letterario davvero interessante e coin- volgente: a narrare in prima persona la vicenda è spesso lo stesso quartiere di Abū al-Ru’ūs, il luogo in cui si verificano gli eventi al centro della storia e abitato dalla maggioranza dei protagonisti. Perfino l’investigatore incaricato delle indagini sembra essere come attratto non soltanto dalla personalità e dai segreti degli uomi- ni e delle donne con cui viene in contatto, ma anche dalle strade, i vicoli polvero- si, gli edifici del quartiere tutto che, a sua volta, pare accogliere il poliziotto. Que- sti, peraltro, si sentirà vicinissimo ad ‘Ā’išah, le cui e-mail sono accuratamente proposte in ordine cronologico e creano come una linea narrativa parallela e complementare alla prima e a una terza costituita dal diario di Yūsuf. D’altro canto, la scrittrice dà vita a ulteriori linee narrative che si intersecano tra loro e con le altre, catapultando il lettore fino in Spagna.

L’opera di Rağā’ ‘Ālim può essere letta come una celebrazione della città san- ta dell’Islam che, al pari di moltissimi altri siti, rischia di essere snaturata, a causa di uomini senza scrupoli che preferiscono il proliferare di edifici grandiosi per puro affarismo e desiderio di potere. Sembra quasi che l’autrice voglia invitare il pubblico, in particolare arabo, com’è ovvio, a non lasciar permettere che ciò avvenga, benché il pericolo davvero incomba. In tal senso pare si debba interpretare l’artificio letterario di dare concretamente voce a uno dei più antichi quartieri meccani: è, dunque, la città (o una porzione di essa, quella più bistrattata e dimen- ticata, oltre che l’oggetto delle mire ambiziose di loschi figuri) che acquista una sua autonomia e si erge a protagonista della storia narrata, non in maniera media- ta, però, ma attraverso la sua personificazione, figura retorica che permette a Rağā’ ‘Ālim di enfatizzare il monito che vuol lanciare ai propri concittadini e ai musulmani tutti. Quello, cioè, di impedire che la purezza degli autentici insegna- menti islamici venga fagocitata e, di conseguenza, annientata sia da false e ipocri- te interpretazioni del messaggio profetico sia da una cieca corsa al nuovo a ogni costo. Sebbene tali tematiche non siano completamente originali, perché già tratta- te nella letteratura araba in genere, è necessario e interessante sottolineare come una scrittrice, nella conservatrice Arabia Saudita, sia stata tanto temeraria da af- frontare determinati argomenti così spinosi. Di solito, le altre autrici hanno sì de- nunciato varie sfaccettature della propria società, senza però spingersi fino agli aspetti più oscuri della sfera pubblica e privata, quali la corruzione dilagante, lo sfruttamento più bieco della donna e la volontà di trasformare totalmente il volto della patria.

Il testo di Rağā’ ‘Ālim potrebbe, insomma, annoverarsi tra quelli che trattano della selvaggia modernizzazione del territorio arabo, sulla scia delle opere di intel- lettuali e letterati di grande spessore, quali il saudita ‘Abd al-Raḥmān Munīf o il libico Ibrāhīm al-Kawnī4. Nello stesso tempo, bisogna rilevare la sempre crescente attenzione da parte degli scrittori arabi nei confronti delle detective stories e della denuncia della mafia dei colletti bianchi e di quella legata all’universo dell’alta fi- nanza e al settore immobiliare, nonché alla perdita del senso della bellezza che ha ormai contagiato il globo intero. Non è forse casuale che i romanzi di Rağā’ ‘Ālim e di Muḥammad al-Aš‘arī, che saranno presto tradotti anche in italiano, abbiano vinto pari merito l’Arabic Booker Prize nel 2011: evidentemente, in questo perio- do nel mondo arabo tali assunti devono essere molto sentiti. Così tanto, anzi, da costituire un polo di attrazione ineludibile.

Paola Viviani

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 1, giugno 2011

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L’Autore

Paola Viviani | Assistant Professor in Arabic Language and Literature at Seconda Università di Napoli, Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet”.