Wafaa Abdel Raouf El Beih (a cura di), Letteratura Traduzione e Lingua. Atti Del Convegno Internazionale, Il Cairo, 7-8 dicembre 2015, Facoltà di Lettere-Università di Helwan, Osiris bookshop, Il Cairo 2016 (1a edizione), pp. 756.

La pubblicazione contiene gli atti del Convegno Internazionale “Letteratura Traduzione e Lingua” svoltosi al Cairo il 7-8 dicembre 2015 e organizzato dalla Facoltà di Lettere dell’Università di Helwan in collaborazione con la cattedra di Letteratura Araba Moderna e Contemporanea dell’Università di Roma “La Sapienza” e con la cattedra di Lingua e Letteratura Araba dell’Università di Napoli “L’Orientale”.
Il ponderoso volume si apre con le parole introduttive al Convegno di Maged Negm, Mona Fouad Attia, Wafaa Abdel Raouf El Beih, Isabella Camera d’Afflitto e Maria Avino e si compone di trentacinque saggi, oltre a un’appendice in lingua araba. Tema centrale del Convegno Internazionale è la letteratura nel suo rapporto intrinseco con la lingua e nel suo viaggio per il mondo attraverso la traduzione. Il dibattito critico concerne aspetti che avvicinano o allontanano universi non ancora ben definiti, al fine di individuare gli elementi che si riflettono sulle relazioni interculturali che, inevitabilmente, finiscono per influenzare la cultura mondiale, focalizzandosi sulla formazione culturale di alcuni scrittori, da Ṭāhā Ḥusayn o Tawfīq al-Ḥakīm in Egitto a Elio Vittorini in Italia e ad altri ancora in Europa, in America, in Cina, in India e in Giappone. In particolare, il Convegno si rivolge a quegli scrittori-traduttori che, conoscendo almeno una lingua straniera, traducono e creano opere letterarie la cui lingua e la cui poetica, pur conservando la propria originalità, appaiono “ibride” per quanto riguarda lo scenario e la visione del mondo.
I saggi non si soffermano soltanto sull’analisi dell’influenza reciproca tra autori, ma affrontano la problematica della mobilità delle culture attraverso i confini nazionali, fino alla transculturazione, che produce un modello letterario ibrido, come quello tanto apprezzato della letteratura dell’America Latina e dei Caraibi. L’argomento del Convegno supera l’idea della comparazione per ricercare i diversi modelli dell’interpretazione intersemiotica. Oggetto del Convegno sono dunque la letteratura in tutte le lingue e i punti di incontro delle culture nella loro continua mobilità.
Il volume si presenta come un punto di riferimento fondamentale non solo per l’analisi delle relazioni tra letteratura, lingua e traduzione, ma anche per le numerose prospettive di ricerca che contiene, offrendo al lettore punti di vista diversi: dagli studi letterari, che focalizzano l’attenzione sugli scrittori traduttori e sul fenomeno dell’ibridazione letteraria che inizia con le grandi migrazioni durante e dopo l’epoca coloniale, agli studi traduttologici, che trattano le tematiche della ricezione e dell’ermeneutica nel trasferimento delle opere letterarie, fino agli studi linguistici, che si occupano delle peculiarità del linguaggio degli scrittori traduttori, di traduttologia e lessicologia. Gli studi presenti nel volume riguardano, dunque, l’ambito letterario, linguistico o traduttologico, invitando il lettore a percorrere un cammino multiforme, variegato e per molti aspetti stupefacente, per il suo addentrarsi nelle profondità della riflessione sulla letteratura e sul poliedrico e composito rapporto che questa intrattiene con la lingua e con la traduzione.
Data l’impossibilità di soffermarsi, in questa sede, su ogni singolo contributo presente nel volume, si procede pertanto a una rapida presentazione di una selezione di quelli concernenti gli ambiti letterario e traduttologico-linguistico.
Riguardo all’ambito letterario, il saggio di Hajar Seif Elnasr Lo spirito del deserto in Terra di Cleopatra di Annie Vivanti [pp. 269-299] analizza il citato romanzo come un esempio di letteratura di viaggio, con tutti gli elementi e le situazioni connessi ai mutamenti, alle metamorfosi che il viaggio, in questo caso in Egitto, porta con sé. Particolare rilievo è attribuito, nell’opera, al deserto egiziano, rappresentato come simbolo del silenzio e cifra della solitudine, in un paese considerato terra di incanto e di magia.
Il saggio di Lamia el-Sherif La resistenza tra Cassola e ʿAbd al-Quddūs [pp. 370-402] consiste in uno studio comparato tra il romanzo La ragazza di Bube di Carlo Cassola, del 1960, e quello dello scrittore egiziano Iḥsān ʿAbd al-Quddūs, Fī baytinā raǧul (In casa nostra c’è un uomo), del 1957. Lo studio pone in risalto come i due autori presentino alcuni dei periodi più dolorosi e difficili della storia italiana ed egiziana: «In Italia, la guerra civile e il dopoguerra tra il 1944 e il 1948; in Egitto, la lotta contro l’occupazione britannica negli anni Quaranta e prima della rivoluzione del 1952» [p. 370]. I due romanzi possono essere considerati esempi della narrativa di resistenza che, all’interno dell’atmosfera neorealista, in Italia e in Egitto, privilegia trame ordinarie e sceglie storie quotidiane che svelano l’essenza più intima dell’esistenza umana, al di là di ogni elemento storico, ideologico o morale [pp. 370-371].
Lo studio di Maria Avino Le donne e la traduzione nel periodo della Nahḍah [pp. 431-446] si sofferma sull’importanza del ruolo delle intellettuali arabe del XIX secolo, del loro contributo al movimento della Nahḍah non solo come traduttrici, ma anche come giornaliste e critici letterari. Il saggio sottolinea come, dagli inizi del XX secolo, le donne siano coinvolte, anche attraverso la traduzione, sempre più attivamente nella vita politica e culturale, partecipando alla produzione de al-adab al-dustūrī, una letteratura che, incoraggiata dalla Costituzione promulgata dal sultano ottomano ʿAbd al-Ḥamīd nel 1908, manifesta un senso di orgoglio nazionale arabo. Inoltre, in virtù delle loro traduzioni, le intellettuali arabe contribuiscono all’opera di rinnovamento linguistico che si attua tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, ricorrendo a una lingua più sobria e meno enfatica di quella utilizzata dai traduttori, un linguaggio più moderno che prevede anche il ricorso alla lingua parlata.
Il saggio di Elvira Diana dal titolo Basili Khouzam-Alessandro Spina: uno scrittore tra le due sponde del Mediterraneo [pp. 166-184] analizza la figura dello scrittore Basili Shafīk Khouzam (1927-2013), nato a Bengasi da famiglia aleppina maronita e trasferitosi negli anni giovanili in Italia, dove sarebbe diventato autore di diverse opere narrative in lingua italiana, «anticipando così di diversi decenni il moderno filone di scrittori di madrelingua non italiana» [p. 167] che hanno eletto l’italiano a lingua di adozione. Lo studio sottolinea come tutte le opere di Spina abbiano in comune tra loro lo sfondo geografico e storico: la Cirenaica del secolo scorso, «dall’occupazione italiana del 1911 all’indipendenza del paese, passando per la nomina di re Idris nel 1951 fino alla scoperta del petrolio nel 1964» [p. 168]. Il saggio chiarisce come nella narrativa di Spina si riflettano le due culture di appartenenza dell’autore: «quella araba di origine e quella europea di formazione e di adozione» [p. 168]. Spina può essere così considerato come «il narratore delle due sponde del Mediterraneo» [p. 169], di due ambiti culturali di cui ama e predilige alcuni intellettuali e scrittori: Manzoni, Verga, D’Annunzio e Pirandello, ma anche De Chateaubriand, Flaubert e Proust, e ancora Schiller e Mann, Kafka e Čechov. La sua formazione culturale non si limita alla letteratura e al teatro, ma comprende altresì la musica. Nelle sue opere, infatti, numerosi sono i richiami alla musica di Verdi, Donizetti e Puccini, così come i riferimenti a quella di Chopin, Schubert, Wagner. Le opere di Spina pertanto sono simili, secondo l’autrice del saggio, a «mosaici policromatici, [che] accolgono […] con pari dignità intellettuale europei e mistici arabi come al-Ghazālī, accanto a storici arabi quali Ibn Khaldūn, senza pretese di sopraffazione degli uni sugli altri» [pp. 170-171].
Interessante appare la visione di Spina di fronte all’esperienza italiana in Libia nel secolo scorso [p. 170]: emerge, da un lato, la condanna delle politiche coloniali, mentre, dall’altro, si nota come la narrazione ruoti spesso intorno alle fragilità morali dell’uomo, arabo o italiano, senza distinzioni. Se il pensiero di Spina mette in luce la diversità culturale tra i due mondi, quello europeo e quello arabo, l’autore rivolge lo sguardo anche sugli stessi arabi, a loro volta divisi da lacerazioni interne, imputabili ai mutamenti che la società e la cultura della Libia vivevano in quel momento storico, anche in seguito alla vicinanza degli italiani [p. 177].
Per quanto concerne la sezione linguistico-traduttologica, il ruolo del traduttore letterario è oggetto del saggio di Isabella Camera d’Afflitto, La scelta del traduttore [pp. 344-354], imperniato sulle difficoltà specifiche incontrate dal traduttore letterario che, rispetto agli altri traduttori, deve non solo rispettare il testo originale, ma essere capace di «rendere la traduzione di un’opera letteraria in un’analoga opera letteraria, senza tuttavia rendere troppo evidente la sua presenza umana e culturale» [p. 344]. Il ruolo del traduttore letterario appare infatti particolarmente delicato, dato che presuppone alcune determinanti scelte effettuate prima di affrontare la traduzione dell’opera letteraria. Il traduttore deve infatti decidere se «scomparire immergendosi nell’opera da tradurre o lasciare invece le proprie “impronte” personali, letterarie, linguistiche, regionali e umane» [p. 344]. Egli è, poi, continuamente chiamato a scegliere, giacché la traduttologia non è una scienza esatta, nel senso che non è sufficiente trasferire un termine da una lingua all’altra ma, il più delle volte, il traduttore ha il compito di interpretare non solo le parole ma uno scritto nella sua globalità, per trasportarlo da una lingua all’altra e da una cultura all’altra. Come deve comportarsi il traduttore letterario di fronte all’intraducibile? «Ma che cosa si intende per intraducibilità? Sono intraducibili le parole e le espressioni che si riferiscono a situazioni culturali distanti dalla cultura del traduttore» [p. 346]. Può trattarsi, come illustra l’autrice del saggio, di vocaboli o espressioni relativi a fatti storici, religiosi o sociologici, che comporterebbero complesse spiegazioni al traduttore, che si trova così a dover scegliere «come spiegare l’intraducibile oppure rinunciare a tradurlo» [p. 346]. La soluzione più immediata è quella di lasciare la parola nella lingua originale e inserire un gran numero di note esplicative. Ma se questa è la scelta adatta a un testo accademico, non rappresenta una valida opzione per le opere letterarie destinate al mercato editoriale. Un romanzo appesantito da troppe note viene infatti considerato “esotico”, lontano dai gusti del lettore occidentale, e difficilmente la letteratura cui appartiene riesce ad affermarsi come le altre letterature mondiali. Questo è ciò che è in parte accaduto alla letteratura araba «che non ha ancora raggiunto, secondo l’opinione di molti, il posto che le spetta nel mercato editoriale mondiale» [p. 346]. Il traduttore deve quindi fornire le spiegazioni necessarie nel testo, senza appesantirlo con troppe note, che, lungi dal rappresentare sempre un valore aggiunto, potrebbero allontanare il lettore dal piacere della lettura, spezzando l’atmosfera creata con cura dallo scrittore, così come può risultare pesante l’eccessivo ricorso alla traslitterazione.
Il saggio si conclude con alcune osservazioni sul coraggio del traduttore, che offre il suo lavoro e la sua fatica al giudizio degli altri, sapendo che ci sarà sempre qualcuno che approverà o contesterà le sue scelte traduttologiche. Ma se il traduttore è un interprete, e interpretare significa spiegare il senso di uno scritto, possono esistere allora più interpretazioni, a condizione di non tradire il messaggio dello scrittore.
Il problema delle traduzioni errate o approssimative è affrontato poi nel contributo di Brigitte Battel dal titolo Tradurre Une passion dans le désert d’Honoré de Balzac. Il valore semantico di una interiezione [pp. 84-107]. Secondo l’opinione della studiosa, «una traduzione deve rispettare il testo originale dalla prima all’ultima parola, non solo per deontologia professionale del traduttore ma per offrire un’opera che conservi i suoi fondamenti intellettuali […] [e] che non sia impoverita quantitativamente o qualitativamente da operazioni traduttive deformanti o mutilanti» [pp. 103-104]. È questo il caso delle prime parziali traduzioni anonime dell’opera Une passion dans le désert di Balzac, intervenute nel corso del XIX secolo e descritte nel saggio, traduzioni che hanno stravolto il significato del testo originale.
In ambito più strettamente linguistico, viene ad esempio trattata la problematica delle collocazioni nello studio di Alya Hussein Le collocazioni: ricerca nella linguistica computazionale. Uno studio contrastivo [pp. 23-52]. Vi si focalizza l’attenzione sull’importanza, in un testo, delle collocazioni, ossia delle «espressioni formate da due o più parole che per uso e consuetudine formano un’unità fraseologica non fissa ma riconoscibile» [p. 24]. Lo studio contrastivo delle collocazioni permette di spiegare le analogie e le differenze tra le varie lingue. Il saggio, infine, illustra come la linguistica computazionale sia da considerarsi una nuova scienza, utile specialmente nel campo della traduzione.
Il volume presenta inoltre molti altri articoli interessanti, ma non tutti risultano accessibili, dal momento che i curatori dell’opera hanno lasciato, ad esempio, nella lingua cinese uno dei contributi sulla traduttologia, che potrà sicuramente essere apprezzato in altri ambiti di studio.

Federica Pistono

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno VII, numero 14, dicembre 2017

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Federica Pistono |