Profumo di caffè e di cardamomo, storie di donne saudite nel romanzo di Badriyyah al-Bišr (al-Bašar), Hind wa ’l-ʻaskar (Hind e i soldati), Dār al-ādāb li ’l-našr wa ’l-tawzī‘, Bayrūt 2006, pp. 208.

L’Arabia Saudita è stata da sempre un paese avvolto nel fascino e nel mistero. Attualmente si presenta come una società che si destreggia tra un rigido attaccamento alle consuetudini religiose e la modernizzazione tecnica ed economica che ha favorito una graduale e lenta trasformazione dei valori tradizionali. È un paese ricco di contraddizioni in cui vi è una netta distinzione e separazione tra la compagine femminile e quelle maschile, sia in ambito privato sia lavorativo e sociale. Quella saudita è una società che reprime con forza ogni atteggiamento non consono alle leggi religiose avvalendosi il più delle volte della polizia religiosa, organismo che dipende dalla “Commissione per la promozione della virtù e prevenzione del vizio” (Hayʼat al-amr bi ’l-maʻrūf wa ’l-nahī ʻan al-munkar) e che si occupa di far rispettare la šarīʻah, colpendo persone di entrambi i sessi in modo piuttosto aggressivo e costringendoli, il più delle volte tramite violenze psicologiche e fisiche, a confessioni di crimini inesistenti.

In questo contesto la cultura e la scrittura, in particolare, hanno avuto per molto tempo una posizione marginale ma, in seguito ai movimenti culturali che hanno investito tutto il mondo arabo intorno agli anni ’60-’70 del ventesimo secolo, anche la letteratura saudita ha visto fiorire negli ultimi anni una schiera di narratori e narratrici che hanno sfidato le autorità religiose e le loro rigide disposizioni. Il romanzo è diventato così il mezzo ideale di espressione di questa nuova generazione di scrittori e, soprattutto, di scrittrici che sono portavoce di istanze di rinnovamento e cambiamento. La scrittura si è resa un mezzo per autodeterminarsi e muoversi dallo spazio domestico a quello pubblico e le voci femminili sono sempre più numerose.

In questo panorama artistico si inserisce a pieno titolo Badriyyah al-Bišr che ha sempre sottolineato l’importanza del mezzo letterario come strumento di autoanalisi e di emancipazione. Nata a Riyāḍ nel 1956, la scrittrice è autrice di diversi romanzi e raccolte di racconti brevi, alcuni tradotti anche in italiano[2]. I personaggi principali dei suoi lavori sono le donne che rivendicano a gran voce i loro diritti.

Hind wa ’l-ʻaskar è un romanzo di donne in cui la protagonista narra la storia della sua famiglia ma, soprattutto, racconta la propria storia di crescita e riscatto.

L’intera narrazione ruota intorno al difficile rapporto tra Hind, protagonista e voce narrante, e la madre Hayla. Donna autoritaria e dispotica, Hayla incarna lo stereotipo della casalinga a cui non dispiace la propria condizione subalterna ed è sempre pronta a osteggiare le libertà femminili, soprattutto quelle delle figlie, favorendo gli atteggiamenti misogini degli uomini. Violenta e calcolatrice, la donna gestisce la casa come un vero e proprio campo di battaglia, di cui lei è il soldato più autorevole, prendendo decisioni di ogni tipo sulla vita dei figli. È un personaggio ambiguo che ha avuto un passato di sofferenze: orfana di madre in tenera età e costretta a sposarsi ancora troppo giovane, vive la prima notte di nozze come una brutale violenza che la porterà a detestare fortemente il marito, uomo mite e gentile soprattutto nei confronti delle figlie. Tuttavia la sua vita rappresenta per lei la normalità del rapporto coniugale. La donna, infatti, si concede, fuori e dentro il letto, a quell’uomo che considera suo carnefice per ottenere qualsiasi tipo di concessione, anche solo per dei gioielli. La figlia Hind, invece, rifiuta questo tipo di atteggiamento e fin da piccola mostra una propensione per la ribellione. Non si preoccupa del divieto di giocare per le strade del quartiere insieme ai ragazzi, anche se ciò le procurerà botte e punizioni. Durante il periodo adolescenziale ascolta musica e fantastica su storie d’amore con i cantanti sfidando i divieti materni, mentre per sua madre è proibito persino sognare. Ribelle e coraggiosa, Hind non rinuncia ad incontri clandestini con un ragazzo di cui si è invaghita a cui seguiranno mesi di detenzione in casa come castigo dopo essere stata scoperta.

Nonostante la sua voglia di libertà, e a seguito anche delle pressioni del padre, Hind sarà costretta a sposare Manṣūr, un uomo che non ama e che si dimostra insensibile nei suoi confronti, soprattutto dopo la nascita della loro primogenita Mayy che lui rifiuta in quanto femmina. È un uomo geloso e possessivo che controlla ogni spostamento di Hind:

Lo sentivo interrogare la cameriera sugli orari delle mie uscite e rientrate, chiedere all’autista informazioni sulle case in cui andavo e, nonostante tutte queste informazioni che aveva raccolto e tutte le frasi che aveva scritto sui miei appunti universitari, rimase sempre dubbioso nei miei confronti finché un giorno mi sorprese, entrando di nascosto come un ladro, mentre ero sdraiata sul divano a telefono con mia sorella ʻAwāṭif. Mi puntò la pistola alla tempia e mi chiese: – Con chi stai parlando? – [p. 136].

Il loro rapporto peggiora notevolmente e giunge al divorzio quando Manṣūr le proibisce di scrivere. Questa decisione è appoggiata dalla famiglia di Hind, primo fra tutti dal fratello Ibrāhīm:

  • Hind, se tuo marito non vuole che tu scriva, allora non hai alcun diritto legale di pubblicare! [p. 128].

Tale condizione è molto simile a quella di altre donne saudite che nella realtà non hanno il diritto di scrivere o di utilizzare il proprio nome e spesso ricorrono, come la protagonista del libro, all’uso di pseudonimi. Hind adora la scrittura e la ritiene l’unico modo di potersi esprimere senza che qualcuno violi la sua intimità. La passione della protagonista per la scrittura e il modo in cui la considera sono un chiaro riflesso del pensiero dell’autrice che utilizza tale strumento come valvola di sfogo per esprimere ciò che non si ha il coraggio di dire.

Hind incarna l’eroina che non si abbatte davanti agli innumerevoli ostacoli che si presentano nella vita sociale e in quella privata e, grazie alla sua determinazione, affronta con coraggio il violento fratello Ibrāhīm, un ragazzo pieno di rancore che ha sofferto la mancanza di attenzioni da parte dei genitori. Il padre ha sempre avuto un atteggiamento di riguardo per le figlie, mentre la madre si occupava solo del figlio primogenito Fahd. Ibrāhīm ha cercato fin da piccolo di guadagnarsi uno spazio in famiglia prevaricando, spesso senza successo, le sorelle. Questa mancanza di affetti familiari e la perdita di un amore lo porteranno ad unirsi a gruppi estremisti in un fatale destino.

Sono poche le figure positive nella vita di Hind e, tra queste, va sicuramente ricordata ʻAmmūšah, una schiava affrancata che vive con la famiglia di Hind dopo la morte del padre. È una donna ignorante ma dall’animo buono che ha subito violenze sin da piccola. La donna si prende cura di Hind in ogni momento, la assiste durante il parto e nei successivi e difficili mesi. È un punto di riferimento che cerca di mitigare la violenza di Hayla e può essere considerata la figura materna che Hind non ha mai avuto.

Hind è la donna araba di oggi che rivendica i suoi diritti, come lavorare e innamorarsi. Infatti, supera gli ostacoli che la vita e la società le mettono davanti riuscendo a difendere con fermezza la sua posizione di donna e madre divorziata. Scende a compromessi con la madre sull’uso del niqāb per lavorare e ottiene così l’indipendenza economica indispensabile per allontanarsi dal controllo materno. Grazie al suo lavoro entra in contatto con persone molto diverse, con alcune delle quali stringerà forti legami di amicizia e non solo. Incontra, infatti, un uomo con cui instaura un particolare rapporto e così, nonostante l’imminenza di terribili avvenimenti che la coinvolgeranno, trova la speranza di una nuova vita veramente felice.

Hind wa ’l-ʻaskar si caratterizza per una continua e veemente condanna all’uomo per i suoi atteggiamenti misogini, ma anche per essere un rimprovero rivolto alle stesse donne, che si lasciano sottomettere accettando questa situazione senza reagire. Hind è una donna consapevole di se stessa e fa da contraltare ai personaggi femminili del romanzo che vivono passivamente le loro vite, lasciando che gli eventi accadano senza esserne i personaggi principali. La dura realtà saudita è raccontata dalla protagonista con semplicità e ironia, senza tuttavia evitare l’utilizzo di un linguaggio piuttosto amaro per descrivere situazioni violente o dolorose e non lesina mai sferzanti giudizi. La componente religiosa è presente ma in maniera abbastanza velata e la scrittrice è molto abile nell’affrontare il tema dell’estremismo religioso senza cadere in comuni clichés ma narrando gli eventi con sincerità e naturalezza.

Il testo è ricco di metafore e di descrizioni dell’ambiente circostante con cui Badriyyah al-Bišr mostra un profondo amore verso la sua terra. Ogni aspetto del paesaggio è presentato con perizia di dettagli e con un linguaggio così evocativo che persino un luogo ostile come il deserto assume connotazioni paradisiache nell’immaginario della protagonista e anche del lettore. Il copioso utilizzo di aggettivi fa sì che il lettore abbia la sensazione di trovarsi all’interno della storia e di poter vedere i paesaggi o sentire gli odori descritti, come ad esempio l’aroma del caffè. La scrittrice, tramite Hind, si sofferma a lungo sulla preparazione di questa aromatica bevanda presente in tutta la narrazione e associata alle consuetudini locali (le donne si riuniscono per leggere i fondi delle tazzine di caffè inventando delle storie). Nelle prime pagine del libro, il caffè con il suo inconfondibile odore risveglia strane sensazioni ed emozioni nella protagonista che la spingono a dare inizio al suo racconto.

Questo romanzo offre una preziosa opportunità per comprendere e approfondire le dinamiche sociali in Arabia Saudita e per cercare di conoscere, tramite un punto di vista differente, questa realtà ancora poco conosciuta nel mondo occidentale.

Mirella Pecoraro

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 2, dicembre 2011

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Mirella Pecoraro |