Paola Gandolfi, Rivolte in atto. Dai movimenti artistici arabi a una pedagogia rivoluzionaria, Mimesis, Milano-Udine 2013 (seconda edizione riveduta), pp. 170.

Due sono le date ritenute fondamentali nella “Primavera araba” tunisina, vale a dire il 17 dicembre 2010 e il 14 gennaio 2011. La prima coincide con la morte tragica del giovane Mohamed Bouazizi[1], datosi fuoco a Sidi Bouzid, mentre la seconda ricorda la fine di un regime quale quello di Zin-Elabidine Ben Ali, uomo potentissimo e guardato con favore da tanti in Occidente che aveva retto le sorti del Paese per lungo tempo. Molti anni in cui il sentimento di paura era imperante e durante i quali, nonostante il profondo timore di “mostrarsi”, numerosi tunisini avevano comunque agito ed espresso il proprio disagio, muovendosi più o meno apertamente per sfidare la sorte che sembrava condannare la nazione maghrebina a dover continuare a vivere in uno stato perenne di incertezza, nonostante gli occidentali perlopiù la considerassero ridente e serena. In Rivolte in atto. Dai movimenti artistici arabi a una pedagogia rivoluzionaria, Paola Gandolfi si propone di muoversi lungo due grandi linee guida da lei spiegate alla p. 10 del saggio: «Il primo [aspetto] consiste nell’indagare gli spazi della produzione artistica nei tempi antecedenti alla visibilità massmediatica di cambiamenti in atto. […] Attraverso l’arte, infatti, si realizzavano azioni di denuncia e di resistenza che, assieme ad altre forme di militanza, sono state tra i semi delle rivolte», mentre, per quanto attiene al secondo aspetto, scrive ancora, «quel che ci interessa mettere a fuoco è la natura di queste rivolte e la loro processualità.»

L’autrice, attenta studiosa del mondo arabo e, in particolare, di società nordafricane, ha dunque analizzato alcune delle dinamiche socio-culturali, ma anche psicologiche, che hanno preparato quanto avvenuto tra dicembre 2010 e gennaio 2011, processo che non si è ancora concluso e i cui autentici esiti in futuro sono del tutto imprevedibili. In meno di trenta giorni, si sono spalancate le porte davanti ad un nuovo modo di guardare all’attualità di certe società, e osservatori solitamente poco attenti hanno d’improvviso scoperto cosa si agitasse in comunità che apparivano calme e tranquille. Allo stesso tempo, ciò ha ridato linfa ad alcuni settori intellettuali che hanno trovato nella “Primavera araba” un fenomeno assai complesso e duttile, insieme; un fenomeno che meritava di essere posto sotto la lente d’ingrandimento. Soprattutto, però, esso ha rappresentato, specialmente in casi davvero emblematici e paradigmatici, se si vuole, una “rivoluzione” per chi l’ha vissuta e continua a viverla sulla propria pelle.

Usare qui il termine “rivoluzione” aiuta ad entrare in uno dei temi principali del libro di Paola Gandolfi. Il suo volume si dipana lungo sei capitoli ed è corredato, oltre che da una ricca bibliografia, da un’Appendice contenente le testimonianze di tre personaggi dell’ambiente culturale e intellettuale tunisino. Il regista cinematografico Mohamed Zran, il regista e produttore cinematografico Ibrahim Ltaief, e il sociologo e professore universitario Mohamed Kerrou spiegano, naturalmente ciascuno dal proprio punto di vista e ciascuno calato nel campo in cui opera di norma, che cosa abbia significato e ancora significhi ciò che ha sconvolto lo status quo tunisino, una condizione che, per chi la viveva dal di fuori, era di apparente stabilità. Nella conversazione con l’autrice, in data 1° ottobre 2012, Mohamed Kerrou pone l’accento su elementi sviluppati e ampiamente argomentati nel corso del saggio da Paola Gandolfi. In particolare, egli sottolinea l’importanza del popolo, che da dicembre 2010 si erge di nuovo a protagonista e, ancor di più, si è riappropriato pienamente e saldamente dello spazio pubblico, da troppo a esso interdetto. E lo ha fatto non tanto o non solo, com’era accaduto in occasioni precedenti, per manifestare in nome di specifiche questioni (i diritti civili), bensì per urlare lo slogan inneggiante alla volontà popolare di mettere fine al governo del Presidente, il che ha segnato, afferma Kerrou «una rottura rispetto al passato […]. Che cosa ha fatto sì che questo potesse accadere non si può ben delineare […].  La logica di tutte le descrizioni e giustificazioni che sono state date è quella dei ricercatori, ma non era la logica delle persone, della popolazione o […] della collettività, in quel preciso momento in cui le cose accadevano.» [p. 159]

Il termine «rivoluzione» è usato dal medesimo Kerrou [ad es., p. 160], il quale a volte lo sostituisce con «processi rivoluzionari»  [ibid.]. È lecito ritenere che sia una, se così può dirsi, “sostituzione consapevole”, perché lo stesso accade nel corso della trattazione che, come già accennato, riprende, amplificandole e approfondendole, le provocazioni lanciate da Kerrou, così come dagli altri personaggi intervistati e/o presi in esame. La riflessione sulla terminologia e la definizione più adatta da utilizzarsi in merito agli eventi tunisini e non, è dunque alla base dell’intero saggio di Paola Gandolfi e ne costituisce una delle basilari premesse teoriche e pratiche, anche. Nel primo capitolo, Quali rivolte in atto?, infatti, l’autrice, prendendo spunto da una interessante bibliografia sull’argomento[2], pone appunto la questione, assumendo una posizione secondo cui sarebbe più giusto parlare di rivolte o di processi rivoluzionari: «Se intendiamo per rivoluzioni degli improvvisi e radicali cambiamenti di potere politico a cui si accompagni una ristrutturazione sociale ed economica della società, sappiamo bene che non si tratta di questo di cui siamo testimoni qui. Per questo proponiamo di parlare di processi rivoluzionari e di sottolineare il dispiegamento ancora in atto di questi sollevamenti transnazionali» [pp. 24-25]. Tuttavia, ella tiene a precisare e rimarcare che talvolta, nel testo, sarà utilizzato il termine rivoluzione, per indicare delle «rotture forti dei rapporti di potere» e perché questo è il vocabolo usato dai protagonisti di tali rivolte [p. 20, n. 4].

L’arte è un altro degli elementi cardine di Rivolte in atto. Dai movimenti artistici arabi a una pedagogia rivoluzionaria, laddove le espressioni artistiche in generale, siano esse giovanili, o comunque underground, o realizzate da autori già affermati in patria e fuori, e talvolta educati all’estero, hanno dato un contributo davvero prezioso alla formazione del clima adatto a dare voce ad un dissenso condiviso dall’intera popolazione tunisina, dalla folla, cioè, che si è riappropriata dello spazio pubblico. Tutti, dagli uomini della strada agli intellettuali più eclettici, dalle donne di casa ai ragazzi istruiti o a quelli che non lo sono, hanno trovato nelle più diverse forme d’arte un collante che ha permesso loro di uscire fuori e di urlare i propri desideri più autentici. L’autrice focalizza l’attenzione sulla realtà di gruppi musicali e di artisti che, pur talvolta nella clandestinità ma servendosi sovente dei nuovi media, hanno aiutato se stessi  e gli altri a trovare il coraggio. Numerosi film od opere letterarie, poi, spesso di autori già di fama, sono stati considerati dei punti di svolta e, in un certo qual modo, hanno “previsto” o “preconizzato” quanto sarebbe avvenuto. Uno di questi lavori è sicuramente il celebrato dramma Amnesia di Fadil Jaibi e Jalila Beccar, il cui testo prevede più scene di gruppo: è stato questo un ultimo e definitivo sprone a che la gente finalmente scendesse in strada?[3] Un invito a non avere davvero più alcuna paura del potere costituito? Un appello a liberarsi del regime? Comunque sia, interessante sembra l’uso che si fa proprio della folla, una folla che riesce a parlare, a dialogare, a lagnarsi, a esprimersi, insomma, a tutto tondo, pur alla presenza del protagonista, uomo politico di spicco che tanto assomiglia al Presidente.

Infine, si arriva al cuore di questo interessante saggio, ovvero la pedagogia, che diventa, per Paola Gandolfi, «rivoluzionaria». L’autrice illustra perché sarebbe fondamentale creare un nuovo approccio pedagogico alla realtà araba, e ciò su vari livelli che pongono molteplici domande, tutte importanti, che hanno a che fare con le società arabe (e in questo caso specifico tunisino), l’educazione dei loro giovani e quella impartita in Occidente su tali assunti, ecc. Si tratta di questioni che rimandano ad altre dispiegate con acume dall’autrice, la quale si sofferma su alcuni concetti chiave, tra cui obbedienza, autorità, libertà, transnazionalità, immaginario e realtà. Su questo punto termina la trattazione, con l’accento sulla pregnanza e rilevanza  ancora una volta dell’arte, che è immagine e immaginario, e un modo di “sentire” la realtà. «La produzione artistica e culturale è infatti prima di tutto uno strumento di espressione creativa e ripartire da essa significa scegliere una delle tante modalità di ascoltare le voci di chi è al centro dei processi di cambiamento, di chi abita gli spazi del quotidiano, di chi sceglie di proporre il proprio sguardo o la propria messa in forma della realtà. Di chi sceglie di prendere posizione o di prendere la parola, anche dal basso e anche controcorrente, per narrare un vissuto individuale e collettivo.» [p. 138]

Gli avvenimenti degli ultimi mesi “raccontano” sempre più quanto in Tunisia la popolazione sia preoccupata, nel quotidiano, e sia ritornata, in generale, ad uno stato di paura, sentimento di cui aveva voluto sbarazzarsi con lo scoppio della rivolta. A questo, tuttavia, fa da contraltare un fatto incontrovertibile, ossia che la strada e l’interazione individuo-strada continuano ad essere un elemento determinante adesso, nel Paese, qualcosa di imprescindibile e irrinunciabile dove l’arte nelle sue varie declinazioni non può cessare di essere protagonista. Lo spazio pubblico deve, insomma, essere conservato e vissuto. Ciò è fondamentale.

Paola Viviani


[1] Tutti i nomi propri e i titoli saranno trascritti così come appaiono nel testo preso in esame.
[2] Per tutti, si veda, ad es., Hamid Dabashi, The Arab Spring. The End of Postcolonialism, Zed Books, London-New York 2012.
[3] Si veda, l’articolo di A. Arcudi, Il dramma che anticipa la “Rivoluzione dei Gelsomini”:  Yaḥyà Ya‘īš su questo numero, pp. 49-60.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno III, Numero 6, dicembre 2013

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L’Autore

Paola Viviani | Assistant Professor in Arabic Language and Literature at Seconda Università di Napoli, Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet”.