Martina Censi, Le Corps dans le roman des ecrivaines syriennes contemporaines. Dire, écrire, inscrire la différence, Brill, Leiden/Boston 2016, pp. XIV-196.

Lo studio di Martina Censi, frutto di una ricerca di dottorato condotta in cotutela tra l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’Inalco di Parigi, si ripropone di indagare le modalità di rappresentazione del corpo in sei romanzi di scrittrici siriane contemporanee. Il corpus preso in considerazione nel volume comprende i romanzi seguenti, tutti pubblicati prima dello scoppio della rivolta siriana nel 2011: Kursī (Una sedia, 2009) di Dīma Wannūs1; Ḥurrās al-hawā⁠’ (Guardiani dell’aria, 2009) di Rosa Yāsīn Ḥasan; Banāt al-barārī (Figlie di terre selvagge, 2011) di Mahā Ḥasan; Rā⁠’iḥat al-qirfa (L’odore della cannella, 2008) di Samar Yazbik; Imra⁠’a min hāḏā al-ʿaṣr (Una donna di quest’epoca, 2004) di Hayfā’ Bīṭār; Burhān al-ʿasal (La prova del miele, 2007) di Salwā al-Naʿīmī. A ciascun romanzo viene dedicato un capitolo che ne analizza dettagliatamente le tematiche in relazione ad alcune sotto-tematiche che si dipartono dall’argomento che sta al centro del volume nel suo complesso, e cioè il corpo. I sei capitoli che formano il nucleo centrale dello studio sono incorniciati da un’introduzione e da un settimo capitolo che fa il punto della questione, seguito dalle conclusioni. La prefazione al volume è di Élisabeth Vauthier.
Come l’autrice sottolinea nell’introduzione, lo studio intende superare l’angusta prospettiva assunta da molti studi recenti che indagano il corpo soprattutto come luogo di espressione della dimensione sessuale dell’individuo. Al contrario, afferma Censi, le autrici siriane le cui opere sono qui prese in esame «ne se limit[ai]ent pas a representer le corps dans la dimension sexuelle, mais […] elles l’abord[ai]ent de façon plus complexe, en le decrivant dans plusieurs de ses manifestations comme la maladie, la vieillesse, la grossesse, la torture, les fonctions physiologiques et la mort» [p. 3]. Censi si distanzia anche da quel manicheismo essenzialista che vorrebbe le donne impegnate a costruire la propria femminilità in contrasto con una mascolinità monolitica, data una volta per tutte: la produzione romanzesca in cui il corpo è più prepotentemente presente, infatti, è senza dubbio quella a firma femminile, ma le identità sessuali rimesse in discussione in questa narrativa sono sia quella femminile sia quella maschile, come viene efficacemente dimostrato in diversi punti dell’opera. Nell’introduzione, inoltre, la scelta del corpus viene giustificata in base alla necessità di dare conto della produzione narrativa femminile siriana più recente, assente da studi quali Arab Women Novelists. The Formative Years and Beyond (1995) di Joseph T. Zeydan e Arab Women Writers. A Critical Reference Guide 1873-1999 (2008), a cura di Radwa Ashour, Ferial J. Ghazoul e Hasna Reda-Mekdashi, che tuttavia non sono specificamente dedicati alla narrativa siriana e presentano un grado di approfondimento abbastanza limitato.
Nel primo capitolo, intitolato «Kursī de Dīma Wannūs: corps et pouvoir», Censi mostra come il potere onnipervasivo di un regime repressivo possa insinuarsi nei corpi degli individui fino a deformarli e a disarticolarli. Il romanzo qui proposto è incentrato sul personaggio di Durġām, censore del regime al-Asad, alle prese con la preparazione minuziosa di una cena di lavoro in cui spera di farsi notare da uno dei ministri del governo e di suscitare le invidie dei colleghi. Persino i gesti più banali di Durġām, come farsi il caffè o l’andare in bagno, sono fatti oggetto di descrizioni minuziose che li frammentano in tanti piccoli fotogrammi, in una sorta di iperrealismo che, anziché rendere più tangibile il quadro, lo storpia fino a renderlo insensato e irriconoscibile. Il corpo del protagonista è ridotto alla descrizione impietosa di una serie di secrezioni, dissezionato e disumanizzato, colto nella bestialità di atti sessuali in cui il godimento è subordinato alla sofferenza altrui. Non a caso Censi evoca qui le tecniche cinematografiche di cui la narrazione è impregnata: con la sua ossessiva descrizione del dettaglio, si trasforma quasi in un atto di voyeurismo ai danni del personaggio-oggetto Durġām.
Anche il secondo capitolo, «Ḥurrās al-hawāʾ de Rosa Yāsīn Ḥasan: corps et répression», indaga la relazione tra corpi e potere, ma questa volta lo fa dal punto di vista di chi del potere e del suo apparato repressivo è vittima. Il romanzo di Rosa Yāsīn Ḥasan ruota intorno alla storia di tre coppie che sperimentano ognuna a proprio modo gli abusi del regime. La protagonista ʿAnāt e il marito Ǧawād, in particolare, si trovano a vivere un amore ostacolato non solo dall’appartenenza a due diverse confessioni religiose, ma anche dal regime, che, condannando Ǧawād al carcere, porta al deterioramento della relazione tra lui e sua moglie. Durante l’assenza del marito – prima a causa della detenzione, poi a causa dell’emigrazione – ʿAnāt «entreprend un chemin de subjectivation, a travers la recherche du plaisir sexuel» [p. 53]: attraverso il corpo e il piacere, la donna protagonista del romanzo riesce a trovare un modo per affermare la propria femminilità e la propria identità, di cui il regime l’ha spogliata sottraendole il marito. Infatti, suggerisce Censi, «la féminité est directement liée au plaisir sexuel. Décrite comme s’il s’agissait d’un être vivant, elle est destinée à la mort, car elle est privée de la possibilité de jouir» [p. 54].
Il terzo capitolo, «Banāt al-barārī de Mahā Ḥasan: corps et coutume», tratta il tema del delitto d’onore in un romanzo ricco di elementi fantastici. Il romanzo di Mahā Ḥasan racconta la storia di Sulṭāna e di sua figlia, accomunate da un medesimo, tragico destino: vengono entrambe uccise dal rispettivo padre per punire le loro trasgressioni alle norme collettive che regolano la sessualità e riscattare così l’onore della famiglia. Il romanzo, come nota Censi, si innesta sull’opposizione volutamente rigida tra natura e cultura: la natura, a cui fa riferimento il titolo del libro, è il luogo in cui la donna può vivere la propria sessualità in modo libero e gioioso; il dominio della cultura, rappresentato qui dal villaggio, è invece quello in cui il corpo femminile diventa un campo pubblico su cui si giocano gli interessi della collettività. A questa dinamica, che vede il pubblico e il privato in una lotta in cui è il primo elemento a trionfare, non sfuggono neanche i personaggi maschili del romanzo, costretti a sacrificare il proprio universo affettivo a vantaggio della riaffermazione della norma sociale.
Il quarto capitolo si intitola «Rā⁠ʾiḥat al-qirfa de Samar Yazbik: corps et domination» e, a differenza degli altri romanzi qui analizzati, ha al centro una relazione omoerotica, quella tra la borghese Ḥanān e la sua cameriera ʿAlyā, in cui, piuttosto che amore e libertà sessuale, si incarnano frustrazione, appetito per il potere e disuguaglianze sociali. Censi nota giustamente che «la relation entre les deux protagonistes ne peut pas être considérée comme l’expression d’une identité homosexuelle, car elle s’appuie sur l’échec des relations hétérosexuelles, et non pas sur un libre choix. Elle ne se fonde pas sur le désir des personnages, mais sur leur état de souffrance et d’insatisfaction» [p. 108].
Nel quinto capitolo, «Imra⁠ʾa min hāḏā al-ʿaṣr de Hayfā⁠ʾ Bīṭār: corps entre tradition et modernité», Censi analizza un romanzo la cui protagonista è una donna di nome Maryam che, a causa di un cancro che la lascia mutila di un seno, è costretta a ripensare la propria femminilità e il rapporto con gli uomini. Tale processo di ridefinizione avviene attraverso la memoria: la donna rievoca le relazioni avute in passato con uomini tratteggiati bidimensionalmente, semplici personaggi-tipo a cui è riservata la sola funzione di fare da strumenti alla sua ricerca di una nuova identità. Questa identità, dopo varie sperimentazioni con diverse tipologie mascoline, finisce per conformarsi alle caratteristiche di spregiudicatezza sessuale che Maryam attribuisce a una donna moderna, in quello che sembrerebbe un accesso di vitalismo usato per esorcizzare la malattia e la morte, piuttosto che una consapevole adesione a un modello femminile ben preciso. Alla fine del romanzo, Maryam rinuncia del tutto alla presenza maschile, finalmente consapevole che l’unica liberazione possibile è quella di un corpo autarchicamente distaccato dalla reificazione intrinseca a qualsiasi contatto con l’altro sesso.
Nel sesto capitolo, intitolato «Burhān al-ʿasal de Salwā al-Naʿīmī: corps et jouissance», Censi affronta l’analisi di un romanzo che ha ottenuto un buon successo in Europa, andando invece incontro alla censura in molti paesi arabi. Anche qui, come in Ḥurrās al-hawāʾ, la donna fonda la propria soggettività sulla riappropriazione del corpo e del godimento sessuale, ma il rapporto con la sessualità e con la corporeità è costantemente mediato dall’intertestualità fortemente presente nel romanzo. L’anonima protagonista (e narratrice) della storia, infatti, si prepara a partecipare a una conferenza sugli antichi testi erotici arabi. La lettura-citazione di spezzoni tratti da questi testi procede di pari passo con la rievocazione degli amori della protagonista con vari uomini, tra cui spicca il Pensatore. Nel romanzo, come nota Censi, si intreccia «une double différence: celle du sujet féminin et celle du sujet postcolonial, situé entre deux cultures» [p. 145]: l’autrice, che vive a Parigi dagli anni Settanta, si pone infatti in-between tra una cultura “occidentale” che la vorrebbe eternamente repressa e spossessata del proprio corpo e un’altra cultura, quella araba, che ha tagliato i ponti con un passato in cui l’erotismo non era aborrito, ma veniva anzi valorizzato.
Nel settimo e ultimo capitolo, che porta il titolo di «Dire, écrire, inscrire le corps dans l’univers des personnages», si precisa che i personaggi dei romanzi presi in analisi – siano essi uomini o donne – vengono sottoposti a una risignificazione di genere più che a una totale decostruzione. Alcune pagine vengono dedicate all’esposizione sintetica del contenuto dello studio di Hadidi e al-Qadi incluso in Arab Women Writers. A Critical Reference Guide 1873-1999, già menzionato nell’introduzione, su cui Censi innesta le proprie considerazioni sulle tipologie femminili e i rapporti di genere incontrati nei romanzi oggetto della sua ricerca. Compaiono anche alcune osservazioni di ordine lessicale e linguistico, funzionali a notare come, nelle scrittrici degli anni ’60, ci si riferisca alla corporeità senza fare ricorso a termini anatomici precisi. Il capitolo si chiude con un paragrafo di riepilogo delle trasformazioni a cui anche l’identità di genere maschile va incontro nei romanzi analizzati nei capitoli precedenti.
L’analisi dei singoli romanzi contenuta da ciascun capitolo risulta pregevole perché condotta in stretta relazione con i testi, che vengono abbondantemente citati sia in versione originale sia in traduzione francese, e per la freschezza delle osservazioni, che non vengono appesantite da un ricorso troppo pedante alle fonti secondarie.

Fernanda Fischione


1I nomi e i titoli sono citati così come appaiono nel testo.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno VI, Numero 12, dicembre 2016

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L’Autore

Fernanda Fischione | Laureata in Lingue e Civiltà Orientali presso la Facoltà di Filosofia, Lettere, Scienze Umanistiche e Studi Orientali (Sapienza Università di Roma), è iscritta al corso di laurea magistrale in Lingue e Civiltà Orientali della medesima facoltà.