Lucia Avallone, Ascoltando le voci di palazzo. Per una lettura sociolinguistica di Palazzo Yacoubian

in La rivista di Arablit, a. XIII, n. 25, giugno 2023, pp. 85-89.

Il volume di Lucia Avallone Ascoltando le voci di palazzo. Per una lettura sociolinguistica di Palazzo Yacoubian qui esaminato ha come oggetto di studio il celebre romanzo Imārat Ya‘qūbiyān (Palazzo Yacoubian) dello scrittore egiziano ‘Alā’ al-Aswānī, che viene esplorato attraverso un’originale e innovativa prospettiva di analisi sociolinguistica.

Pubblicato al Cairo nel 2002 dalla casa editrice Mīrīt li ’l-Našr wa ’l-Ma‘lūmāt, Palazzo Yacoubian diventa presto un caso editoriale e viene tradotto in diverse lingue; in italiano, appare edito da Feltrinelli nel 2006 con la traduzione di Bianca Longhi1. Si tratta di un’opera corale e complessa che rappresenta una celebrazione e al tempo stesso una dissezione della società cairina ed egiziana dei primi anni Duemila, in cui l’impronta realista porta l’autore ad affrontare coraggiosamente alcune delle questioni più controverse che la caratterizzano. Corruzione, violenza, omosessualità, sessismo, estremismo islamico, disuguaglianze, ingiustizie definiscono la quotidianità dei personaggi che abitano Palazzo Yacoubian, emblema dell’Egitto alla vigilia delle Primavere arabe, un Paese immobile nella sua decadenza politica, sociale, morale e valoriale. Il romanzo appartiene a un «filone realista arricchito dell’esperienza modernista» [p. 26], sottolinea l’autrice nell’Introduzione [pp. 21-28] al volume, in cui mette inoltre in evidenza quello che è l’obiettivo principale del suo lavoro: «uno studio della combinazione tra temi e scelte linguistiche e stilistiche [che] può portare in nuova luce la posizione autoriale, fornendo strumenti d’interpretazione della concezione che al-Aswānī ha della società egiziana e del ruolo della letteratura al suo interno» [p. 26].

Lo studio di Avallone si presenta, infatti, come una operazione di decostruzione e di conseguente re-interpretazione in chiave sociolinguistica delle scelte linguistiche compiute da al-Aswānī per raffigurare i diversi personaggi del romanzo e delle possibili motivazioni che ne sono alla base. Un «complesso esercizio di decodifica», lo definisce Jérȏme Lentin nella Prefazione [pp. 11-18] al volume, attraverso il quale l’autrice affronta una «doppia sfida» che presuppone una conoscenza approfondita della realtà sociolinguistica e dialettologica araba – nello specifico egiziana – e delle implicazioni teorico-metodologiche che ne derivano, da un lato, e «della letteratura egiziana contemporanea e del contesto sociale (egiziano) in cui questa letteratura è prodotta e ricevuta» [p. 13], dall’altro lato. Tale compito risulta particolarmente audace se si considera che, come ci ricorda Lentin, «lo scrittore, per definizione, non mira a riprodurre fotograficamente la realtà sociolinguistica, ma a rappresentarla» [p. 12], e che tale rappresentazione è anche l’esito di un processo artistico e personale dell’autore, il quale opera una «trasposizione (alterazione che può portare a un’autentica distorsione)» [p. 13] dei fatti sociolinguistici, che costituiscono, di contro, un punto di partenza oggettivo. In tal senso, Avallone si muove necessariamente in una dimensione di ambiguità/ambivalenza che è intrinseca alla lingua araba – nel dualismo linguistico che si manifesta non solo nel rapporto tra varietà standard e dialettali, ma anche nell’interfaccia tra scritto e orale – e che si riflette inoltre nella natura e posizione autoriale nella misura in cui può realizzarsi, oltre che nelle scelte artistiche proprie del registro stilistico e letterario, nella stessa trasposizione dei fatti sociolinguistici.

Al centro di questa nuova prospettiva di lettura del romanzo di al-Aswānī vi è – come puntualizza la stessa Avallone all’inizio del primo dei tre capitoli che compongono il volume – la dimensione sociale, che costituisce il punto di riferimento sia dell’analisi linguistica sia di quella narratologica. In questo primo capitolo, dal titolo Scelte linguistiche, un apparato teorico [pp. 29-78], l’autrice illustra il quadro teorico alla base del suo studio, elaborato in relazione al contesto sociolinguistico in cui si pone la scelta autoriale e tenendo conto in particolare della diglossia e delle diverse varietà di arabo standard e dialettali, nella fattispecie egiziane, coinvolte. Partendo dall’assunto di base che, nell’oralità come nella scrittura, «l’uso della lingua sia il risultato di una scelta», l’analisi di Avallone è volta a «capire quali fattori entrino in gioco nel processo di scelta, a quali strumenti si possa ricorrere e quali risultati si realizzino, ma anche quali fattori intervengano al di fuori del processo volontario e consapevole della scelta» [pp. 65-66]. A tal scopo, dopo aver proposto una panoramica sullo stato dell’arte delle diverse teorie che hanno caratterizzato gli studi sulla variazione dalla prospettiva sociolinguistica, con particolare attenzione alla tradizione araba ed egiziana, nella prima parte del capitolo l’autrice si sofferma su alcuni modelli che ritiene funzionali alla sua indagine. Nello specifico, viene esplorato il modello bipolare basato sul sistema diglottico standard/colloquiale (fuṣḥà/‘āmmiyyah); in secondo luogo, è approfondito il modello diastratico elaborato da al-Saʿīd Muḥammad Badawī2 che distingue cinque “livelli” – ovvero varietà diastratiche – nell’arabo egiziano (a lui) contemporaneo; e, infine, è illustrata l’elaborazione proposta da Benjamin Hary3 incentrata sui fattori linguistici e sociolinguistici che determinano la variazione, modello che mette in luce l’importanza di considerare le nozioni di stile/registro e di continuum linguistico nell’analisi della “multiglossia araba”. Al continuum linguistico e alle sue implicazioni in relazione alla triglossia araba e alle forme intermedie di arabo (egiziano), orali e scritte, è dedicata la seconda parte del capitolo, che si focalizza sui fenomeni di enunciazione mistilingue e di commutazione di codice, e propone anche un approfondimento sulle principali teorie dedicate a quest’ultimo. Le puntuali osservazioni e gli esempi contenuti nel capitolo ne costituiscono un valore aggiunto, risultando utili ad illustrare le varie direttrici teoriche entro le quali si muoverà l’analisi vera e propria del romanzo in esame proposta nel terzo capitolo e offrendo, al tempo stesso, interessanti spunti di riflessione metalinguistica, in primis inerenti alla dibattuta questione sulla natura della diglossia araba.

La cornice teorico-metodologica dello studio viene completata nel secondo capitolo, dal titolo Un approccio narratologico al romanzo [pp. 79-119]. Qui Avallone presenta il procedimento di analisi adottato, che, partendo da «un approccio di tipo formalista e strutturalista» [p. 79], implica la scomposizione ovvero segmentazione del testo e la conseguente individuazione di sezioni – sequenze e micro/macro-sequenze – che costituiscono le unità narrative oggetto dell’indagine interpretativa del capitolo successivo. Delle sequenze, vengono riassunti i contenuti, viene delineata l’organizzazione del materiale narrativo, e vengono individuate le principali caratteristiche e strategie narratologiche, con particolare riguardo al sistema dei personaggi. Nel far ciò, l’autrice segue l’impostazione originaria del romanzo, che consta di due parti distinte sul piano narratologico: la prima parte – di cui Avallone isola trentadue sottosezioni a carattere descrittivo, narrativo e dialogico – è dedicata alla presentazione dell’ambiente, alla caratterizzazione dei personaggi che popolano il palazzo e alla descrizione delle situazioni; la seconda parte – che l’autrice suddivide in quarantotto sottosezioni incentrate sulla presentazione mediata o dialogica degli eventi – è rivolta alla modificazione del quadro previamente delineato e si focalizza maggiormente su eventi, azioni e situazioni precedentemente descritti4.

Nel terzo e ultimo capitolo, dal titolo Un’interpretazione del romanzo in chiave sociolinguistica [pp. 121- 211], Avallone entra nel merito del suo studio, proponendo un’analisi-commento della produzione linguistica dei personaggi di Palazzo Yacoubian, che è filtrata dalle scelte linguistiche dell’autore e tiene conto del suo reale background socio-linguistico e socio-culturale, e passa anche attraverso la ricostruzione delle presunte competenze linguistiche di alcuni personaggi (di cui viene tracciato il profilo socio-linguistico ed emotivo-psicologico), nonché delle dinamiche di relazione tra autore e lettore. Applicando il quadro teorico-metodologico presentato nei capitoli precedenti, viene analizzata una selezione di macro-sequenze riconducibili a sei macro-tematiche principali affrontate da al-Aswānī nel romanzo, cui vengono dedicati altrettanti paragrafi: Il mondo di Zakī, che introduce l’ambiente – il quartiere del Cairo e il palazzo – e uno dei protagonisti del romanzo; Coppie: relazioni sentimentali e carnali, incentrato sulle relazioni di coppia tra alcuni personaggi; Donne protagoniste, protagoniste, appunto, di storie d’amore o di sesso, ma talvolta vittime di violenze fisiche e psicologiche; Stato e società, con la critica – centrale nel romanzo – a temi quali corruzione, immobilità sociale, disillusione, fomentazione dei movimenti islamici ed estremisti, perbenismo; La religione, l’Islam in crisi, tra fondamentalismo e relativismo; L’edificio metafora, Palazzo Yacoubian, il contesto e lo «spazio fisico che rappresenta il contenitore ideale di tutte le vicende che hanno dato vita all’intreccio narrativo» [p. 201]. I risultati di questa analisi a doppio registro, narratologica e sociolinguistico-dialettologica, delle diverse unità narrative prese in esame – la maggior parte delle quali sono corredate di Sommari che ne riassumono i tratti salienti, ovvero personaggi, situazioni, funzioni del discorso (espressiva, persuasiva, informativa) e scelte linguistiche – mettono in evidenza, relativamente alle scelte linguistiche operate dall’autore, in particolare: l’incidenza delle parti in arabo standard (fuṣḥà) e di quelle in dialetto egiziano (‘āmmiyyah); le interferenze tra le due varietà e l’intervento di forme intermedie o “miste”; i diversi marcatori lessicali, morfosintattici e fraseologici che caratterizzano l’una o l’altra varietà; le differenze di registro; i fenomeni di commutazione di codice. Un aspetto interessante che emerge è la correlazione tra la scelta linguistica dell’autore con le diverse varietà del continuum, e la natura stessa di questa relazione. Nella sua scelta – talora realistica talaltra opportunistica (come l’uso della fuṣḥà per conferire un tono formale o solenne al discorso, o per far coincidere la sfera religiosa con la lingua standard) – l’autore si muove liberamente sul continuum che non rappresenta soltanto il punto di riferimento, reale e oggettivo, nella rappresentazione della realtà sociolinguistica, ma diventa esso stesso uno strumento socio-linguistico e una strategia stilistica – in certi casi retorica – di espressione artistica nella trasposizione, ideale e soggettiva, dei fatti sociolinguistici e dei comportamenti linguistici dei personaggi del romanzo.

Nelle Conclusioni [pp. 213-218], Avallone rileva infatti che al-Aswānī «ricorre a una o all’altra varietà per rendere riconoscibili alcuni fattori essenziali del discorso, del testo che in esso si realizza e del dominio culturale in cui s’inserisce» [p. 214], ma osserva altresì che in alcuni casi egli sacrifica il realismo nella forma a beneficio del contenuto, dei temi e del messaggio generale del romanzo: «anche se riesce a raggiungere pienamente l’obiettivo di rappresentare le diverse variabili sociolinguistiche pertinenti, l’autore compie una scelta che nel significante sacrifica quel realismo che è invece rilevante e fondamentale nel significato, provocando così una discrasia tra i due piani» [p. 216].

Corredano il volume due Appendici finali, una breve Nota biografica sull’autore [pp. 221-223], e il Corpus testuale [pp. 225-296], che include la trascrizione dell’originale delle sequenze analizzate.

Seguendo Lentin, l’apporto innovativo del lavoro di Avallone risiede nel fatto che esso rappresenta – a nostra conoscenza – il primo studio a fornire una interpretazione «dal punto di vista sociolinguistico o, meglio, attraverso la sociolinguistica» [p. 14, enfasi mia] di un romanzo arabo contemporaneo. L’autrice infatti propone una chiave di lettura alternativa di un’opera già ampiamente nota alla letteratura critica dimostrando, in definitiva, come la sociolinguistica possa essere uno strumento non solo di rappresentazione, ma anche di analisi letteraria. Nel far ciò, Avallone restituisce al lettore una prospettiva inedita che pone al centro del romanzo la posizione autoriale nella sua complessità – che si compone delle sue scelte contenutistiche, tematiche, stilistiche e socio-linguistiche – e invita lo studioso di un romanzo arabo, ancor più se moderno-contemporaneo e di taglio realista, a dare importanza alla dimensione socio-linguistica nella contestualizzazione dell’opera, del suo autore, e della sua ricezione.

Cristiana Bozza


1Dal romanzo, inoltre, è stato tratto un film omonimo nel 2006, a cui Avallone dedica in questo volume una breve sezione, Nota sulla versione cinematografica del romanzo [pp. 210-211], in cui si sofferma sulle scelte linguistiche rilevando che, a differenza del romanzo improntato su una maggiore e più realistica varietà e variazione linguistica, nel film la lingua utilizzata è principalmente l’arabo egiziano vernacolare.

2al-Sa‘īd M. Badawī, Mustawayāt al-‘arabiyyah al-mu‘āṣirah fī Miṣr, Dār al-Ma‘ārif, al-Qāhirah 1973.

3B. Hary, The importance of the Language Continuum in Arabic Multiglossia, in Alaa Elgibali (ed.), Understanding Arabic. Essays in Contemporary Arabic Linguistics in Honor of El-Said Badawi, The American University in Cairo Press, Cairo 1996, pp. 69-90.

4Come rileva l’autrice, le due parti riflettono rispettivamente le categorie “esistenti” ed “eventi” individuate da Chatman. S. Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, Il Saggiatore, Milano 2010.

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Cristiana Bozza |