Due romanzi sauditi a confronto: Malāmiḥ (Lineamenti) di Zaynab Ḥifnī (Dār al- Sāqī, Bayrūt 2006, pp. 160) e Raġma al-firāq (Malgrado la separazione) di Nūr ‘Abd al-Mağīd (Maktabat al-dār al-‘arabiyyah li ’l-kitāb, al-Qāhirah 2010, pp. 360).

Sin dagli anni ’90 del secolo scorso la letteratura femminile dell’Arabia Sau- dita ha conosciuto una fase di notevole sviluppo che si è tradotta in una graduale e prolifica pubblicazione di romanzi in patria e fuori dai confini nazionali. Nella pri- ma decade del 2000, poi, molte scrittrici saudite hanno richiamato l’attenzione dell’editoria, sia araba che straniera, per le tematiche delle loro opere considerate “trasgressive” perché incentrate sull’amore fisico, sia etero che omosessuale. A questo filone appartiene il romanzo Malāmiḥ di Zaynab Ḥifnī1. Il libro è un ama- ro ritratto della condizione della donna saudita che, nonostante le innovazione tec- nologiche e il progresso economico che vive il paese, tuttora soggiace in una posi- zione altamente discriminatoria rispetto all’uomo. Ambientato tra Jeddah e La Mecca, Malāmiḥ è la storia di Ṯurayyā, una donna che svende il proprio corpo ai superiori del marito consenziente, Ḥusayn, per consentirgli di fare carriera. In questo modo la coppia conosce un rapido e improvviso miglioramento delle pro- prie condizioni di vita: i due cambiano casa, iniziano a viaggiare in tutta Europa soggiornando nei migliori alberghi, comprano vestiti all’ultima moda. Tutto dura finché il marito, dopo anni in cui la moglie ha mercificato il proprio corpo, la la- scia per sposare una giovane segretaria inglese, che lo rende padre. Ṯurayyā, però, è una donna combattiva e tenace che, dopo il divorzio, decide di rimettersi  in gio- co e apre un’attività in proprio, vendendo abiti femminili di provenienza europea. La nuova attività la  mette in  stretto  contatto con le  donne della sua città e il suo atelier diviene  una  sorta  di  “salotto  femminile”  in  cui  le  donne si incontrano, chiacchierano e si confidano. In questo modo Ṯurayyā scopre il mondo dell’amore saffico e ne vive direttamente alcune esperienze. Malāmiḥ mette in luce la solitu- dine delle donne saudite che, a volte, sembrano ricorrere ad amori omosessuali per l’impossibilità di relazionarsi con gli uomini,  a  causa delle rigide regole sociali imposte dalla corrente wahhabita.

Questo romanzo di Zaynab Ḥifnī, già nota al pubblico per i suoi scritti sulla sessualità, ha destato grande scalpore in Arabia Saudita tanto da essere censurato. In verità, Malāmiḥ non ha nulla di propriamente trasgressivo, se si escludono al- cune dettagliate descrizioni del corpo femminile che, tuttavia, non scadono mai nella volgarità. È, invece, un romanzo profondo che invita il lettore a riflettere sul- la condizione femminile del paese arabo più tradizionalista. Le sue pagine sono una severa critica alla società saudita, pronta a perdonare le sopraffazioni e le pre- varicazioni commesse da un uomo, ma non gli errori di una donna. Le scelte di vita di Ṯurayyā la condurranno a un epilogo triste e amaro, a differenza di quanto riservato a Ḥusayn che, pur avendo condiviso e usufruito delle scelte della moglie, conoscerà una possibilità di riscatto attraverso la nuova paternità. L’opera, inoltre, affronta anche un delicato tema di interesse internazionale: il terrorismo arabo o, meglio, l’arruolamento nelle varie organizzazioni jihadiste di giovani arabi che, da legittimi paladini della patria araba, si trasformano in fanatici combattenti disposti a morire in nome della guerra contro gli infedeli e contro ogni forma di modernità. È quanto accade al figlio di Ṯurayyā, Zāhir, che, dopo aver combattuto in Afgha- nistan e in Pakistan, muore dilaniato da un missile durante l’occupazione america- na dell’Iraq. Malāmiḥ è un’opera dallo stile molto lineare e gradevole, scritto in una lingua araba classica che solo in qualche dialogo cede il posto al dialetto.

Sempre nella letteratura saudita al femminile, sebbene appartenente a un ge- nere diverso, emerge Raġma al-firāq di Nūr ‘Abd al-Mağīd2. L’opera, ambientata al Cairo, presenta uno spaccato di vita avvincente e intrigante di una famiglia egi- ziana che, attraverso le vicissitudini quotidiane, intrise di amore e rancore, bontà e cattiveria, conduce il lettore in un viaggio introspettivo nell’animo umano, un viaggio interiore alla ricerca della felicità che, una volta raggiunta, però, sfugge dalle mani o si perde in un solo colpo. Raġma al-firāq è un romanzo tutto “al fem- minile”, nel senso che le protagoniste principali sono donne, giovani e meno gio- vani, istruite o analfabete, ricche o povere, ma sempre determinate e prime attrici della propria vita.

La trama si apre con i due personaggi, Dinā e Ḥasan ‘Abd al-Karīm. Lei è una bella ragazza di Miṣr al-Ğadīdah, rione del Cairo, che lavora presso l’elegante al- bergo “Le Méridien” di Heliopolis. Ḥasan ‘Abd al-Karīm, invece, è impiegato in una delle più grandi agenzie di Borsa della città. I due sono in procinto di sposarsi, per poi andare ad abitare a casa di Dinā, insieme alla madre di lei, Nağwà. Vedova da diversi anni, Nağwà è una donna dal carattere forte e deciso che, dalla morte del marito Muḫtār, vive dedicandosi completamente alla sua unica figlia. Sempre a Miṣr al-Ğadīdah abita la famiglia di Hāšim, studente universitario ventenne, fi- glio di Hudà, uno dei più importanti avvocati del foro cairota. Hudà è una madre molto apprensiva che aspetta quotidianamente il ritorno del figlio dall’università, come se fosse ancora un bambino. La sua è stata una maternità sofferta, dal mo- mento che, per lungo tempo dopo il matrimonio, non era riuscita a rimanere incin- ta. L’assenza di figli induce la coppia ad adottare, circa vent’anni prima, ‘Āidah, un’orfana di quattro anni che aveva perso i genitori in un incidente. ‘Āidah divie- ne, così, il motivo di vita per Hudà, finché, sei mesi dopo l’adozione della piccola, Hudà scopre di aspettare un bambino. Le vicende delle due famiglie, quella di Dinā e di Hāšim, si intersecano tra loro, perché le due mamme sono amiche e ‘Āi- dah e Dinā sono cresciute insieme, come due sorelle.

La trama si complica quando Hāšim scopre di amare la sorellastra ma, comu- nicata la notizia alla madre, quest’ultima va su tutte le furie: la ragazza non solo è più grande di lui, ma ha origini molto umili. La nonna era, infatti, una loro dome- stica. Perciò Hudà, all’insaputa del figlio, chiede ai parenti di ‘Āidah di riprender- si la nipote, che è costretta a tornare dalla famiglia di origine in un villaggio pres- so al-Manṣūrah. Nel frattempo, Dinā e Hāšim, ignorando il motivo della partenza di ‘Āidah, si mettono in viaggio per al-Manṣūrah con l’intenzione di riportare la giovane a casa. Arrivati a destinazione, i tre si incontrano e ‘Āidah, appartatasi con Dinā, le confida la volontà dei genitori di Hāšim di tenerla lontana dal figlio. Inoltre, ‘Āidah le confida che da lì ad una settimana avrebbe sposato Ṣalāḥ, un giovane del posto conosciuto appena il giorno prima. ‘Āidah, però, si fa promette- re dall’amica di non riferire nulla ad Hāšim del loro dialogo.

Ṣalāḥ, che incarna lo stereotipo negativo del maschio arabo, è descritto sin dall’inizio come un uomo gretto e meschino: proveniente da Londra, dove vive e lavora, è rientrato in patria con un unico scopo, quello di trovare una moglie del luogo. Con la mediazione di alcuni conoscenti, la scelta cade su ‘Āidah che, dopo il matrimonio, si sarebbe trasferita a Londra con lui. La permanenza di ‘Āidah in Europa è l’occasione per l’autrice di trattare temi molto attuali: l’integrazione dei musulmani nella società europea e, di riflesso, l’immagine che gli occidentali han- no dei musulmani, con i quali ormai coabitano. A un certo punto, la narrazione viene scossa da un nuovo e inaspettato evento: Hudà all’improvviso scompare e ‘Āidah decide di tornare al Cairo per cercarla. Malgrado la separazione e le ostili- tà subìte, gli affetti sinceri rimangono inalterati, tali da far superare tutte le distan- ze e le avversità. Ecco, dunque, spiegato anche il titolo del romanzo.

Raġma al-firāq, nonostante la sua ricca trama, offre una lettura scorrevole, con un linguaggio semplice, a volte addirittura elementare. I dialoghi sono in dia- letto egiziano. È un’opera che, per l’incalzare degli eventi, stimola la curiosità del lettore e lo invoglia a non interrompere la lettura. Nello scorrere delle sue pagine, si ha la sensazione di assistere a un film in cui le scene si succedono in modo di- namico e in un continuo divenire. È indubbio che, a volte, gli episodi appaiono estremamente prevedibili e che in alcuni punti ̶ con gli intrecci di personaggi e  diamori che non riescono a trovare un lieto fine ̶ sembrano ricalcare l’opera egizia- na Zaynab (1914) di Muḥammad Ḥusayn Haykal o i primi romanzi dei pionieri della nahḍah saudita, come Ṯaman al-taḍḥiyyah (Il prezzo del sacrificio, 1959) di Ḥāmid al-Damanhūrī. Eppure, la differenza tra Raġma al-firāq e le opere sum- menzionate non è da poco: le donne di Nūr ‘Abd al-Mağīd rimangono il motore principale di tutta la trama narrativa,  anche laddove appaiono succubi delle con- venzioni sociali e degli schemi tradizionali.

Probabilmente nell’ampio e ricco panorama letterario arabo, Raġma al-firāq non rappresenta una novità; tuttavia, lo è nell’ambito della letteratura saudita al femminile, di cui conosciamo ancora troppo poco. Per questo i due romanzi, pur nelle loro diversità e con i loro limiti, meriterebbero maggiore attenzione perché sono l’espressione di scrittrici appartenenti a una società, quella saudita, fortemen- te in bilico tra tradizione e modernità, tra innovazioni sociali e attaccamento al passato. Vale la pena ricordare che, all’ultima edizione dell’IPAF (International Prize for Arabic Fiction 2011), è stata la saudita Rağā’ ‘Ālim a vincere il primo premio, con il romanzo Ṭawq al-ḥamāmah, a pari merito con il marocchino Muḥammad al-Aš‘arī. Questo a dimostrazione che la scrittura saudita al femmini- le si è ormai imposta nello scenario della letteratura araba in generale, competen- do con opere di autori provenienti da paesi arabi dotati di una più lunga e antica tradizione letteraria.

Elvira Diana

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 1, giugno 2011

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Elvira Diana |