Jacob Høigilt, Comics in Contemporary Arab Culture: Politics, Language and Resistance, I.B.Tauris, London/New York 2019, pp. 229.

in La rivista di Arablit, a. XII, n. 23, giugno 2022, pp. 108-113.

La monografia di Jacob Høigilt, professore associato presso l’Università di Oslo, analizza il genere del fumetto per adulti nei paesi arabi da una prospettiva sociopolitica e sociolinguistica. Questa espressione culturale è assai poco studiata dal punto di vista accademico nell’ambito dell’arabistica e dei Middle East Studies, nonostante sia un’interessante lente per guardare e comprendere gli sviluppi politici, sociali e linguistici in atto nel mondo arabo.
Come chiarito dall’autore nel primo capitolo introduttivo [pp. 1-14], il volume è incentrato soprattutto sulle pubblicazioni provenienti da Egitto e Libano, paesi cardine nella produzione di fumetti e graphic novel per adulti. Il libro, diviso in otto capitoli, comprensivi di introduzione e conclusione, si focalizza su quattro macro-temi: l’autoritarismo, le relazioni di genere, la questione dei giovani e della loro marginalizzazione e le implicazioni sociali e politiche dell’uso della varietà vernacolare (ʿāmmiyyah) nel fumetto.

Nel secondo capitolo, intitolato Mapping the scene [pp. 15-28], viene fornita una panoramica sulla nascita e sullo sviluppo di questo genere letterario in Egitto e in Libano, paesi con una lunga tradizione di fumetti per bambini. Sono stati proprio questi ultimi, infatti, ad aver considerevolmente influenzato in termini grafici e stilistici i fumetti per adulti, definiti «alternative comics»1 [p. 19]. Høigilt sottolinea dunque che il fumetto è stato per lungo tempo pensato come un genere per l’infanzia e che fino al 2011, anno delle rivoluzioni, erano poche le opere rivolte a un pubblico adulto. Fra queste, vengono ricordati due graphic novel: Mitrū (Metro, 2008) dell’egiziano Maǧdī al-Šāfiʿī, che critica duramente il regime di Mubārak, e Carnaval (Carnevale, 1980) del libanese Ǧūrǧ Ḫūrī (in arte JAD), che racconta attraverso la metafora del carnevale la sua esperienza durante la guerra civile libanese (1975-1990). L’autore discute poi della nascita di riviste e collettivi di fumettisti, sottolineando che il clima rivoluzionario da un lato e lo sviluppo dei social network dall’altro hanno favorito la diffusione di questo prodotto letterario e artistico indipendente, che affronta tematiche sociali e politiche rilevanti nel mondo arabo contemporaneo. Tra i più noti collettivi, da cui sono nate le omonime riviste e case editrici, vengono presentati Samandal (al-Samandal), fondato nel 2007 a Beirut, e Tūk Tūk, nato nel 2011 al Cairo2.

Nel terzo capitolo Resistance against authoritarianism and war: adult comics before 2011 [pp. 29-57], Høigilt mostra che i fumetti criticavano il sistema autoritario e repressivo già prima dello scoppio delle rivoluzioni. L’autore riprende il caso di Metro (Mitrū), pietra miliare che ha inaugurato il nuovo trend di fumetti a sfondo sociopolitico, ma mantiene soprattutto il focus sul Libano, paese pioniere in questo campo. È infatti il filone dei war comics libanesi, secondo l’autore, ad aver gettato le basi per l’ingresso della critica politica in questo genere letterario. Queste opere, che si discostano dalla tradizione dei racconti eroici dei fumetti di guerra americani ed europei, sono per lo più dei resoconti intimi e personali di come i conflitti influenzino la vita della gente comune. L’autore analizza in particolare le pubblicazioni di quattro fumettisti: JAD, Zaynah Abī Rāšid, Līnā Mirhiǧ e Māzin Kirbāǧ. Presentando e descrivendo numerose vignette, Høigilt permette al lettore di godere delle immagini suggestive di queste opere e di osservare i diversi stili narrativi e grafici dei fumettisti, e la rappresentazione che questi danno della guerra nei loro lavori. Nell’ultima parte del capitolo, poi, viene analizzata la critica all’autoritarismo nelle pubblicazioni di Samandal, prendendo in esame The Educator (L’educatore) di Fūʾād Mizhir e Ṣālūn Ṭāriq al-Ḫurāfī (Il mitico salone di Ṭāriq) di ʿUmar Ḫūrī (2007), che, ambientati in società distopiche governate da regimi totalitari, usano immagini metaforiche per criticare il sistema settario libanese. Tramite questi esempi, dunque, Høigilt sottolinea che fumetti di critica a carattere politico esistevano già ben prima del 2011. Le rivoluzioni hanno tuttavia segnato uno spartiacque per lo sviluppo della cultura pop e indipendente nel mondo arabo, e dunque anche del fumetto per adulti.

Nel quarto capitolo Comics in revolutionary and post-revolutionary Egypt [pp. 58-84], l’attenzione si sposta sull’Egitto e sul contributo dei fumetti nel portare avanti le istanze rivoluzionarie e la critica all’autoritarismo e al patriarcato durante e dopo le rivolte. L’autore prende quindi in esame in particolare due opere di Ḥanān al-Karārǧi, che raccontano la ṯawrah: 18 Days (18 giorni, 2011) e Taʾṯīr al-ǧarādah (L’effetto locusta, 2014) e si sofferma sulle tecniche grafiche e lo stile, definendo i due graphic novel «manga arabi» [p. 63]. La seconda parte del capitolo è incentrata invece sulla critica politica e sull’uso dello humor nei fumetti egiziani tramite l’analisi dei lavori di Andīl, Šināwī, Raḥmah e Mīǧū, membri del collettivo Tūk Tūk. Per spiegare come questi fumettisti siano riusciti a sfuggire alla severa censura dei regimi, l’autore riprende il concetto di «hidden transcripts»3 elaborato da Scott (1992). Si tratta di una strategia retorica e narrativa per esprimere in maniera ambigua e velata, spesso usando l’ironia e lo scherzo, il dissenso e la critica, che normalmente rimangono limitati alla sfera privata e non vengono pubblicamente condivisi per paura di ritorsioni.

Il capitolo successivo, dal titolo Gender relations [pp. 85-125], esplora la questione di genere e il fumetto come strumento di critica e resistenza contro le discriminazioni e l’oppressione della donna in società patriarcali in cui la violenza endemica diventa anche una forma di controllo da parte dello Stato. Viene in primo luogo sottolineato il ruolo centrale delle fumettiste nei collettivi e nella produzione di fumetti per adulti nei paesi arabi, ruolo che invece è sempre stato marginale nelle produzioni occidentali. In particolare, l’autore considera personalità di spicco in questo ambito, quali l’egiziana Rīm Muḫtārī e la libanese Līnā Mirhiǧ, tralasciando però nomi come Trāsī Šahwān, artista e attivista libanese, le cui opere sono incentrate sull’empowerment femminile e denunciano le discriminazioni di genere. Inoltre, nel capitolo, viene mostrato che i contenuti legati alla violenza e agli stereotipi di genere, ma anche la presenza di personaggi femminili forti, occupano uno spazio notevole nel fumetto arabo contemporaneo. Infine, vengono analizzate, attraverso numerose vignette, le tecniche grafiche e narrative più utilizzate per affrontare la questione di genere in modo (in)diretto e suggestivo: tra queste, l’uso dello humor, l’iperbole, il simbolismo visuale e la disposizione delle tavole, che possono essere organizzate in maniera sequenziale oppure non lineare per giustapposizione di immagini spaziotemporalmente distanti tra loro, ma strettamente correlate a livello di significato.

Senza tralasciarne l’intento critico, nei successivi due capitoli Høigilt analizza l’impatto sociale e linguistico del fumetto. In particolare, nel capitolo 6, Youthfulness and the vernacular [pp. 126-160], l’autore sposta l’attenzione sulla questione della marginalizzazione dei giovani nella sfera pubblica e negli spazi culturali. Esaminando una selezione di fumetti da Egitto, Libano, Marocco e Tunisia, egli evidenzia che questo genere è diventato un mezzo di espressione che ha dato voce ai giovani per fare non solo satira e critica attraverso l’uso dello humor e, talvolta, di un linguaggio scurrile, ma anche per condividere sentimenti di alienazione e solitudine. Høigilt colloca così il fumetto in un quadro più ampio di prodotti culturali indipendenti, che definisce «culture of informality» [p. 156], prendendo in considerazione altri media esemplari in questo senso, quali la musica e le riviste giovanili. Infine, afferma l’esistenza di una «informal literacy» [p. 158], associata alla critica sociopolitica e alla messa per iscritto del dialetto. Egli inizia dunque ad esaminare l’aspetto linguistico di questi prodotti letterari ed evidenzia la tendenza a scegliere la ʿāmmiyyah come varietà scritta, trend che va di pari passo anche con gli sviluppi sociolinguistici di cui i social media sono catalizzatori.

Nell’ultimo capitolo Comics and sociolinguistics: Informal literacy, voice and language ideology [pp. 161-191], l’autore approfondisce la questione linguistica. Egli sostiene che la ʿāmmiyyah è preferita dai giovani per distinguersi nel campo culturale, poiché crea un «third space» [p. 168] che consente agli scrittori di criticare le norme della cultura dominante. Pertanto, il vernacolare e lo stile informale, che si ritrovano nel fumetto e nella letteratura indipendente in generale, vengono contrapposti allo stile artificioso della fuṣḥà, espressione della cultura elitaria. Nella seconda parte del capitolo, Høigilt mette in relazione la lingua nei fumetti con il sistema linguistico e l’ideologia ad esso legata. Secondo l’autore, il fumetto, prediligendo la scrittura in vernacolare, è parte di uno sviluppo sociolinguistico in grado di alterare il modello diglossico tradizionale, che prevede un rigido divario tra la fuṣḥà come varietà scritta e la ʿāmmiyyah come varietà orale, rendendo accettabile anche la scrittura del dialetto in alcuni ambiti. L’autore, tuttavia, sostiene che le motivazioni che portano molti fumettisti a preferire il vernacolare allo standard non sono di carattere ideologico né legate ad un’avversità per la fuṣḥà (avversità definita con l’espressione «zero-sum game» [p. 179]). Al contrario, la ʿāmmiyyah viene scelta per questioni identitarie e presentata come una risorsa per i giovani autori in un sistema linguistico in mutamento.

Infine, nel capitolo conclusivo [pp. 192-195], Høigilt riassume i temi salienti trattati nel volume, gettando le basi per ricerche future sul fumetto per adulti, genere interessante che offre una narrazione alternativa a quella dominante perpetuata dai regimi e che consente quindi agli studiosi di vari ambiti di osservare da una prospettiva bottom-up gli sviluppi sociali, politici e linguistici nel mondo arabo.

Il volume presentato è il risultato di uno studio pluriennale condotto dall’autore, che aveva già trattato il fumetto per adulti dal punto di vista sociolinguistico con un focus sul legame dialetto-critica e dal punto di vista sociopolitico, approfondendo la tematica dell’autoritarismo e del sistema patriarcale in Egitto, in sue precedenti pubblicazioni4. In questa monografia, Høigilt ha efficacemente affrontato in parallelo le questioni collegate alla critica sociale e politica (autoritarismo, patriarcato, tematica di genere) e l’aspetto linguistico (prevalenza del vernacolare) collegato alla giovane età dei fumettisti, ai temi trattati nelle loro opere, alle questioni identitarie, al concetto di «informality» e di «voice» [p. 170] per distinguersi in un ambiente culturale e sociale che tende a marginalizzare ed escludere giovani e donne. Questo approccio, che indaga insieme gli aspetti politici, sociali e (socio)linguistici di una forma di espressione critica e di dissenso, è stato in parte già adottato in recenti (e poco noti) studi sui Linguistic Landscapes (panorami linguistici), che hanno analizzato graffiti, cartelli, striscioni e altri documenti linguistici e/o artistici nell’ambito di proteste, contestazioni, rivolte, includendo anche le rivoluzioni del 2011 come casi studio5. Da un punto di vista estetico, poi, il libro appare accattivante sin dalla copertina: grazie alle immagini e alle tavole che l’autore presenta e analizza, i lettori possono entrare in contatto con la bellezza e la potenza di questi fumetti, osservare i diversi stili degli artisti e i modi in cui questi ultimi trattano le varie tematiche. La presenza di tante vignette risulta, inoltre, particolarmente preziosa, alla luce delle difficoltà nel reperire queste opere in formato digitale o cartaceo6. Anche le parti di interviste e i numerosi aneddoti riportati, testimonianza dell’intenso lavoro di ricerca sul campo da parte dell’autore, contribuiscono a rendere la lettura scorrevole e piacevole.

Questo volume può vantare il fatto di essere un unicum fra le monografie dedicate al genere del fumetto per adulti nel mondo arabo contemporaneo. L’opera, come riconosciuto dallo stesso Høigilt, non ha tuttavia la pretesa di essere esaustiva [p. 6], poiché si sofferma solo sui fumetti di Libano ed Egitto, trascurando quasi completamente le pubblicazioni in altri paesi, come la Tunisia, il Qatar, il Marocco, la Siria, la Palestina, che pure godono di un panorama pop vivace. Il libro, inoltre, esamina quasi esclusivamente la produzione di due collettivi, Samandal e Tūk Tūk, che sono però i più prolifici e i più noti anche a livello internazionale. Di questi, l’autore non tratta in toto le tematiche che li contraddistinguono, ma si concentra solo sulle più salienti e trasversali, che riescono comunque a includere diverse sotto-tematiche correlate: dai war comics al filone della distopia per criticare l’autoritarismo, dai racconti di violenze e molestie a storie che vedono come protagonisti personaggi femminili forti per affrontare la questione di genere. Queste ultime storie di empowerment della donna, insieme alla serie di numerosi lavori che trattano la sessualità (e l’omosessualità), forse avrebbero meritato più spazio, anche in termini di vignette, all’interno del volume. Molto efficace e originale è comunque l’approccio adottato dall’autore che, indagando insieme gli aspetti politici, sociali, i risvolti linguistici, senza mai trascurare l’aspetto iconografico e stilistico, esamina il genere del fumetto a tutto tondo e può offrire interessanti spunti anche metodologici per ulteriori ricerche sulla letteratura indipendente e sulle espressioni culturali pop in generale (street art, musica, cinema, giornali e riviste, graphic design, ecc.) nel mondo arabo contemporaneo.

Giulia Aiello


1C. Hatfield, Alternative Comics: An Emerging Literature, University Press of Mississippi, Jackson 2005.

2Su questi e altri collettivi nei paesi arabi, cfr. L. Ghaibeh; S. Gabrielli (eds.), Nouvelle génération: la bande dessinée arabe aujourd’hui = The new generation: arab comics today [exposition, Angoulême, Cité internationale de la bande dessinée et de l’image, 25 janvier-4 novembre 2018], The Muʾtaz and Rada Sawwaf Arab Comics Initiative, The American University of Beirut, Marseille, Alifbata, 2017.

3J.C. Scott, Domination and the Arts of Resistance: Hidden Transcripts, Yale University Press, New Haven 1992.

4J. Høigilt, Dialect with an Attitude: Language and Criticism in New Egyptian Print Media, in The Politics of Written Language in the Arab World. Writing Change, Edited by G. Mejdell; J. Høigilt, Brill Academic Publishers, Leiden-Boston 2017, pp. 166-189; Id., Egyptian comics and the challenge to patriarchal authoritarianism, in “International Journal of Middle East Studies”, 49, 1 (February 2017), pp. 111-131.

5Su Linguistic Landscape e dissenso, cfr. Conflict, Exclusion and Dissent in the Linguistic Landscape, Edited by Rani Rubdy; Selim Ben Said, Palgrave Macmillan, London 2015; Ch. Hélot; M. Barni; R. Janssens; C. Bagna (eds.), Linguistic Landscapes, Multilingualism and Social Change, Peter Lang, Frankfurt am Main-Berlin-Bern-Bruxelles-New York-Oxford-Wien, 2013.

6I siti web dei collettivi, dove alcuni fumetti possono essere scaricati gratuitamente, vengono periodicamente chiusi (per esempio Samandal è bloccato da quasi un anno). Per quanto riguarda il cartaceo, molte opere non sono più state ristampate per vari motivi, tra cui la mancanza di fondi, o perché censurate.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno XII, numero 23, giugno 2022

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Giulia Aiello |