Ibrāhīm Ṭāhā (taḥrīr), Tilka ǧumǧumat al-Šanfarà. Qīmat al-ǧamāl wa ǧamāl al-qīmah fī ši‘r Samīḥ al-Qāsim (Ecco il teschio di al-Šanfarà. Il valore della bellezza e la bellezza del valore nella poesia di Samīḥ al-Qāsim), Dār al-hudà li ’l-ṭibā‘ah wa ’l-našr karīm, Kufr Qara‘ 2011, pp. 298.

Questo volume di critica letteraria di 298 pagine curato dallo studioso palestinese Ibrāhīm Ṭāhā, docente di letteratura araba presso l’Università di Haifa, è un prezioso omaggio alla figura di uno dei più autorevoli scrittori arabi del nostro tempo, il palestinese Samīḥ al-Qāsim (1939).

Divenuto celebre a livello internazionale come uno dei maggiori esponenti della “poesia della resistenza” palestinese – e ancora oggi troppo genericamente ad essa associato – al-Qāsim ha all’attivo una prolifica e diversificata produzione non solo di poesia, ma anche di prosa e teatro.

La sua poesia – scrive nella quarta di copertina Ṭāhā prendendo in prestito una metafora di al-Mutanabbī – è ben rappresentata da due simboli, spada e penna, essendo essa vivida testimonianza delle ingiustizie patite dal suo popolo, così come grido di collera e timbro di affermazione dell’identità collettiva. Il canto dei suoi versi ha accompagnato la lotta dei palestinesi che, privati del “permesso di narrare” la propria vicenda, hanno costantemente fatto ricorso all’espressione artistica, scritta e orale, per annunciare al mondo la loro esistenza e sopravvivere alla mesta realtà quotidiana. In questo senso i poeti della resistenza sono stati artefici della costruzione di un solido sistema di riferimento culturale, facendosi i portavoce del tormento e delle speranze della loro comunità ed avvertendo l’urgenza civile e la responsabilità etica di affermare la «congiunzione tra parola e azione».

Già dal titolo del volume Ṭāhā sceglie di affrontare la poesia di al-Qāsim in un’ampia prospettiva e con un approccio intertestuale, rievocando la figura di al-Šanfarà al-Azdī, il poeta yemenita “brigante” dell’epoca pre-islamica, al-ṣu‘lūk, esempio di audacia e perseveranza, in riferimento alla leggenda del suo teschio, causa della morte del suo ultimo rivale e del compimento postumo della sua vendetta. La forza lirica e rivendicativa senza tempo del poeta nomade risuona nella poesia di al-Qāsim, costellata di segni e riferimenti costanti alla storia e alla tradizione poetica araba antiche. Il teschio di al-Šanfarà ha un valore polisemico. Samīḥ al-Qāsim, di cui è nota la poesia che rievoca la leggenda Intiqām al-Šanfarà (La vendetta di al-Šanfarà), si immedesima nel poeta reietto del deserto; ed il teschio è simbolo ricorrente nella sua poesia, in particolare nell’opera Lā asta’ḏin aḥadan (Non chiedo autorizzazione a nessuno, 1987), dove coniuga dimensione leggendaria, simbolica e profetica.

Ma aggiunge Ṭāhā che il teschio simboleggia «la morte della verità del linguaggio», ma anche «l’ostinata resistenza della metafora». E morte e vita si fronteggiano continuamente nell’opera di al-Qāsim, sia sul piano allegorico che su quello della vivida rappresentazione del reale.

Uno degli sforzi critici del curatore è in effetti quello di interpretare il precipitare di segni e simboli che si accumulano e si giustappongono nel corpo testuale – illuminando così antichi scenari –, come chiavi d’accesso alla tormentata realtà contingente. E ciò anche attraverso un vero e proprio dialogo con il poeta, come ricordato nella premessa, invitato a partecipare e a conferire in seminari accademici sulla sua poesia.

Il volume è composto da 10 saggi critici che ricoprono quasi l’intera produzione lirica di al-Qāsim scandagliandola attraverso differenti approcci teorici e di critica comparata.

Nei primi tre contributi a firma del curatore, si traccia la cornice teorica cui faranno riferimento i successivi interventi. Ṭāhā, nel paragrafo introduttivo, propone una personale lettura estetica dell’opera di al-Qāsim, sostenendo che la sua esperienza poetica poggia su tre assi principali: il talento (al-mawhibah), il punto di vista (al-mawqif), la cultura (al-ṯaqāfah). La correlazione di questi tre perni a suo avviso contraddistingue in modo particolare la più recente produzione poetica, laddove la vasta cultura del poeta ha consolidato il suo innato talento lirico e la sua visione di poeta che, pur affermando la sua appartenenza nazionale e identitaria e il suo legame con la terra palestinese, non hai mai perso di vista la dimensione “umanitaria” universale della scrittura [p. 11]. Nel secondo saggio Ṭāhā prende in esame la relazione tra il testo poetico e la Storia, sia in termini di stile che di contenuto. A tal proposito utilizza l’espressione ‘umq al-tawarruṭ, ossia «profondità del coinvolgimento» [p.14]. Partendo dalla prima produzione lirica, degli anni ‘60 e ‘70, distingue tre tipologie di modelli poetici in relazione al tema centrale della Storia, mostrando alcuni esempi di raccolte che giustificano questa classificazione: una qaṣīdat al-maqām (poesia del luogo), imperniata sulla rappresentazione di un frammento storico, una qaṣīdat al-siyāq (poesia del contesto storico) che fotografa il corso degli eventi e una qaṣīdat al-ḥāl (poesia dello stato) che coglie il riflesso dell’impatto provocato dalle vicende storiche nell’animo del poeta. Gli anni ‘70 sanciscono l’inizio di un graduale affrancamento della poesia di al-Qāsim dal “giogo” della Storia e di una ricerca lirica che si muove su più binari, come accade anche ad altri grandi poeti engagé, tra cui Maḥmūd Darwīš e ‘Abd al-Wahhāb al-Bayyātī.

Alla lettura storicista segue nell’ultimo suo saggio una lettura strutturalista di una serie di raccolte poetiche di cui rintraccia i profondi nessi intertestuali con il patrimonio culturale arabo islamico, ma anche occidentale. La sua attenzione è rivolta alla provocatoria raccolta Muqaddimat Ibn Muḥammad li-ru’à Nūstrāsamīḥdāmūs (Introduzione di Ibn Muḥammad alle visioni di Nostra-Samīḥ-damus, 2006), gioco di parole auto-referenziale in cui il nome del poeta è interposto in quello del celebre scrittore di profezie francese del XVI secolo, Nostradamus. Qui il camuffamento letterario del poeta è indagato nella peculiarità delle soluzioni stilistiche e topiche adottate, in particolare nel rapporto tra visioni poetiche e profetiche all’epoca del grande dibattito sullo scontro di civiltà. Con questa raccolta, precisa Ṭāhā, il poeta lascia intendere che la scrittura è un progetto che non può prescindere dalla lettura e quindi dalla conoscenza della letteratura mondiale e che le grandi opere letterarie del passato sono sempre disponibili a essere rivisitate, riadattate e reinvestite di senso per comprendere il presente [pp. 36-37].

I successivi contributi esplorano aspetti specifici dell’opera del poeta sotto svariate angolazioni. Da segnalare il saggio di Iḥsān al-Dīk, corredato da un ricco apparato bibliografico, incentrato sull’espediente estetico del camuffamento che al-Qāsim adotta nell’opera Kalimat al-faqīd fī mahraǧān ta’bīnihi (Il discorso del defunto durante la sua cerimonia funebre, 2000), riprendendo i drammi di Shakespeare per interpretare la realtà palestinese. Il saggio prende in esame la simbologia della maschera in rapporto all’elemento leggendario, soffermandosi sull’impiego in chiave allegorica delle figure di Amleto che rappresenta il poeta e di Ofelia che rappresenta la Palestina. Interessante l’analisi in chiusura che pone in evidenza come il dilemma esistenziale di Amleto diventi in modo fortemente allusivo perno centrale sia nel discorso relativo alla madre/la civiltà araba, sia in quello riferito all’amata Ofelia/la Palestina [pp. 78-83]. Su questa opera torna anche Ḥusayn Ḥamzah, il quale mette in rilievo le forze antagoniste che sul piano tematico animano diverse raccolte del poeta. E ciò in particolar modo nelle poesie del compianto di sé, riṯā’ al-ḏāt, a partire dalla dicotomia vita/morte, motivo ricorrente nella produzione di al-Qāsim, per poi indagare i rapporti di forza all’interno di un gruppo di binomi preponderanti a livello testuale, quali voce/silenzio, inizio/fine, memoria/oblio, cecità/vista [pp. 89-100].

Calandoci nelle atmosfere della tradizione poetica antica, Ḫayr Allāh Sa‘īd propone uno studio critico della recente lirica Baġdād (2008), da lui definita come un prezioso esempio di mu‘allaqah contemporanea (Mu‘allaqat Samīḥ al-Qāsim al-mu‘āṣirah è appunto il titolo del suo saggio [p. 107]).

Mentre riguardo alla già citata Kalimat al-faqīd fī mahraǧān ta’bīnihi è l’uso beffardo del paradosso ironico ad essere il fulcro dell’analisi di ‘Abd al-Wāḥid Lu’lu’ah, in relazione al contesto politico palestinese.

Un ritorno alla produzione politica dei primi anni è invece offerto dal lungo saggio di Mabrūk al-Sayyārī che prende in esame le raccolte Dāmī ‘alà kaffī (Il mio sangue sulle mani, 1967) e Duḫḫān al-barākīn (Il fumo dei vulcani, 1968), indagando a fondo l’influsso dei dettami ideologici e stilistici del realismo socialista sulla poesia della resistenza di al-Qāsim. In un successivo paragrafo l’autore estende lo sguardo ad alcuni elementi topici affrontati in quelle raccolte, quali la realtà economica [p. 182], la questione sociale [p. 187], la dimensione esistenziale [p. 195], il rapporto con il luogo [p. 196] e con il tempo [p. 200].

Gli ultimi due contributi ad opera di Nabīh al-Qāsim sottolineano il valore di due opere considerate un punto di svolta nella produzione del poeta palestinese, ovverossia Lā asta’ḏin aḥadan e Subḥah li ’l-siǧillāt (Un rosario di registri, 1989). Esse segnano un cambiamento estetico e di prospettiva, secondo il critico, percepibile nell’uso del linguaggio e delle immagini [p. 214]. Anche se permane la preoccupazione di al-Qāsim per la causa e il destino del suo popolo, è il trattamento poetico di questo soggetto a differire rispetto alle opere precedenti. Attraverso alcuni esempi poetici Nabīh al-Qāsim sostiene che la scrittura di al-Qāsim in queste due raccolte riveli una maggiore tendenza al ripiegamento nella sfera intima e all’obliquità semantica fino a mostrare tratti surrealistici. Si può osservare un accostamento alla visione di Adūnīs, laddove la poesia secondo al-Qāsim non deve riflettere la realtà, bensì poter crearne una nuova, poter creare una vita autonoma più vera e bella.

Questa è senza dubbio una riflessione critica importante che consente di avere uno sguardo più articolato e completo del pensiero e dell’evoluzione poetica di al-Qāsim.

In appendice compaiono delle schede tecniche sull’autore trattato, la sua biografia [pp. 273-276] e l’elenco completo delle sue opere [pp. 293-298], oltre a una sezione – comune a diversi volumi di critica letteraria araba – riservata ai giudizi sulla sua esperienza poetica, tratti da articoli di giornale e recensioni del passato, espressi da eminenti esponenti della cultura araba, tra cui spiccano i nomi di Maḥmūd Darwīš [p. 285] e Fārūq Šušah [p. 279].

Si avverte tuttavia l’assenza di una bibliografia generale ripartita per capitoli, o in alternativa una bibliografia essenziale sulle maggiori opere critiche, prodotte in lingua araba e non, sulla figura di al-Qāsim. È una carenza importante in particolar modo per il lettore non esperto della sua poesia, privato di uno strumento indispensabile per approfondire lo studio del poeta e per conoscere i precedenti lavori. Sorprende inoltre una certa disomogeneità nell’impostazione editoriale, giacché alcuni contributi presentano un buon corpus di riferimenti bibliografici a piè di pagina, altri una totale assenza. Compaiono anche citazioni di versi di al-Qāsim non riportate in nota, e ciò a scapito del lettore e dello stesso poeta.

In conclusione, al di là di queste criticità metodologiche ed editoriali, il saggio rappresenta dal punto di vista della concezione strutturale e dei contenuti un innovativo contributo agli studi critici sulla letteratura araba contemporanea, giacché consente di porre in una nuova luce la figura di Samīḥ al-Qāsim, enfatizzandone in primis la complessità estetica e la profondità della sua ricerca lirica. Questo perché, come in precedenza accennato, la sua poesia è stata esaminata da studiosi arabi ma anche occidentali in passato perlopiù in relazione alla questione della terra, dell’identità e della lotta nazionale, e dunque spesso sottoposta – in modo riduttivo – a letture principalmente politiche o comunque ideologiche. E ciò non ha sempre consentito di conferire un adeguato riconoscimento letterario alla qualità, al valore estetico e alla ricchezza tematica e stilistica di una poesia che si pone decisamente in una posizione dialettica con la grande tradizione araba, pur rinnovandosi e rimodellandosi continuamente.

I diversi contributi critici presenti in questo saggio vanno dunque in questa direzione: componendo un quadro variegato ed omogeneo della produzione dell’autore dalle prime tappe ad oggi, esaltano la pluralità di esperienze e di visioni che permeano la sua scrittura e la sua poetica. Suggeriscono, dunque, che per capire in profondità la poesia di Samīḥ al-Qāsim occorre possedere una molteplicità di chiavi di lettura ed un bagaglio non comune di conoscenze del patrimonio storico, folcloristico, religioso e letterario arabo. E questa è una utile indicazione anche per i più giovani studiosi occidentali: soltanto se si è guidati da un tale approccio ermeneutico, nonché dalla pazienza e dalla disponibilità dei buoni traduttori e filologi, si possono cogliere e apprezzare nella poesia di al-Qāsim “la bellezza del valore” e “il valore della bellezza”, virtuose prerogative che ogni opera poetica di respiro universale dovrebbe possedere.

Simone Sibilio

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno II, numero 4, dicembre 2012

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Simone Sibilio |