Hoda Elsadda, Gender, Nation, and the Arabic Novel: Egypt 1892-2008, Edinburgh University Press, Edinburgh 2012 (pp. xlii + 261).

Gender, Nation, and the Arabic Novel: Egypt 1892-2008, di Hoda Elsadda, inaugura la serie “Edinburgh Studies in Modern Arabic Literature”, recentemente proposta in collaborazione dalla Syracuse University Press e dalla Edinburgh University Press. È di sicuro interesse trovare uno studio incentrato su una prospettiva di genere come scelta introduttiva per una collana editoriale la cui novità consiste nel focus sulla produzione letteraria araba dal 1800 fino ai giorni nostri. Questa informazione, benché minima, lascia intuire la varietà e la novità delle impostazioni teoriche recenti con cui la letteratura araba viene analizzata, ma soprattutto, è indice della validità e del livello di integrazione interdisciplinare raggiunti dagli studi di genere. Altro dato di tutto rilievo è il “posizionamento” dell’autrice: Hoda Elsadda, infatti, vanta una corposa produzione accademica nel campo della letteratura araba così come in quello della critica femminista, e una carriera sviluppatasi tra centri di studio sia occidentali che del mondo arabo.

In Gender, Nation, and the Arabic Novel: Egypt 1892-2008 l’analisi delle rappresentazioni di mascolinità e femminilità nel discorso narrativo diventa uno strumento analitico: oggetto d’indagine di questo lavoro sono i processi di formazione e sviluppo della letteratura araba. L’analisi è qui portata avanti secondo un taglio preciso, come viene chiarito fin dall’inizio della densa introduzione: «This study engages with the national canon of Arabic literature, using gender as a category of analysis. […] Revisiting the modern Arab literary tradition from a gender lens interrogates the processes of inclusion and exclusion in the canon and potentially leads to the recovery of literary voices that have been marginalized because they did not fit the ideological blueprint of the dominant cultural elite» [pp. xiii-xiv].

Gli assi teorici principali intorno ai quali è strutturato l’approccio della studiosa egiziana sono due e strettamente collegati tra di loro. Da un lato, il romanzo arabo viene osservato alla luce delle dinamiche di formazione del canone letterario, che diventa in questo modo luogo privilegiato per riflettere su concezioni e idee intorno alla nazione e all’identità nazionale. Dall’altro lato, non si può ignorare che la nazione, considerata alla stregua di una «imagined community», ha peculiari caratteristiche di genere, ovvero riflette ed è condizionata da ideologie ad esso legate.

Per quanto riguarda il primo asse, Hoda Elsadda concepisce il romanzo, genere in cui il pensiero nazionalista trova la sua massima espressione, come un «contested site for competing ideologies and actors» [p. xv]. L’estrema rilevanza che questo genere ha raggiunto all’interno della moderna tradizione letteraria araba va analizzata alla luce dei processi di formazione del canone letterario, cioè i suoi meccanismi di esclusione e inclusione. Di conseguenza, interrogando i motivi per cui alcuni testi vengono a far parte del canone, a discapito di altri, è possibile illuminare ulteriormente le dinamiche di produzione culturale nel mondo arabo. In altre parole, come spiegare la (ormai controversa) precedenza accordata a Zaynab in quanto primo romanzo della letteratura araba? Secondo l’autrice di questa monografia, non basta, da un lato, basarsi su una concezione modernista che vede il romanzo come genere di rottura con il passato, sui piani contenutistico e formale insieme (conclusione, tra l’altro, contestata da alcuni studiosi che fanno risalire gli inizi del genere alle neo-maqāmāt di al-Muwaylīḥī e al-Šidyāq). Né, dall’altro lato, è sufficiente rifarsi alla posizione assunta da alcune critiche femministe, le quali ritengono che le scelte siano state dettate dal pregiudizio contro le donne (questa interpretazione sostiene che alcune scrittrici abbiano pubblicato romanzi con anni di anticipo su Haykal). La studiosa egiziana ipotizza che, invece, il requisito principale alla base della canonizzazione di Zaynab come primo romanzo arabo, e di altri successivi testi narrativi, sia stata la capacità di amalgamare elementi del discorso nazionalista moderno (tra cui è importantissima la figura dell’eroe  della nahḍah, l’intellettuale illuminato della élite riformista). In questa prospettiva «literary canons are therefore cultural products shaped by and constitutive of the geopolitics of cultural production at a given historical moment. They can legitimize projects of conquest and domination, as well as projects of resistance and liberation» [p. xix].

La contro-lettura di stampo femminista del canone letterario, così inquadrata, assume una più ampia portata, arrivando a rivisitare alcuni dei principali processi alla base della produzione letteraria e culturale del mondo arabo. La validità di tale ipotesi di lavoro si trova confermata allorché l’attenzione è rivolta alla produzione romanzesca araba del dopoguerra e ai dibattiti intorno alle sue principali caratteristiche, in primo luogo quelli che vedono nell’impegno politico la sua qualità cardinale (sulla scia del celebre saggio di Frederick Jameson). A tal riguardo Elsadda sostiene che la tesi di Jameson sia stata fatta propria dal canone letterario/artistico arabo, che ha pertanto privilegiato una dimensione politica, in ultima istanza legata a doppio filo all’immaginario nazionalista.

Per quanto concerne il secondo asse teorico su cui si muove Gender, Nation, and the Arabic Novel: Egypt 1892-2008, ovvero il rapporto tra genere e nazionalismo anti-coloniale, Elsadda esplicita chiaramente il suo debito teorico nei confronti di un nutrito corpus di studi sul Medio Oriente improntati su prospettive femministe e post-coloniali. Si tratta di saggi che hanno messo in discussione i principali assunti sulla storia del mondo arabo e delle donne arabe, in primo luogo riscoprendo il ruolo delle donne sia nei movimenti di liberazione che nella letteratura, in secondo luogo smentendo tesi eurocentriche che assimilavano precise forme di emancipazione alla modernità e al progresso. Inoltre, mentre è ormai noto che il discorso nazionalista ha ampiamente sfruttato la donna come simbolo della nazione, l’elemento di novità, nel quadro di questa ricerca, è rappresentato dall’inclusione della mascolinità: alla base dell’immaginario nazionalista si trovano, infatti, anche diverse concezioni di uomo ideale, alcune delle quali in contrasto con altre egemoniche.

Gender, Nation, and the Arabic Novel: Egypt 1892-2008 limita la sua indagine alla produzione narrativa di un unico paese, l’Egitto, per due principali motivi: se da un lato è necessario evitare generalizzazioni riguardo al mondo arabo, dall’altro l’Egitto è visto da molti accademici come un luogo privilegiato di osservazione, visto il ruolo preponderante svolto da questa nazione nella nahḍah, soprattutto per quanto riguarda la questione della donna. I nove capitoli che compongono questo saggio sono divisi in tre parti, le prime due delle quali vertono su testi conformi al canone scritti a partire dalla fine del XIX secolo, mentre la terza si concentra sul nuovo tipo di letteratura, sperimentale e ampiamente anticonvenzionale, nota come «letteratura degli anni Novanta».

La prima parte ha come oggetto la fase iniziale del romanzo arabo fino agli anni Trenta. Il primo capitolo ripercorre gli inizi del dibattito su al-marʼah al-ǧadīdah, collocandolo all’interno del più ampio discorso nazionalista, allora in pieno sviluppo. Attraverso l’analisi di articoli apparsi sulla stampa dell’epoca e di opere narrative e saggi brevi (in parte marginalizzati o ignorati da molta critica antecedente), in cui spiccano i contributi delle prime “pioniere” della nahḍah, viene messo in discussione il primato assegnato a Qāṣim Amīn e al suo testo seminale del 1899 in quanto vero inizio del dibattito sulla questione femminile. Già dalla metà del XIX secolo, infatti, tale dibattito era in pieno fervore e al suo interno si contrapponevano posizioni diverse. In aggiunta a ciò, anche i ruoli maschili erano oggetto del contendere, sebbene meno esplicitamente: Elsadda dimostra che, se la condizione della donna era ritenuta responsabile dell’arretratezza del paese, persino nozioni di mascolinità potevano rivestire un ruolo centrale nei discorsi sulla nazione. Il secondo capitolo si concentra sulle figure maschili presenti in alcune opere narrative degli inizi del secolo scorso. Questi lavori, nella lettura qui proposta, diventano siti di negoziazione di differenti posizioni all’interno dei dibattiti sulla resistenza anti-coloniale e sul nazionalismo; in tale ambito svolge ruolo cardine la figura di “eroe della nahḍah” che questi testi propongono o contestano: lette in una chiave di “gendered nationalism”, tali rappresentazioni di mascolinità si misurano con il discorso coloniale, contestandolo o riproducendolo a seconda dei casi. Il terzo capitolo analizza tre opere di Tawfīq al-Ḥakīm da una prospettiva “post-coloniale di genere”. Il discorso di resistenza al dominio straniero proposto dai tre Bildungsroman dell’autore egiziano proietta sulle relazioni tra uomo e donna la violenza dello scontro tra Oriente e Occidente: Hoda Elsadda vede in questi testi chiari esempi di mascolinità post-coloniali moderne, disposte in netta contrapposizione con le femminilità, in modo che sia le une che le altre siano prigioniere della loro funzione di simbolo della nazione.

La seconda parte si addentra ancor di più nel canone del romanzo arabo, esaminandone gli sviluppi successivi in alcuni testi “classici”. Il quarto capitolo affronta la celebre Trilogia di Naǧīb Maḥfūẓ, proponendo una revisione di una pietra miliare, non di meno ampiamente discussa, della storia e della critica della letteratura araba. Gli ideali di mascolinità e femminilità che si trovano rappresentati nei suoi personaggi riflettono, secondo l’analisi portata avanti da Hoda Elsadda, la visione dominante e il discorso modernista delle élites della nahḍah: l’accademica egiziana argomenta che è, dunque, nel senso di aderenza ad un “canone nazionalista”, più che nelle loro preoccupazioni real-socialiste, che questi tre romanzi possono essere considerati un’allegoria nazionale. Il quinto capitolo è incentrato sulla produzione di Laṭīfah al-Zayyāt; nel contrasto tra il suo primo romanzo e le opere successive viene messo in evidenza quanto questa «exemplary committed Arab intellectual» [p. 97] incarni «the precarious and tenuous location of gender politics in Third World nationalist movements» [p. 98]. La studiosa ha dedicato il quinto capitolo allo studio dei romanzi di Ṣunʻallāh Ibrāhīm, rivolgendo lo sguardo in particolare alle sue «defeated masculinities». Secondo Elsadda, i protagonisti creati da questo autore, particolarmente sensibile al lato sessuato del potere, mettono in luce temi quali la devirilizzazione/desessualizzazione dell’eroe nazionalista in seguito alla repressione politica, da un lato, mentre esplorano, dall’altro, le identità post-coloniali nell’era della globalizzazione, cogliendole nei loro accenti di genere, fino a mettere in crisi le tradizionali opposizioni manichee Oriente/Occidente.

La terza parte analizza la recente narrativa sperimentale egiziana, piuttosto eterogenea e difficilmente riconducibile a pochi denominatori comuni, ma generalmente nota come «scrittura degli anni ’90», o al-kitābah al-ǧadīdah; negli ultimi tre capitoli del libro, quindi, lo sguardo si sposta dai margini all’esterno del canone. Infatti, le opere analizzate nella sezione finale di questo studio pongono multiple questioni, tramite la loro non convenzionalità, al canone nazionale egiziano; inoltre, la presenza in questa “generazione” di una particolarmente folta componente femminile, ha dato adito alla definizione, riduttiva, di kitābat al-banāt, esplicitando la natura patriarcale dell’establishment letterario. Il settimo capitolo offre una lettura di romanzi caratterizzati da una scrittura apolitica fortemente centrata sul corpo; qui l’autrice pone in evidenza la capacità di simili testi di contestare la validità dell’imperativo della rilevanza sociopolitica imposto al romanzo arabo. Nell’ottavo capitolo, Elsadda mostra come questa nuova letteratura abbia messo in crisi le concezioni canoniche di identità nazionale, violandone le formule fisse di opposizione Oriente/Occidente e attraversandone i confini immaginari, facendo leva, in particolar modo, sugli aspetti di genere. Infine, il nono capitolo è dedicato a scritture che esplorano nuove identità di genere concepite all’interno di spazi marginali, liminali, sia fisicamente, che socialmente e psicologicamente.

Rasheed El-Enany, nella prefazione al volume, sostiene che simili revisioni della storia e della critica letteraria «almost always result in exciting discoveries, producing a radically different version of the very history everyone thought they knew all about». Bisogna dire che la promessa è mantenuta in pieno: tesi consolidate, come quelle riguardanti il primo romanzo o la Trilogia di Maḥfūẓ, sono messe radicalmente ed efficacemente in discussione; al contempo, si schiudono nuove prospettive su periodi e autori ancora poco studiati. La prima parte è basata su lavori precedentemente pubblicati dalla stessa autrice come da altri studiosi, pertanto risulta estremamente ben informata e strutturata. Le parti successive, però, pur conservando profondità e vis argomentativa, appaiono più rarefatte, ovvero sembrano più che altro indicare tematiche e spunti (spesso è lasciato aperto il campo ad altri studiosi per ulteriori approfondimenti, altre volte è il focus sul nazionalismo a restringere, giocoforza, il campo d’azione).

Gender, Nation, and the Arabic Novel: Egypt 1892-2008, soprattutto grazie al suo impianto teorico, costituisce un utile strumento per lo studioso di letteratura araba, permettendogli di orientarsi in un campo così vasto e articolato quali sono gli studi di genere nel mondo arabo-islamico, e di tracciare significativi legami con la disciplina letteraria. Infine, va detto che questo testo dimostra quanto gli studi di genere siano un ambito disciplinare tutt’altro che accessorio o marginale, nonostante rappresentino per molti versi ancora una novità (com’è il caso degli studi sul mondo arabo-islamico in genere, ma soprattutto per quanto riguarda la letteratura araba). A conferma di ciò, lo studio di mascolinità e femminilità narrative portato avanti da Hoda Elsadda in questo lavoro dimostra quanto simili approcci siano non solo pienamente complementari ad altre prospettive di studio della letteratura, ma anche estremamente produttivi.

Alessandro Buontempo


[12] I testi al centro di questo capitolo sono: Luṣūṣ mutaqāʻidūn (2001) di Ḥamdī Abū Ǧulayl e An takūna ʻAbbās al-ʻAbd (2003) di Aḥmad al-ʻĀydī.

[13] Per chiarire questo nodo è opportuno fare due esempi. Il quarto capitolo è interamente incentrato sulla Trilogia di Maḥfūẓ: mentre è esplorato il significato di quest’opera all’interno di un discorso nazionalista, studi di genere su altre porzioni della sua produzione non sono stati considerati. Nel sesto capitolo, parallelamente a Tilka al-rāʼiḥah, è analizzata un’opera “sconosciuta”, Ḥikāyat ʻAbduh ʻAbd al-Raḥmān (1977) di Asmāʼ Ḥalīm, ma, purtroppo, a questo argomento sono dedicate solo poche pagine: se ne potrebbe cogliere un implicito suggerimento ad approfondire.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno II, numero 4, dicembre 2012

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Alessandro Buontempo |