Isabella Camera d’Afflitto (ed.), Lo Yemen raccontato dalle scrittrici e dagli scrittori, Libreria Editrice Orientalia, Roma 2010.

Sebbene abbia una storia millenaria, per i suoi scrittori lo Yemen è ancora una fanciulla che serba la sua innocenza nonostante sia andata sposa a uomini diversi, che all’indomani delle nozze si sono tutti rivelati brutali e inaffidabili. Il primo marito è “un ospite straniero” in cui non è difficile riconoscere il presidente egiziano Ğamāl ‘Abd al-Nāṣir che aveva garantito il proprio sostegno – anche militare – ai repubblicani dello Yemen del Nord. Il secondo sposo è un “ufficiale della zona” che la vuole tutta per sé e la riduce in catene. Infine, la giovane convola a nozze con un ufficiale della sicurezza che però la sottopone a prove ancora più dolorose, facendola deperire mentre lui diventa sempre più grasso.

Nel racconto Kānat ğamīlah (Era bella) di Muḥammad ‘Abd al-Walī, pubblicato in una raccolta a metà anni Ottanta, è questa la metafora di uno Yemen conteso – ma non veramente amato – dai suoi leader. Nell’epilogo la giovane donna resta in attesa di un cavaliere sconosciuto che possa liberarla dal suo giogo secolare. E, a quattro mesi dall’inizio delle proteste scatenate sulla scia dell’effetto domino che ha travolto la Tunisia, l’Egitto e altri paesi arabi, lo Yemen ancora attende di conoscere il proprio destino. Intanto il presidente ‘Alī ‘Abdallāh Ṣāleḥ, ferito il 3 giugno in un attacco al palazzo presidenziale, è ricoverato in coma farmacologico in un ospedale saudita e a prendere le redini del paese – seppur ad interim e contrastato dal clan di Ṣāleḥ – è il suo vice ‘Abd-Rabbuh Manṣūr Hādī.

Con 24 milioni di abitanti e un migliaio di dollari l’anno di reddito medio procapite, lo Yemen è il più povero tra i paesi arabi: un terzo della popolazione soffre la fame cronica e il 41,8% vive sotto la soglia di povertà (con meno di 2 dollari al giorno). Al potere dal 1978, per accontentare i manifestanti il presidente Ṣāleḥ aveva promesso un aumento di 47$ nelle buste paga di dipendenti pubblici e militari, ma non è servito perché l’opposizione ha continuato a scendere in strada e il 18 marzo i cecchini di regime, appostati sui tetti di un edificio governativo, hanno ucciso 52 persone che dimostravano in modo pacifico nella capitale Ṣan‘ā’, scatenando ulteriore rabbia e causando la defezione del potente generale ‘Alī Muḥsin.

Non è facile comprendere lo Yemen, dalla storia inconfondibile ma resa complessa dagli intrecci tribali e dalle diverse sfumature che qui assume l’Islam, in parte sunnita sciafiita e in parte sciita di rito zaidita. Districarsi tra i tanti eventi che hanno segnato l’evoluzione di un paese dove una dinastia di Imam sciiti ha regnato fino alla proclamazione della repubblica nel 1962, e dove l’unificazione è giunta soltanto nel 1990, può sembrare un’impresa per i soli addetti ai lavori. In realtà la chiave per scoprire questo paese può essere la letteratura con le sue diverse tematiche legate in primis all’emigrazione, all’esilio e ai tentativi di ingerenza straniera.

A venire in aiuto al lettore – specialista e non – è il volume Lo Yemen raccontato dalle scrittrici e dagli scrittori a cura di Isabella Camera d’Afflitto e dato alle stampe dall’Editrice Orientalia di Roma in seguito a un convegno internazionale che si è svolto a Roma nel maggio 2009 presso la Facoltà di Studi Orientali della Sapienza. In duecentocinquanta pagine una ventina di studiosi offrono al lettore i diversi tasselli di un mosaico che, ricomposto nei suoi tanti elementi, rivelano un disegno sorprendente. Sorprendente perché le scrittrici occupano un ruolo di primo piano nonostante le tante difficoltà messe in evidenza nel volume. Il loro ruolo è di denuncia, perché in Yemen molti diritti sono negati, la poligamia è diffusa, in parlamento vi sono solo tre donne e la violenza familiare non è reato.

Nelle diverse opere l’accento viene posto, a più riprese, sull’istruzione femminile come motore di cambiamento perché nel 1971 il 98% delle donne era analfabeta e oggi solo il 31% delle bambine viene iscritto alle elementari. Come riassume Maria Avino nel suo contributo sulla donna come cardine della modernità nella narrativa yemenita dagli anni Trenta agli anni Settanta, a sostenere la necessità dell’emancipazione femminile sono anche gli uomini. È il caso di Muḥammad ‘Alī Ibrāhīm Luqmān, il quale attraverso le pagine della rivista «Fatāt al-Ğazīrah» (La ragazza della penisola) fondata ad Aden nel 1940, sostenne l’esigenza dell’istruzione femminile. Questo accadeva nel Sud, più progressista rispetto al Nord per motivi legati al protettorato britannico e – successivamente – all’influenza sovietica. E infatti al Sud – continua Avino – il racconto viene utilizzato come strumento di lotta per prendere di mira la stagnazione delle infrastrutture e la situazione arretrata del paese, senza dimenticare le ingiustizie e le differenze di classe.

In questa letteratura, le donne diventano il simbolo della lotta contro quelle forze che ritardano il cambiamento sociale. Ad arrabbiarsi è l’altra metà del cielo, ed è lei ad esprimere un risentimento più ampio, nei confronti delle forze reazionarie e della colonizzazione. Quella femminile è una dimensione permeata dagli abusi in cui si cerca il riscatto soprattutto attraverso lo studio. Nella letteratura come nelle ultime vicende di cronaca, le donne fanno di necessità virtù e scendono in piazza quando le autorità arrestano i loro padri, fratelli, mariti e figli. Sull’onda lunga delle rivolte le donne sono uscite dal cono d’ombra e si è innescato un processo di cambiamento. Paradossalmente, nel paese delle spose bambine a scatenare le proteste a metà febbraio è stata una donna: 32 anni, sposata e madre di due figli, Tawakkol Karman (Tawakkul Karmān) è giornalista e direttrice dell’associazione “Donne senza catene”. È stata arrestata ma la pressione popolare ha obbligato le autorità a rilasciarla perché in Yemen l’onore di famiglie, clan e tribù si gioca sul corpo delle donne.

Dopo di lei, tante altre sono scese in piazza aggiungendo alle istanze di democrazia la richiesta di maggiori  diritti per sé. Ma non è facile, perché gli estremisti le minacciano e il presidente Ṣāleḥ ha accusato le attiviste di non essere delle «buone musulmane» perché scese in strada a fianco degli uomini, infrangendo il tabù della segregazione femminile. Per protestare contro queste affermazioni, decine di migliaia di yemenite hanno partecipato alle dimostrazioni di piazza, esprimendo il loro risentimento anche in località lontane dalla capitale perché «accusarci è una vergogna, dopotutto le donne hanno partecipato alle conquiste musulmane».

Ubbidienza, sottomissione e rassegnazione erano i comuni denominatori della condizione femminile yemenita, ribaditi nel secondo romanzo di Nādiyah al-Kawkabānī dal titolo ‘Aqīlāt (Mogli), pubblicato nel 2008, in cui due amiche si confidano le proprie delusioni sentimentali. Ma il dado è tratto. Seppur fragili a causa di un contesto sociale ingiusto che le penalizza, nei racconti e nei romanzi le donne assurgono – come nella cronaca – a simbolo della lotta contro tutte quelle forze che ritardano il cambiamento. Una testimonianza portata, in calce al volume curato da Isabella Camera d’Afflitto, anche dalle scrittrici Hudà al-‘Aṭṭās, Nādiyah al-Kawkabānī, Ibtisām al-Mutawakkil e Nabīlah al-Zubayr. Hanno una carica interiore forte, dove la forza sta nel sopportare e non soccombere. Le stesse virtù che sembrano spingere gli yemeniti – e le yemenite – a resistere nonostante la cruenta repressione di regime.

Farian Sabahi

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 1, giugno 2011

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Farian Sabahi |