Bayt al-Dīb (La saga dei Dib) di ʻIzzat al-Qamḥāwī (Ezzat el Kamhawi), Dār al-ādāb, Bayrūt 2010, pp. 318.

È la storia dell’ascesa e del declino della famiglia al-Dīb, nel villaggio di ʻOsh, nell’Egitto rurale. Copre un arco temporale che va dal XIX secolo ai giorni nostri.

La trama ha un andamento circolare e gli eventi non sono narrati secondo uno sviluppo temporale lineare. Sono concatenati in modo asimmetrico e interpolati da anticipazioni, flashback, commenti e riflessioni. Lo stile è dettato dall’esigenza narrativa di attirare l’attenzione del lettore sulle profonde trasformazioni sociali ed economiche che hanno attraversato l’Egitto, sia come fattori interni di sviluppo, sia come elementi introdotti dall’esterno e connessi con gli avvenimenti storici. È uno stile ricercato e raffinato, tuttavia aderisce bene all’idea della vita e della naturalità, ai corpi, al rifiuto di ogni ipocrita affettazione. La lingua è ricca, sia dal punto di vista lessicale che dal punto di vista grammaticale e sintattico. I livelli narrativi sono molteplici e contribuiscono a delineare il carattere dei personaggi e l’ambientazione. A questo risultato concorre non solo l’interpolazione sapiente del dialetto egiziano, specie nei dialoghi, ma anche una struttura congegnata in modo equilibrato e ben ponderata. All’interno di questa cornice, la narrazione non risulta imprigionata ma “accompagnata”, e gli spunti meno canonici acquisiscono un tono delicato e non dirompente.

Il filo che lega le vicende è il susseguirsi delle generazioni e dei personaggi della famiglia, caratterizzati in modo da rappresentare ciascuno un momento cruciale della Storia o una fase di sviluppo. Sullo sfondo delle vicende private, si snoda il passaggio da una società rurale autosufficiente, con un’economia di sussistenza, priva dell’elemento del profitto e dell’individualismo, a una società complessa, nella quale fanno ingresso le disuguaglianze e le ingiustizie, la guerra e le migrazioni, i bisogni indotti e gli status symbol, ma anche lo sviluppo umano e tecnologico. L’ambientazione, prevalentemente rurale, con lo scorrere delle pagine si trasforma, fino a caratterizzare in parte il paesaggio urbano e metropolitano.

La storia del paese è sempre presente, dalla resistenza all’occupazione, evocata attraverso le vicende degli antenati e poi delineata insieme alle vicissitudini dei vari personaggi, passando per le guerre mondiali, fino agli avvenimenti più recenti: la politica e l’assassinio di Anwar al-Sādāt, la questione del canale di Suez, la guerra del ’73, gli accordi di pace con Israele, la guerra del Golfo e la crisi economica, che nel romanzo determina il declino della famiglia. Sono presenti, inoltre, le tematiche della repressione interna, delle organizzazioni giovanili, islamiche e studentesche, dell’immigrazione, del colera che sterminò una intera generazione.

L’autore propone un’idea di società aperta, in grado di mettere in dubbio i dogmi della religione ma anche i tabù della tradizione e delle consuetudini. La sfera sessuale ed erotica è onnipresente e priva di metafore e finzioni. La narrazione indugia sovente nella descrizione minuziosa dell’abbandono sessuale e del piacere, qui in parte proposto come affermazione di genere autentica e naturale, oltre che come elemento imprescindibile delle dinamiche interpersonali e sociali.

Sullo sfondo della nascita del villaggio di ʻOsh, il romanzo si apre evocando gli indelebili ricordi del grande amore tra Mubārakah e Muntaṣir.

Mubārakah, orfana di madre, era molto bella, ma tutti la evitavano perché pensavano che fosse posseduta dagli spiriti. Muntaṣir, anch’egli orfano, aveva saputo guardarla con occhi privi di pregiudizi, ed aveva trovato in lei la pura bellezza e la compagna desiderata. Si erano innamorati nel periodo in cui i campi venivano distrutti dagli incendi a causa della siccità, e tutto il villaggio era unito nel difendere la terra. Il loro amore era maturato tra sguardi furtivi e appuntamenti segreti, momenti rubati alle regole della tradizione, durante i quali avevano scoperto il proprio corpo e le sue pulsioni.

Muntaṣir aveva chiesto a suo zio, Muǧāhid, di parlare col padre di lei per domandarla in sposa, ma quello l’aveva chiesta per sé. Ora che lo zio gli ha rubato il futuro, oltre alle terre lasciategli in eredità dal padre, in preda alla disperazione e all’ira, Muntaṣir lascia la casa e il villaggio. Mubārakah, la cui felicità è perduta per sempre, si impone sul marito, forte della propria giovinezza e sensualità, alla quale gli impedisce di accostarsi. Alla morte del padre, torna nella casa della sua fanciullezza. Allo scoppio della guerra in Europa, quando gli Inglesi iniziano a reclutare soldati, Ḥafīẓah, la prima moglie di Muǧāhid, nonostante la loro rivalità inconciliabile, le chiede di nascondere il figlio minore. Tra i due sboccia un’appassionata e segreta storia d’amore. Nāǧī, perdutamente posseduto da Mubārakah, rinuncia al fidanzamento con la splendida Zakiyyah al-Ǧaḥš, e lascia fallire anche il matrimonio organizzatogli dal fratello Salāmah. Solo la zia Ḥamīdah scoprirà la verità, trovandolo insieme a una donna di una bellezza così intensa da restare accecata, ammalarsi e morire nel giro di pochi giorni. Così Nāǧī, che fino ad allora era stato considerato impotente da tutto il villaggio, diventò intoccabile e temuto perché aveva rapporti con i ǧinn.

All’epoca della fondazione, a ʻOsh regnavano la giustizia e l’uguaglianza sociale, che si riflettevano anche nell’urbanistica: case piccole ed uguali, strade parallele, senza nessuna centralità territoriale. L’arrivo di Napoleone non aveva lasciato segni particolari, tranne l’aver fatto notare ai Turchi l’esistenza dell’Egitto rurale. Sicché erano arrivati i notabili, che avevano trasformato radicalmente l’architettura del villaggio, avevano edificato il Sarāy e formato corpi di guardia per la propria sicurezza. Gli abitanti di ʻOsh pagavano le tasse e sopportavano i soprusi in silenzio.

Dopo la fuga di ʻAsimat, il terzo sindaco, le autorità non si preoccuparono di nominarne uno nuovo e ʻOsh poté tornare ad essere il villaggio dimenticato di un tempo, buono solo a pagare tasse su tasse. Quando gli abitanti del villaggio restarono senza denaro né bestiame, si rivolsero a  Salāmah, che fu nominato sindaco. Egli cominciò così a dividere il suo tempo tra la nuova carica e la fabbrica tessile di famiglia.

Gli affari gli andavano bene, il tenore di vita della famiglia era aumentato ed erano così numerosi che, come ripeteva scherzando, di lì a qualche anno avrebbero potuto organizzare un vero e proprio esercito e dichiarare l’indipendenza. Tuttavia, un giorno notò che il Sarāy era abbandonato, e che nessuno vi si avvicinava per paura che fosse abitato dagli spiriti. Pertanto, decise di ristrutturarlo. Il giorno della grande inaugurazione, organizzò una gran festa con tutti gli abitanti del villaggio, ma ottenne l’effetto opposto. Anche la famiglia fu restia a trasferirvisi, ma Salāmah, pian piano, vinse le resistenze.

Due eventi cambiarono radicalmente le cose: l’arrivo in casa del telefono e la scuola aperta nella vicina Zaqāzīq. Mubārakah si trasferì in città. Lì la sua vita cambiò definitivamente. Iniziò a studiare e ad uscire da sola a fare la spesa. Diventò autonoma e si ambientò perfettamente, ospitò i nipoti, che così ebbero la possibilità di continuare gli studi.

Salāmah fu sindaco di ʻOsh per dieci anni. Quando cambiò il potere al Cairo, al suo posto fu nominato ʼAbd al-Rāziq ʻAṣfūr. Per Salāmah era una vecchia conoscenza: aveva lasciato il villaggio da giovane e, dopo aver cambiato lavoro più volte, si era buttato in politica, passando da un partito all’altro. Era tornato solo per ristrutturare la casa di famiglia ma aveva deciso di costruire anche la scuola dell’obbligo, inaugurata alla presenza di alte personalità istituzionali. Da qui, si era rinsaldato il suo legame col villaggio, e gli era nato il desiderio di trasferirvisi in pianta stabile. Così, quello che Salāmah considerava solo un emigrato nostalgico, si era rivelato una grande minaccia. Era la prima volta che conosceva il sapore della sconfitta. Tuttavia, riuscì a riassumere l’incarico, proprio il giorno della morte di Muǧāhid.

In un susseguirsi di ribaltamenti e rovesci, intrecci e colpi di scena, che non hanno nulla di artefatto o cinematografico, ma rispecchiano i cambiamenti sociali in una fase di grandi sconvolgimenti, il romanzo prosegue nella disanima dei caratteri umani e delle vicende storiche fino all’epoca contemporanea, incrociando tematiche di grande attualità.

L’autore traccia qui un interessante profilo storico dell’emigrazione dall’Egitto, identificandone le diverse fasi e le implicazioni sociali e politiche, attraverso una lettura sia locale che regionale e globale.

Infine, è interessante la rivisitazione “araba” del tema della “casa degli spiriti”, che in qualche misura sembra alludere al romanzo di Isabel Allende. Qui, la “casa” è un luogo sia privato che istituzionale, il fulcro attorno al quale ruotano le vicende non solo della famiglia, ma di tutto il villaggio. Sede del Governo e icona dell’ascesa sociale e dei rovesci dei Dīb, animata e abbandonata, reale e leggendaria, la “casa” è uno dei personaggi più riusciti e ha un ruolo di primo piano nella periodizzazione delle vicende storiche.

Bayt al-Dīb è il quarto romanzo di questo autore di successo, attivo e molto seguito sia in Egitto che nel resto del mondo arabo.

Isidora D’Aimmo

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 2, dicembre 2011

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Isadora D’Aimmo |