Yūsuf al-Muḥaymmīd, Luġṭ mawtà (Il cicaleccio dei morti), Al-Kamel Verlag, Köln 2003, pp. 86.
È vero che sono passati dieci anni dalla pubblicazione di Luġṭ mawtà, e ancor più, se si considera che fu scritto dall’autore già nel 1998, per essere pubblicato nel 2000 in una prima edizione insieme ad altri racconti. Tuttavia, il suo passaggio quasi inosservato agli occhi della critica occidentale ci ha convinto a riproporre questo romanzo sperimentale dell’ormai affermato scrittore saudita Yūsuf al-Muḥaymmīd (1964), autore dei più conosciuti romanzi Fiḫāḫ al-rā’iḥah (Le trappole del profumo) e al-Qarūrah (La bottiglia).
Il panorama dell’Arabia Saudita sta ormai definendosi come una fucina di esperimenti letterari originali e il grande fermento odierno è probabilmente frutto della politica di graduale apertura della casata regnante al mondo esterno che si è attuata nell’ultimo quarto del secolo scorso. L’innalzamento della qualità dello studio e la possibilità di formazione al di fuori del Regno, e in special modo negli Stati Uniti, hanno prodotto una generazione di cittadini acculturati e specialisti in tutti i campi, e quello letterario non è rimasto escluso da questo balzo in avanti. Turkī al-Ḥamad, ‘Abduh Ḫāl, Laylà al-Ǧuhanī (al-Ǧuhnī), Raǧā’ ‘Ālim sono solo alcuni dei nomi che fanno parte della cosiddetta terza generazione rinnovatrice della letteratura del loro paese, sia che si tratti di romanzo che di poesia o di teatro, e Yūsuf al-Muḥaymmīd si colloca ormai a pieno titolo nella schiera di questi innovatori. Iniziata la sua carriera come giornalista e autore di racconti brevi e poi di romanzi, al-Muḥaymmīd si è fin dal principio messo in luce per la sua posizione critica nei confronti della società saudita, il che lo ha costretto a pubblicare quasi tutte le sue opere al di fuori dei confini sauditi, ad esclusione della prima raccolta di racconti e dell’ultimo romanzo.
Già dal titolo, Luġṭ mawtà ci preannuncia l’atmosfera surreale, se non irreale, che avvolge le vicende del romanzo. La narrazione prende avvio da alcune lettere di uno scrittore, spedite e mai arrivate a un suo amico. In queste lettere il protagonista/scrittore riversa la sua amarezza per non essere in grado di scrivere un romanzo di successo, come gli viene richiesto da più parti. Il problema è che ogni volta che si siede alla scrivania e tenta di scrivere una parte del romanzo, ecco che gli si materializza davanti uno dei personaggi che comincia a molestarlo e ad accusarlo di stravolgere la sua storia. Il personaggio di turno allora prende la parola e procede con la narrazione degli eventi come realmente si sono verificati secondo il proprio punto di vista. E così via, uno dietro l’altro, si presentano al protagonista tutti i personaggi del suo romanzo, membri di una misteriosa famiglia, dalle cui parole ricostruiamo confusamente le vicende.
All’inizio abbiamo un padre, Mas‘ūd, il personaggio più enigmatico del romanzo, di cui si viene a sapere che ha lavorato come autista per una ricca famiglia ma che ha anche subito i soprusi umilianti del suo giovane padrone e dei suoi amici, per poi scomparire e iniziare una nuova vita. Ci viene presentata, poi, la figlia più grande, Mūḍī, costretta a sposarsi a soli tredici anni, con il conseguente obbligo di abbandonare gli studi, per poi essere ripudiata lo stesso e mandata addirittura in una clinica per malattie mentali perché considerata pazza. Come un fantasma dalla voce rauca che si insinua tra la fiammella di una candela e la spegne, appare anche il Nonno, che comincia a inveire contro i suoi familiari, in particolare contro Mūḍī e sua madre. Nel corso di tutta la sua vita, era stato ingannato e deriso, ma dopo morto aveva trovato il modo di rifarsi. Una notte, mentre il nipotino, il figlio di Mūḍī, stava affogando tra le acque di scarico che avevano allagato il cortile della moschea in cui il piccolo si trovava, il Nonno era stato pronto a trascinarlo con sé, nonostante gli sforzi del padre del bambino di salvarlo e conservarlo in vita. Una persona della famiglia era però amata da lui, la nipotina più piccola. È la figlia minore della famiglia, uno dei personaggi chiave del romanzo, che però non sembra contraccambiare l’affetto del Nonno. Con lei prendono il via una serie di descrizioni fantastiche, tipicamente infantili, come quella della zanzara umana, che la inquieta durante una tremenda notte insonne, o quella della grande stella narratrice che, invece, la allieta ogni sera con i suoi favolosi racconti, o ancora la descrizione del baule in cui era solita dormire, decorato al suo interno con cupole e minareti che la facevano sentire come la regina di un mondo incantato, fino alla narrazione delle sue avventure con gli altri ragazzini con i quali rubava i frutti dell’albero del vicino o le scatole di cibo nel cortile del municipio. Il suo racconto viene improvvisamente interrotto dalla voce rauca del Nonno, seguita da quella affannata della Nonna paralitica. Questa interviene per evitare che l’autore distorca la realtà delle vicende, e così dice anche lei la sua, su Mas‘ūd e la moglie, su Mūḍī, sui due nipoti, per i quali volle confezionare due abiti da festa utilizzando la stoffa del suo lenzuolo funebre, macabro segnale di una loro fine prematura: uno, infatti, sarebbe scomparso, l’altro si sarebbe trasformato in un’enorme zanzara! Ebbene sì, si tratta di una vera e propria metamorfosi. E non è la sola ad avvenire nel corso del romanzo. In un’atmosfera di crescente confusione, in cui le voci dei personaggi si intrecciano, ecco che da una briciola di gomma, con cui lo scrittore aveva cercato di modificarne la descrizione, prende forma la figlia più piccola, che adesso ha un nome, Muznah, che fornisce ulteriori dettagli sulle vicende della sua famiglia. In mezzo a questo subbuglio, il narratore, sempre rivolgendosi al suo amico, esprime il proprio crescente sconcerto. Riceve una telefonata da qualcuno che chiede di Muznah, e poco dopo ecco che legge alcuni fogli sputati dall’apparecchio del fax che lo sconvolgono. Un personaggio gli ha scritto, ed è Mas‘ūd, il primo incontrato, che si ripresenta quasi a suggellare il romanzo da lui avviato. Il contenuto del messaggio inquieta l’autore profondamente e contatta il suo caro amico, il presunto destinatario delle lettere, per fissare un appuntamento e parlare della questione di persona. Sul luogo stabilito trova la sua macchina, ma non lui. Lo attende nell’atrio di un albergo, ma è lì che ha un’inquietante visione: al tavolo accanto a lui, vede un volto familiare, un personaggio del romanzo. Si mette ad ascoltare quel che sta dicendo ai suoi due compagni, ma, terrorizzato, si alza e scappa via. È proprio lui l’argomento della discussione.
Come si vede da queste poche righe, la complessità della narrazione è notevole. La parola passa rapidamente da un personaggio a un altro, che prepotentemente assume il controllo del romanzo. Inevitabilmente, è il protagonista/scrittore a pagarne le conseguenze. Gradualmente, viene sopraffatto dai suoi stessi personaggi, sempre più reali, viene trasportato in altri luoghi con la forza, viene costretto ad ascoltare i loro insulti e le loro verità, finché alla fine viene trascinato egli stesso nel vortice degli eventi. È evidentemente un avvincente processo metanarrativo, che straordinariamente possiamo accostare a uno degli esempi più eccelsi della nostra letteratura, Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Proprio come nel dramma pirandelliano, i personaggi di Luġṭ mawtà acquisiscono gradualmente il dominio della scena: Mas‘ūd tenta di sostituirsi al narratore, proprio come il Padre della pièce pirandelliana tenta di sostituirsi al Capocomico come guida della compagnia; Muznah condiziona l’operato del suo creatore esattamente come la Figliastra del nostro drammaturgo si intromette con le sue risate fragorose nella rappresentazione del suo dramma. Rimane una grande differenza: il protagonista del romanzo di al-Muḥaymmīd non riesce a salvarsi dalla sua rovina come fa il Capocomico di Pirandello, semplicemente abbassando il sipario su quella inquietante vicenda, ma viene rovinosamente sopraffatto e trascinato in quel mondo surreale. Anch’egli subisce una metamorfosi e si trasforma in uno dei suoi personaggi.
È tutto un gioco narrativo, dove la scherzosità di al-Muḥaymmīd e l’anarchia dei suoi personaggi contribuiscono a elaborare un romanzo ambiguo, privo di una collocazione spazio-temporale, privo di una soluzione unica, ma dove ciascun lettore può leggere la propria interpretazione dei fatti, esattamente come ogni personaggio esprime il suo personale punto di vista. Il tutto è reso da una lingua molto condensata, ricca di espressioni concise e di consapevoli scelte lessicali, già evidenti nel titolo stesso, che incarna perfettamente quel vociare confuso, appunto quel cicaleccio di quei suoi personaggi che da morti sono diventati vivi, accompagnando costantemente la sua scrittura.
Ma Luġṭ mawtà non è una sperimentazione fine a se stessa. Il gioco narrativo serve all’autore per rispondere alla domanda che muove tutta la storia: «Limāḏā lā taktub riwāyatan?» (Perché non scrivi un romanzo?). Ciò aveva chiesto l’amico del protagonista del romanzo, e quest’ultimo risponde con la presentazione degli invadenti quanto fantasiosi personaggi che ha creato. Ma, nell’atmosfera onirica che pervade la descrizione, riusciamo a scorgere qualcosa di reale. Quei personaggi che ostacolano il protagonista nella composizione del suo romanzo non sono, infatti, altro che allegorie di una società chiusa e opprimente, in cui imposizioni e censure, sia istituzionali ma ancor più sociali, ostacolano la libera espressione degli intellettuali sauditi.
Ecco che ci si presenta il romanzo nella sua interezza. Una sperimentazione originale, con una tecnica narrativa complessa quanto avvincente e, sullo sfondo, una velata e misurata critica nei confronti della società saudita, capace di produrre feroci campagne censorie, ma anche di far sentire qualche sussurro dissidente come Luġṭ mawtà di Yūsuf al-Muḥaymmīd.
Arturo Monaco