Tarek Shamma; Myriam Salama-Carr (edited by), Anthology of Arabic Discourse on Translation

in La rivista di Arablit, a. XIII, n. 25, giugno 2023, pp. 93-98.

Le antologie hanno l’indubbio merito di restituire al lettore un ventaglio di visioni diverse che difficilmente si possono trovare nell’opera di un singolo autore. Ciò è ancora più evidente per le antologie che raccolgono saggi di natura teorica su un ambito preciso, in cui la pluralità di voci è capace di restituire un’immagine della dinamica del dibattito su un certo argomento nello spazio e nel tempo. È da questa prospettiva che si può guardare all’Anthology of Arabic Discourse on Translation curata da Tarek Shamma e Myriam Salama-Carr e disponibile in open access sul sito dell’editore1. Attraverso gli estratti inclusi nella raccolta, infatti, l’opera fornisce le lenti per osservare alcune delle dinamiche del lungo dibattito arabo sulle traduzioni, illuminando su testi e autori ancora inesplorati.

L’antologia è il secondo risultato di un progetto di ricerca finanziato dal Qatar National Research Fund nel 2015, con Tarek Shamma (Binghamton University) come primo ricercatore responsabile, coadiuvato da Myriam Salama-Carr (University of Manchester) e con Mona Baker (University of Manchester) come consulente, risultato che segue la pubblicazione della raccolta antologica in arabo nel 20212. Scopo dichiarato dell’opera è presentare la riflessione araba sulla traduzione attraverso una selezione di fonti appartenenti a diversi stadi della storia del pensiero arabo. E, nella versione qui recensita, si aggiunge l’obiettivo di renderla fruibile anche al di fuori degli ambiti arabistici e arabofoni attraverso la traduzione in inglese.

Il volume si apre con un’interessante introduzione di Tarek Shamma, il quale fornisce le coordinate principali per orientarsi nella raccolta. Dopo un rapido quadro storico del movimento arabo di traduzione dalle origini alla modernità, il curatore esplora lo stato dell’arte degli studi sulla storia araba della traduzione, rilevando quanto un’enorme mole di testi originali rimangano esclusi dalle principali trattazioni sull’argomento, che spesso si basano su fonti secondarie per sostenere le proprie interpretazioni. È il caso del noto studio di Dimitri Gutas, Greek Thought, Arabic Culture (1998), per quanto riguarda il movimento di traduzioni di epoca abbaside, ma lo stesso viene rilevato anche per gli studi sulle traduzioni effettuate durante la nahḍah, laddove il curatore nota il predominio di una macroanalisi interessata più al ruolo della traduzione nei dibattiti politici e sociali o al suo contributo all’affermazione di nuovi generi, che allo studio dei lavori tradotti e alla discussione relativa alla traduzione. La mole di lavoro ancora da fare sulle fonti relative alla traduzione giustifica quasi pienamente questo giudizio sugli studi esistenti. Nondimeno – e qui forse risiede l’unico piccolo appunto che si può muovere all’opera –, le considerazioni del curatore sembrano trascurare importanti contributi di ampio respiro sull’argomento, che invece non solo hanno ripreso le fonti arabe originali, ma hanno ricostruito le dinamiche del dibattito teorico sulla traduzione stessa. Mi riferisco, ad esempio, a contributi dell’ambito italiano, come quelli di Mirella Cassarino per l’epoca classica e di Maria Avino per l’epoca moderna3. In effetti, il curatore segnala nell’introduzione di aver limitato le sue fonti secondarie principalmente a quelle in inglese e arabo, seguite da quelle in francese e sporadicamente in tedesco. Se è giustificabile l’impossibilità di rendere conto della produzione scientifica in tutte le lingue del mondo, lo è meno l’asserzione che il mondo della ricerca in generale non abbia prestato e presti la necessaria attenzione a questo tema.

L’introduzione procede poi molto accuratamente nell’esposizione della metodologia usata nella selezione e nell’organizzazione dei testi dell’antologia e nella descrizione dell’approccio generale. Innanzitutto, il progetto, e l’antologia che ne è seguita, copre un arco temporale molto esteso, partendo dai primi esempi scritti di riflessioni sulla traduzione di epoca classica fino ad arrivare alla Prima guerra mondiale, considerata come spartiacque che pone un termine alla nahḍah. L’intero corpus raccolto durante il periodo del progetto comprende 543 testi di varia lunghezza, periodo e argomento, i cui dati sono contenuti nelle due tabelle in appendice. I testi sono stati tratti da diverse tipologie di fonti, potenziali contenitori di riflessioni sulla traduzione, come ad esempio i libri sulle scienze, la filosofia o la religione in epoca classica, cui vanno ad aggiungersi paratesti e documenti ufficiali per l’epoca moderna. Da questo corpus sono stati quindi selezionati circa cinquanta testi sulla base dei seguenti criteri: originalità, varietà, ampia considerazione e impatto, lunghezza, connessione con eventi politici e sociali significativi, rilevanza per gli studi sulla traduzione e per gli studi di ambito arabistico.

Quel che risulta particolarmente apprezzabile è il fatto che l’antologia non sia stata concepita per essere un progetto di rappresentazione della cultura araba o islamica. Per quanto gli aspetti culturali siano inevitabilmente presenti nei testi, la collezione non intende fornire un’immagine rappresentativa del patrimonio culturale arabo, perché, come viene affermato nell’introduzione, questa immagine «is filtered through the single lens of translation, which is only one dimension of the context of political, intellectual, and literary history» [p. 14]. Nello stesso tempo, l’antologia non ha la sua ragion d’essere nella necessità di proporre visioni “non occidentali” sulla traduzione. Questo non solo per l’indubbia ambiguità di etichette come Oriente e Occidente, ma soprattutto perché, adottando questa prospettiva, verrebbero ridotte enormemente le possibili interpretazioni del fenomeno, andando piuttosto a ribadire, seppur per opposizione, l’eurocentrismo che si vorrebbe superare. I curatori optano quindi per un approccio storico-traduttologico che colloca i testi nel loro contesto storico, restituendo in tal modo sia le riflessioni traduttologiche meditate dai vari autori che il loro rapporto con il periodo che le ha prodotte. Come afferma Tareq Shamma sempre nell’introduzione, infatti: «As we cannot arrive at a full understanding of a view of translation as situated practice without considering the historical milieu in which it was produced, so a historical analysis of the political, social, or cultural conditions of the text would be greatly lacking without an informed understanding of the practical and theoretical aspects of translation issues involved in the text» [p. 22].

L’attenzione per il contesto storico si riflette nell’articolata riflessione sulla periodizzazione alla base della distribuzione dei testi. La sistemazione cronologica è stata infatti preferita a una classificazione tematica che, apparentemente più atta a rendere le dinamiche della riflessione teorica su un determinato argomento, avrebbe presentato diverse problematiche sia a livello metodologico (ad es. la somiglianza di argomento nasconderebbe le implicazioni che potrebbero sorgere in contesti differenti) che pratico (ad es. uno stesso testo potrebbe affrontare diverse tematiche, rendendo quindi difficile una sua classificazione univoca). L’ordine cronologico invece permette l’allineamento con il contesto storico, cosa che rappresenta un aspetto importante per questa antologia, e, cosa non meno importante, riduce l’intervento dei curatori a vantaggio di una più libera interpretazione da parte del lettore. Ma a quale contesto storico si fa riferimento? Come detto, infatti, l’antologia copre un arco temporale vastissimo, per il quale diverse sono le possibili periodizzazioni.

Consapevoli del dibattito attuale che sta mettendo in discussione le periodizzazioni consuete e alla luce del fatto che tale dibattito non ha ancora prodotto qualcosa di generalmente accettato, i curatori hanno optato per una divisione dei testi in due macro-categorie: epoca classica e nahḍah. Posto che la prima inizia con le più antiche occorrenze scritte relative alla traduzione e che la seconda termina con la Prima guerra mondiale (considerata un’anticamera di sviluppi politici, sociali e culturali “moderni”), resta da chiarire il confine tra le due, ossia da quando far partire la nahḍah. Mediando tra le correnti di pensiero esistenti, i curatori hanno saggiamente optato per fissarlo all’inizio del XIX secolo. È infatti in questo periodo che non solo si assiste a una promozione sistematica dell’attività di traduzione a livello governativo (si veda il caso di Muḥammad ʿAlī in Egitto), ma si iniziano a vedere i frutti sia del contatto con l’Europa che delle riflessioni endogene avviate già sul finire del secolo precedente.

L’ultima parte dell’introduzione offre, infine, un’interessante esposizione dei primi risultati ricavati dalla selezione di testi del progetto e propone degli stimoli per futuri progetti di ricerca. Tra i risultati, e restando in tema di periodizzazione, un aspetto cruciale che emerge è la sostanziale continuità del discorso arabo sulla traduzione, al di fuori dei due principali periodi generalmente presi come riferimento in quanto “età dell’oro”, ossia l’era abbaside e la nahḍah. Questo suggerisce che uno dei tanti campi da indagare sia proprio lo studio di quelle epoche (come il Sultanato mamelucco) che, apparentemente marginali culturalmente, rivelano invece una certa vitalità della riflessione sulla traduzione. Tra le prospettive di ricerca individuate dai curatori troviamo anche un’indagine sul ruolo degli interpreti, sul rapporto tra traduzione e mediazione nei contesti in cui gli arabi erano minoranza, sulle traduzioni della Bibbia4 e il Corano, o sull’insegnamento della traduzione.

Accanto a questi ambiti individuati dai curatori, ce ne sono infiniti altri stimolati dalla lettura dei molteplici e variegati testi dell’antologia. I cinquantadue capitoli che accolgono i testi scelti sono tutti corredati di un’introduzione agli autori e alle opere da cui sono estratti e di un commentario conclusivo, utile non solo per una più completa contestualizzazione, ma anche per individuare i legami con altri testi della raccolta.

L’antologia ha il grande merito di non offrire soltanto nomi e testi già ampiamenti noti per le riflessioni sulla traduzione, come ad esempio quelle di Ḥunayn b. Isḥāq sulle traduzioni di Galeno, di al-Ǧāḥiẓ enunciate nel Kitāb al-ḥayawān (Libro degli animali), il dibattito tra Mattà b. Yūnus e Abū Saʿīd al-Sīrāfī, le riflessioni sulle traduzioni mediche di Abū ʾl-ʿAbbās b. Abī Uṣaybiʿah, o, per l’epoca moderna, il discorso di Ǧurǧī Zaydān e Ḫalīl Baydas sull’arabizzazione, le scelte di Muḥammad ʿUṯmān Ǧalāl per la traduzione teatrale e romanzesca, o la celebre Introduzione di Sulaymān al-Bustānī alla sua traduzione dell’Iliade. Accanto a testi come questi ne troviamo infatti altri meno presenti negli studi esistenti, ma che nondimeno rivelano quanto ancora ci sia da esplorare in questo campo. Leggiamo pertanto testi tratti dall’ambito religioso, come gli accenni alla pratica di traduzione e interpretariato contenuti nei ḥadīṯ e nella giurisprudenza islamica, le riflessioni sulla traduzione di una Tōrāh samaritana del XIII secolo, l’opinione di Ibn Taymiyyah sul ruolo della traduzione nella trasmissione delle Sacre Scritture, i dibattiti sulle traduzioni antagoniste della Bibbia in arabo durante la nahḍah. Vi sono poi testi tratti dall’ambito politico e amministrativo, come le considerazioni di tre illustri storiografi dell’islam (al-Wāqidī, al-Ṭabarī e Ibn ʿAsākir) sul ruolo degli interpreti durante le conquiste islamiche o il decreto di nomina di al-Ṭahṭāwī ad insegnante di lingua francese e traduzione. Passando all’ambito filosofico, leggiamo numerosi testi di epoca classica, come quelli di Ibn Ḥazm al-Andalusī, Ibn Rušd e al-Qifṭī. Infine, di ambito più strettamente letterario sono le riflessioni moderne di Mārūn al-Naqqāš, Buṭrus al-Bustānī, Ibrāhīm al-Yāziǧī, Ḥāfiẓ Ibrāhīm o Amīn al-Rīḥānī. E non mancano vere e proprie perle rare, come le articolate riflessioni di Badr al-Dīn al-Zarkašī sulla possibilità di “tradurre”, o meglio parafrasare il Corano nel XIV secolo, o come le preoccupazioni sui diritti d’autore e del traduttore espresse su “al-Hilāl” da Ǧurǧī Zaydān, Ḥalīm Ḥilmī e Salīm Effendī Saʿīd.

Una selezione importante e diversificata, di cui qui si è dato solo un assaggio, a testimonianza della varietà del discorso arabo sulla traduzione, come anche della sua continua vitalità nel tempo. A questo scopo è da collegare la lodevole scelta di proporre almeno un esempio per ogni secolo dell’epoca classica e altrettanto per ogni decennio di quella moderna. Come affermato sopra, lungi dall’essere questa una pretesa di esaustività, vuole piuttosto essere la dimostrazione che in ogni secolo la riflessione araba sulla traduzione (e non solo su di essa, si potrebbe aggiungere) è andata avanti e ha prodotto sempre nuovi dibattiti, al di là di quello che le condizioni politiche possano suggerire.

In conclusione, l’antologia è un’opera di altissimo valore scientifico, sia per il rigore metodologico con cui sono affrontate la materia e le stesse traduzioni, sia soprattutto per i numerosi stimoli offerti allo studioso di traduzione in generale e chiaramente anche all’arabista. I tanti testi meno noti, ma non per questo meno significativi, inclusi nella raccolta sono chiavi per accedere a mondi che ancora necessitano di essere esplorati e studiati. Nondimeno, l’antologia rappresenta un ottimo strumento didattico per far entrare lo studente di lingua e letteratura araba e di traduzione all’interno delle dinamiche della traduzione attraverso le fonti originali. La pubblicazione della stessa antologia in arabo appena prima della versione in inglese è un ulteriore aspetto che amplia ancor di più le potenzialità di utilizzo di questo testo.

Arturo Monaco


1L’opera è disponibile al seguente link: https://www.taylorfrancis.com/books/oa-edit/10.4324/9781003247784/anthology-arabic-discourse-translation-tarek-shamma- myriam-salama-carr?_gl=1*15dfmo6*_ga*MTM3NzY1MzUzMS4xNjgxNzQ0Nz Ux*_ga_0HYE8YG0M6*MTY4MjAwNTgwOC4zLjAuMTY4MjAwNTgwOC4wLjAuMA.

2Ṭāriq Šammā; Maryam Salāmah Kār, Anṯūlūǧiyā al-tarǧamah al-ʿarabiyyah, al-Markaz al-ʿArabī li ʾl-Abḥāṯ wa Dirāsat al-Siyāsāt, Bayrūt 2021.

3M. Cassarino, Traduzioni e traduttori arabi dall’VIII all’XI secolo, Salerno Editrice, Roma 1998; M. Avino, L’Occidente nella cultura araba dal 1876 al 1935, Jouvence, Roma 2002.

4A proposito della traduzione della Bibbia si segnala il recente studio di Rana Issa, The Modern Arabic Bible. Translation, Dissemination and Literary Impact, Edinburgh University Press, Edinburgh 2023.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno XIII, numero 25, giugno 2023

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L’Autore

Arturo Monaco | Dottore di ricerca in Civiltà, Culture e Società dell’Asia e dell’Africa, presso il Dipartimento Istituto Italiano di Studi Orientali – ISO, Sapienza Università di Roma.