Sonja Mejcher-Atassi, Reading across Modern Arabic Literature and Art, Reichert Verlag, Wiesbaden 2012, pp. 191, 15 tavv.
La non recentissima data di pubblicazione e quindi la presunta conoscenza dell’opera da parte della comunità accademica renderebbero superfluo parlare del volume di Sonja Mejcher-Atassi, se non fosse che la qualità dello scritto e le questioni da esso sollevate inducono a una sua più attenta considerazione.
Racchiuso in una ormai rara copertina rigida, Reading across Modern Arabic Literature and Art fa parte della pregevole serie Literaturen im Kontext. Arabisch – persisch – türkisch edita da Reichert Verlag e curata da Verena Klemm, Angelika Neuwirth e Friederike Pannewick. Il volume è una versione ridotta e rivista della tesi di dottorato dell’autrice, difesa all’Università di Oxford nel 2005. È suddiviso in cinque capitoli, preceduti da un’Introduzione e seguiti da una Conclusione e un’Appendice contenente 15 pagine di immagini a colori
L’opera si pone all’avanguardia – e si potrebbe dire quasi come unicum – tra gli studi dedicati alla letteratura araba moderna e alle sue relazioni con l’arte. Si inserisce infatti in quel filone di studi interdisciplinari che mirano a superare i confini della singola disciplina, oltre che quelli geografici, ma che è quasi del tutto inesplorato per quel che riguarda la letteratura araba moderna. Dopo l’Introduzione in cui l’autrice spiega brevemente le ragioni e la struttura dell’opera, il primo capitolo, intitolato «Methodological Considerations», affronta un excursus degli studi esistenti sull’argomento, partendo dai classici che hanno esplorato i rapporti tra le arti, come il Laokoon (1766) di Gotthold Ephraim Lessing, per passare agli studi interdisciplinari all’interno della moderna letteratura comparata, come Die erzählerische Dimension: Eine Gemeinsamkeit der Künste (1999) di Eberhardt Lämmert, per arrivare infine agli studi relativi alle interrelazioni tra le arti, come Literature und bildende Kunst (1992) di Ulrich Weisstein, Picture Theory: Essays on Verbal and Visual Representation (1994) di W.J.T. Mitchell e soprattutto Reading Relationally; Postmodern Perspectives on Literature and Art (2000) di Laurie Edson. Da quest’ultimo studio, infatti, l’autrice trae l’impianto metodologico principale, che consiste nel leggere il testo letterario attraverso le lenti dell’arte. Non si tratta quindi di una lettura comparatistica tra le arti, ma della giustapposizione di parola e immagine, da applicare non solo a forme d’arte miste, come il libro d’artista, ma anche a testi puramente letterari.
La seconda parte del primo capitolo esplora lo stato dell’arte nel contesto specifico degli studi letterari arabi. Pur non essendo oggetto di grande preoccupazione nel periodo medievale, i rapporti tra le arti non furono esclusi del tutto dai dibattiti dell’epoca. L’autrice descrive rapidamente le posizioni dell’Islam ufficiale in merito alle rappresentazioni artistiche, come anche la manifattura libraria dove scrittura e arte si incontrano. E, infine, dà alcuni riferimenti utili per capire come la critica araba classica intese il rapporto tra poesia e pittura, e tra poesia e musica, riferimenti che includono, ad esempio, Asrār al-balāġah di al-Ǧurǧānī e Kitāb al-mūsīqà al-kabīr di al-Farābī. Per quanto riguarda l’epoca moderna, l’autrice rileva che se da una parte sono comparsi alcuni studi sul fenomeno dell’ekphrasis in poesia classica, dall’altra solo raramente è stato intrapreso uno studio interdisciplinare relativamente alla letteratura araba moderna, dove tanti potrebbero essere i casi studio da esaminare. Basti pensare, infatti, a quanto si potrebbe ricavare da uno studio in parallelo della produzione in campo letterario e artistico di autori come Ǧubrān Ḫalīl Ǧubrān, Amīn al-Rīḥānī, lo stesso Naǧīb Maḥfūẓ e il suo rapporto con il cinema, Muḥammad Barrādah, Idwār al-Ḫarrāṭ; ma la lista potrebbe continuare. Questo studio nasce proprio dal desiderio di colmare in parte questo vuoto e di introdurre prospettive comparatistiche e interdisciplinari nello studio della letteratura araba.
Il secondo capitolo avvicina gradualmente il lettore al contesto entro cui si collocano i tre casi studio trattati nei capitoli successivi. È questo uno dei capitoli più interessanti per il numero di riflessioni che stimola la sua lettura. Il titolo, «Changing Notions of Literature and Art», dà un’idea abbastanza chiara del contenuto del capitolo, in quanto viene appunto descritto il modo in cui a partire dalla nahḍah si assiste a un graduale cambiamento della concezione della letteratura e dell’arte, conseguente alla formazione di un nuovo pubblico lettore-osservatore. L’aspetto più degno di nota è il fatto che l’autrice si schiera dalla parte di quel filone di studi che mira a rivisitare il concetto di nahḍah, interpretandolo non più come un punto di svolta e di rottura conseguente all’invasione napoleonica dell’Egitto, ma innestandolo in un processo di sviluppo storico che la precedette e che registrò una trasformazione continua delle arti nel corso dell’epoca ottomana. Conseguenza naturale è una rinnovata concezione della modernità, svincolata da una prospettiva essenzialmente eurocentrica e aperta ai vari modi e luoghi in cui «the modern is staged and performed» [p. 30], come l’autrice afferma riprendendo le parole di Timothy Mitchell.
Se di punti di svolta e di rottura nella storia della letteratura e dell’arte moderna bisogna parlare, l’autrice li sposta nel tempo e li identifica con la nakbah del 1948 e la hazīmah del 1967, dalle quali nacquero una nuova coscienza del ruolo dell’intellettuale, una nuova sensibilità di fronte alla frammentazione del mondo, una nuova fase di interazione tra il patrimonio culturale arabo e le tendenze avanguardiste mondiali. A questo punto, l’autrice restringe ulteriormente il campo, concentrando l’attenzione su un paradigma condiviso da gran parte della produzione letteraria e artistica posteriore a questi punti di svolta, quello dell’esilio, in stretta relazione con le pratiche letterarie e artistiche derivanti da questa condizione. In particolare, vengono sollevate la questione della lingua in connessione con l’esperienza dell’esilio (ad esempio, l’uso di una lingua diversa dall’arabo) e la problematicità di uno studio della letteratura araba moderna come una sola letteratura, in special modo dopo il 1967, quando sarebbe più appropriato studiarla come un gruppo di letterature nazionali differenti, ferma restando l’arbitrarietà di certi confini e il dato di fatto che le traiettorie di vita di molti autori trascendono quei confini.
In questo contesto di confini linguistici e geografici, l’arte moderna e contemporanea appare come «an alternative space, a third geography, free from language barriers» [pp. 40-41]. Ed è attraverso la sua mediazione che l’autrice intende fornire una nuova lettura della letteratura araba moderna, nella fattispecie attraverso tre casi studio, ognuno dei quali occupa i capitoli che seguono: il terzo dedicato a Ǧabrā Ibrāhīm Ǧabrā, il quarto a ‘Abd al-Raḥmān Munīf e il quinto a Ītīl ‘Adnān (Etel Adnan). Ciascun capitolo è suddiviso in tre parti: nella prima vengono descritte le attività letterarie degli autori inserite nel contesto socio-culturale di appartenenza; nella seconda viene esaminato il rapporto degli scrittori con il mondo dell’arte; nella terza, infine, viene applicata la metodologia prescelta a una selezione di testi. Sorvolando sulle prime due parti, che offrono una panoramica delle pratiche letterarie e artistiche di ciascun autore perlopiù note agli studiosi del settore, è bene spendere qualche parola in più sulla terza parte, che poi è quella dove si ha il senso della nuova prospettiva adottata dall’autrice per lo studio della letteratura araba.
Iniziando dal capitolo dedicato a Ǧabrā, i due testi scelti per l’analisi sono al-Baḥṯ ‘an Walīd Mas‘ūd (1978) e ‘Ālam bi-lā ḫarā’iṭ (1982), scritto, com’è noto, insieme a Munīf. Il primo è letto non solo attraverso i tanti intertesti verbali, ma anche attraverso quelli audio-visivi, rappresentati dall’audio-cassetta contenente la voce di Walīd ritrovata nella sua macchina e dai casi di ekphrasis sparsi nel romanzo, come quello della descrizione del ritratto del protagonista presente nell’ultimo capitolo. Diverso è l’approccio al secondo romanzo considerato, letto attraverso la felice definizione data da Muḥsin Ǧāsim al-Mūsawī come «riwāyah ‘an fann al-riwāyah» [p. 69]. Qui, le considerazioni sull’aspetto meta-letterario sono prevalenti e il discorso sulla commistione di differenti generi letterari e non-letterari tocca solo in parte il mondo dell’arte in senso stretto, privilegiando una prospettiva sul ruolo dell’artista in genere.
Per quanto riguarda il capitolo su Munīf, ad essere oggetto della trattazione è in prima battuta l’edizione speciale di Sīrat madīnah (2001), che include i disegni dell’autore stesso. La giustapposizione di testo e immagine nella stessa opera fornisce all’autrice il caso ideale per l’applicazione della sua metodologia. Infatti, piuttosto che prendere in considerazione la derivazione di una forma di espressione dall’altra, l’autrice preferisce dare a ciascuna di esse il suo diritto alla narrazione. «The drawings – scrive – […] constitute a narrative in its own right, a starting point for memories and stories to unfold that have been suppressed in the text by the troublesome question of ‘what can be said and what is left out?’» [p. 99]. Testi e disegni rappresentano quindi due narrazioni parallele, «two different ways of leaving traces» [p. 100], come afferma l’artista Marwān Qaṣṣāb Bāšī, autore dell’introduzione al romanzo. Un altro artista, Ḍiyā’ ‘Azzāwī, entra in gioco nella seconda opera di Munīf presa in considerazione dall’autrice, Mudun al-milḥ, nella sua seconda edizione del 1986 che riporta accanto al testo una serie di illustrazioni curate appunto dall’artista iracheno. In esse le lettere arabe si incorporano all’interno dell’arte moderna, creando quel legame con la tradizione calligrafica araba del passato, allo stesso modo in cui il romanzo prende in prestito tecniche narrative e citazioni dalla tradizione letteraria araba classica. Attraverso questa lettura parallela, suggerisce l’autrice, è possibile andare oltre la semplice definizione di Mudun al-milḥ come un grande romanzo sul fenomeno del petrolio nei paesi arabi, e cogliere gli aspetti estetici di un’opera ancorata alla tradizione artistica e letteraria araba.
Con l’ultimo capitolo, Sonja Mejcher-Atassi compie la coraggiosa scelta di includere all’interno del suo discorso sulla letteratura araba un’autrice non arabofona, l’artista e scrittrice libanese americana Etel Adnan. Rifacendosi alle sue parole, giustifica la propria scelta sostenendo che «there is a tradition of mobility in the Middle East […]. Writers, such as Ibn Sina, Jalal al-Din Rumi and, in the modern world, Khalil Gibran, have expressed themselves in more than one language. Literary writing is not only based on the respective national language, she argues, but also on sensibility, political experience, historical memory and many other elements» [p. 116]. Questa premessa permette all’autrice di trattare tre opere di Etel Adnan: Sitt Marie Rose (1977), romanzo che stimola la lettura attraverso le lenti dell’arte cinematografica; L’Apocalypse arabe (1980), esempio di una scrittura che gioca con la distribuzione tipografica del testo sulla pagina, che si popola di spazi bianchi, parole scritte con la lettera maiuscola e piccole immagini, una frammentazione che è riflesso delle condizioni politiche vissute dall’autrice; e, infine, Journey to Mount Tamalpais (1986), opera consistente in un insieme di note e riflessioni dell’autrice sulla percezione e sul rapporto tra arte e natura, a cui è affiancata una selezione di dipinti del monte Tamalpais.
La conclusione del saggio riassume i punti affrontati e sottolinea un aspetto che forse nel corso della trattazione può sfuggire. Il principio metodologico proposto dall’autrice non vuol essere applicabile solo ed esclusivamente a scrittori impegnati anche in campo artistico, nella veste di critici d’arte, semplici appassionati o veri e propri artisti. Ma, attraverso gli esempi proposti, ha voluto suggerire che romanzi come quelli di Ǧabrā, Munīf e Adnan possono essere letti e interpretati in modo diverso attraverso le lenti dell’arte, al di là dell’interesse parallelo di ciascuno di loro per quel mondo.
Concludendo, Reading across Modern Arabic Literature and Art emerge come un contributo pioneristico e stimolante all’interno degli studi di letteratura araba moderna. La piacevolezza della scrittura, il tema coinvolgente, la completezza delle informazioni e l’appendice illustrata rendono il saggio fruibile anche da parte di un pubblico non specialista del settore. Nello stesso tempo, il rigore scientifico, l’imponente apparato di note (ben 757) e l’esaustiva bibliografia conclusiva fanno dell’opera uno strumento fondamentale per quanti vogliano avviare una lettura, o anche una rilettura, delle letteratura araba moderna e contemporanea alla luce dei suoi rapporti con le altre espressioni artistiche.
Arturo Monaco