Muḥammad Salmāwī, Ağniḥah al-farāšah (Ali di farfalla), al-Dār al-miṣriyyah al-lubnāniyyah, Il Cairo 2010, pp. 191.

Muḥammad Salmāwī, uno dei più affermati intellettuali egiziani, molto noto anche nel campo dell’editoria, ha pubblicato questo romanzo nel 2011, avendo già molto chiaro in mente quello che sarebbe accaduto di lì a poco: la primavera araba.

Il titolo allude alla farfalla che, dapprima imbozzolata come crisalide, sboccia a primavera, mostrando tutti i suoi colori. Il testo, scritto in un linguaggio chiaro, immediato e semplice si distacca dalla produzione dei romanzi dei giovani bloggers egiziani che sublimano depressioni immobilizzanti e schizofrenie sociali in metafore. Qui si tratta di un romanzo ottimista e costruttivo. L’autore ha fiducia nel futuro, al punto che immagina avvenimenti che sono poi effettivamente accaduti, come l’organizzarsi di un’opposizione intorno ai temi del lavoro e della disoccupazione, della libertà e della ricerca di una via democratica, perfino la caduta di Mubārak e del suo governo corrotto.

In questo romanzo, tuttavia, la città del Cairo, con il suo caos provocato dalle continue manifestazioni e assembramenti che si stanno verificando nella piazza Taḥrīr e nei vicoli adiacenti, non è la protagonista assoluto, ma la scena si divide con alcune città italiane, Roma, Milano e Palermo, meta dei due protagonisti della storia.

La tipologia dei personaggi, che l’autore ci introduce dedicando a ciascuno di loro un capitolo, rispecchia la composizione sociale degli strati di popolo che parteciperanno alla rivoluzione: un intellettuale, Ašraf, architetto e attivista politico nel campo della difesa dei diritti umani; una stilista, Ḍuḥà, donna insoddisfatta della sua vita e del suo matrimonio con un alto papavero del governo, che ha solo conosciuto ambienti altolocati, ma è istintivamente una ribelle che attende di essere risvegliata e portata alla coscienza; tre ragazzi, prototipi dei giovani egiziani, divisi tra lo sbarcare il lunario ad ogni costo, lo studio universitario e la preoccupazione per il futuro. Due di questi sono fratelli, Ayman, il più piccolo e tuttavia il più saggio e ‘Abd al-Ṣamad, che ha in testa l’autonomia economica da raggiungere con qualsiasi mezzo, dall’emigrazione alla prostituzione maschile. Ayman è alla ricerca della sua vera madre, ma la madre e la patria finiranno per coincidere: lottando per trovare l’una in realtà finirà per trovare anche l’altra, lo si capirà, quando insieme all’amico Ḥassan, che lo aiutato per arrivare a sua madre che lui credeva morta, parteciperà ai recenti avvenimenti di piazza Taḥrīr.

Il risveglio e l’inizio della trasformazione di Ḍuḥà avviene attraverso l’incontro fortuito con l’architetto in aereo per Roma. Lui per recarsi a Palermo dove lo attende un incontro internazionale sui diritti umani, lei per partecipare come stilista ad una sfilata a Milano. Come spesso succede in viaggio, in cui si crea una forzosa intimità tra sconosciuti, che spesso sfocia in confidenze mai confessate, tra i due si crea un cortocircuito che provoca pian piano nella donna la voglia di capire la realtà da cui è stata esclusa per molto tempo, e che l’ha portata a vivere una vita fittizia e distante dai problemi della società.

Roma, con tutti i suoi tesori artistici, con i suoi ristorantini e le passeggiate che i due si ritroveranno a fare, fa da agente catalizzatore.

Al ritorno al Cairo, niente sarà come prima. La donna mette fine al suo matrimonio che di tale ha solo il nome, va all’università a vedere e cercare di capire cosa dicono i “ribelli”, e ammira sempre più la figura di Ašraf che, nel frattempo, è diventato il vero e proprio leader della rivoluzione e si ritrova al centro degli avvenimenti che conducono alla caduta di Mubārak, allo storico istallarsi di un governo provvisorio che porterà finalmente a libere elezioni. Si intuisce anche una futura love story tra i due.

Ogni tanto fa bene leggere qualcosa che indica una strada effettiva e non solo una sterile critica all’esistente, anche a costo di apparire ingenui e desiderosi di lieto fine. Ma il romanzo è solo apparentemente tale: ci riporta ad un solido presente, in cui le cose stanno prendendo forma, anche se non sappiamo ancora bene quale.

Raoudha Mediouni

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 1, giugno 2011

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