Muḥammad Salmāwī (a cura di), Fī ḥaḍrat Naǧīb Maḥfūẓ (Alla presenza di Naǧīb Maḥfūẓ), al-Dār al-miṣriyyah al-lubnāniyyah, al-Qāhirah 2012, pp. 400.
Questo libro, uscito in occasione dell’anniversario del centenario della nascita di Naǧīb Maḥfūẓ, si compone di una raccolta di testi inediti raccolti dallo scrittore Muḥammad Salmāwī, giornalista e amico personale dello stesso Maḥfūẓ. Il volume è suddiviso in quattro capitoli. Nel primo di questi sono state raccolte alcune conversazioni svoltesi tra Naǧīb Maḥfūẓ e alcune personalità provenienti dai più disparati campi del sapere, da letterati a scienziati a uomini della politica che hanno incontrato il grande scrittore egiziano. Compaiono tra gli altri i premi Nobel Nadine Gordimer, Claude Simon e Orhan Pamuk, gli scrittori Paulo Coelho, Éric-Emmanuel Schmitt, Mario Vargas Llosa e il drammaturgo americano Arthur Miller e, tra i giornalisti, l’egiziano Muḥammad Ḥasanayn Haykal.
Il secondo capitolo contiene trentaquattro testi inediti scritti da Salmāwī stesso e che sono il risultato di circa vent’anni di incontri personali con Naǧīb Maḥfūẓ. Questi testi riassumono le opinioni dello scrittore su questioni che spaziano dalla politica alla società e dalla filosofia al suo rapporto con il potere, andando a costituire la sezione più interessante dal punto di vista della critica letteraria e dello studio accademico.
La terza parte comprende alcuni interventi che Maḥfūẓ ha tenuto nel corso di conferenze e incontri ufficiali, tra cui il discorso che ha scritto in occasione della proclamazione del premio Nobel nel 1988, mentre la quarta e ultima parte consiste in una raccolta di fotografie che ritraggono il grande scrittore egiziano con alcuni dei prestigiosi visitatori che lo hanno incontrato nell’arco della sua lunga carriera.
A cavallo tra memoriale e saggio letterario, questo libro sembra contenere in sé tre libri diversi, che potrebbero corrispondere a tre diverse descrizioni di Naǧīb Maḥfūẓ. Nella prima parte infatti, il lettore viene trasportato nella casa del grande scrittore, e gli viene data la possibilità di “assistere” ad alcune conversazioni che vertono anche su temi personali e che ne rivelano il lato umano, lasciando indovinare lo spirito accogliente, la saggezza e anche le fragilità del grande scrittore. Un esempio di questo si trova quando Salmāwī riporta le parole dello psicologo Yaḥyà al-Raḫāwī che si prendeva cura di Maḥfūẓ in seguito all’attentato del 1994. [p. 156]
Nel testo intitolato Niẓām al-ḥayāh..wa ’l-alam al-akbar (Uno stile di vita… e il dolore più grande), l’autore del libro condivide con i lettori un pezzetto del rapporto di fiducia e di amicizia che intercorreva tra lui e Maḥfūẓ, ricordando quando il grande letterato chiese a Salmāwī di essere presente agli incontri con gli ospiti stranieri, chiamandolo scherzosamente “Ministro degli esteri”. [p.156]
Interessante è la selezione, da parte dell’autore, della trascrizione dell’incontro tra Maḥfūẓ e la moglie dell’ex-primo ministro spagnolo José Marìa Aznar, che gli chiede cosa abbia significato per lui aver lavorato a capo dell’organo governativo egiziano per la censura. Risponde Maḥfūẓ:
Ne fui molto soddisfatto. La censura esisteva e immaginavo che entrando a farne parte, avrei reso all’arte e alla cultura un servizio migliore di come sarebbe stato se a dirigerla avessero posto un impiegato governativo. Sono certo di aver reso un servizio alla cultura e al costume in genere, nel limite delle mie possibilità. [p.58]
L’autore, poi, si sofferma su una delle questioni più dibattute rispetto alle scelte di Naǧīb Maḥfūẓ e cioè il suo rapporto con il potere. È noto infatti che egli sia stato anche criticato da alcuni suoi connazionali per non aver mai preso una posizione politica chiara e ben definita, preferendo invece trincerarsi dietro ai suoi romanzi per non esprimersi in maniera esplicita. Nel testo intitolato Hal hādana Maḥfūẓ al-sulṭah? (Maḥfūẓ ha stabilito una tregua col potere?), Salmāwī difende in maniera appassionata l’impegno sociale e politico dell’amico scrittore, la cui lotta per cause politiche si è espressa certamente nelle forme metaforiche della narrativa, ma anche dell’impegno concreto. A tal proposito viene riportato un episodio in cui un ufficiale dell’esercito, di nome ‘Abd al-Ḥakīm ‘Āmir, chiese un procedimento penale nei riguardi di Maḥfūẓ per aver pubblicato il romanzo Ṯarṯarah fawqa al-Nīl. Come scrive l’autore del saggio, l’ufficiale riteneva che «lo scrittore avesse superato ogni limite con le sue critiche al clima poliziesco che regnava in Egitto prima della guerra del 1967.» [p. 244]
Continua Salmāwī: «Tutto ciò comunque non dissuase Maḥfūẓ dal continuare a criticare l’ordine costituito […] l’anno successivo pubblicò un romanzo dello stesso orientamento, Mīrāmār, che uscì nello stesso anno della naksah, quando il sistema politico non era disposto ad accettare simili coraggiose critiche.»[p. 246]
L’autore riporta anche un episodio avvenuto all’epoca del presidente al-Sādāt, quando Maḥfūẓ sottoscrisse la petizione che anche altri scrittori avevano firmato, con la quale si rifiutava lo stato di neutralità dichiarata prima della guerra del 1973. In quell’occasione vennero presi contro di lui provvedimenti che non erano stati presi nemmeno all’epoca di Ǧamāl ‘Abd al-Nāṣir: i suoi scritti furono censurati e fu proibita la trasmissione dei film da lui sceneggiati. [p. 248]
D’altra parte, le frizioni di Maḥfūẓ col potere iniziano fin dai primissimi anni di attività; Salmāwī ricorda che nel periodo in cui uscì il racconto breve al-Ḫawf, con il quale Maḥfūẓ, in base a quanto da lui stesso affermato, aveva voluto criticare intenzionalmente il sistema antidemocratico del regime di quell’epoca, lo scrittore confessò di avere l’impressione di essere costantemente controllato, perché in più occasioni alcuni ufficiali lo avevano fermato per strada chiedendogli cosa volesse esprimere con quel racconto e chi si nascondesse dietro la figura dell’ufficiale tiranno. [p. 250]
Altri scritti, contenuti soprattutto nel secondo capitolo, presentano un taglio maggiormente orientato all’analisi e alla critica letteraria; così che in al-Riwāyah al-maḥfūẓiyyah (Il romanzo maḥfūẓiano), Salmāwī presenta una rapida storia degli sviluppi artistici di Maḥfūẓ, paragonandolo, con profondo affetto, a grandi artisti della storia dell’umanità che l’hanno preceduto.
In al-ʻIlm wa ’l-taḥdīṯ fī fikr Naǧīb Maḥfūẓ (La scienza e la modernizzazione nel pensiero di Naǧīb Maḥfūẓ), l’autore riprende un concetto espresso anche dal critico Sulaymān al-Šaṭṭī, riguardo alla duplice tensione filosofica di Maḥfūẓ, che articola la riflessione metafisica nella forma di una dicotomia tra materia e spirito:
Forse l’aspetto principale che Maḥfūẓ ha trovato nella filosofia di Bergson è il tradizionale dualismo tra corpo e anima, tra materia e spirito, rappresentato dalla filosofia sufi, che separa nettamente le due cose, e che anzi, spingendosi fino al limite, afferma che il corpo rappresenta una limitazione e una debolezza per l’anima, mentre lo spirito è l’espressione della libertà e del sublime. Tale dualismo, nell’espressione di Bergson come nel sufismo, era l’asse centrale del pensiero di Naǧīb Maḥfūẓ sin dalle opere che precedono la Ṯulāṯiyyah, fino alle ultime, in cui emerge il suo lato mistico, come in Aṣdā’ sīrah ḏātiyyah (Echi di un’autobiografia) e i racconti che scrive attualmente sotto il titolo Aḥlām fatrat al-naqāhah (Sogni del periodo della convalescenza). [pp. 196-197]
Se dunque la scienza è espressione del corpo, e la religione è espressione dello spirito, esse diventano il simbolo del contrasto tra tradizione e modernità, che incarnano a loro volta due principi apparentemente inconciliabili.
Infine, la terza parte che compone il volume raccoglie i testi di alcuni discorsi ufficiali scritti da Naǧīb Maḥfūẓ in occasione di conferenze svoltesi in vari paesi. Come è noto egli non partì mai dall’Egitto, tuttavia questo non gli impedì di far sentire la sua voce attraverso discorsi scritti di suo pugno e letti da altre persone.
Piuttosto significativo è un piccolo estratto di un discorso presentato a Valencia, in cui ribadì l’importanza del ruolo della cultura nella costruzione della coscienza dei popoli, come presupposto fondamentale per una convivenza pacifica tra le due metà del Mediterraneo: «Se la politica recide il legame con la cultura, essa perde il cuore e l’anima, allo stesso modo in cui la cultura lontana dall’impegno politico non diviene altro che un vuoto esercizio intellettuale». [p. 372]
In conclusione Fī ḥaḍrat Naǧīb Maḥfūẓ è un libro di piacevole lettura, non particolarmente denso di spunti teorici per lo studio accademico, ma senza dubbio ricchissimo di informazioni sulla vita del grande scrittore, informazioni che rivelano aspetti probabilmente secondari per quanto riguarda il lato letterario, ma di sicuro interesse per il lettore affezionato e desideroso di conoscere più a fondo la personalità di Naǧīb Maḥfūẓ attraverso i numerosi aneddoti riportati da Salmāwī. Il libro si può leggere senza seguire un ordine preciso, saltando da un testo all’altro secondo il capriccio di ciascuno, la scrittura è rapida e scorrevole e dalle righe di questa raccolta traspaiono l’affetto e la stima dell’autore, che ha voluto consegnare un’immagine meno ufficiale e forse più vicina allo spirito del grande scrittore egiziano.
Va segnalato, infine, che alcuni testi di questo libro sono stati tradotti dagli studenti del corso di Letteratura Araba Moderna e Contemporanea presso Sapienza, Università di Roma.
Edoardo Barzaghi