Margaret Litvin, Hamlet’s Arab Journey: Shakespeare’s Prince and Nasser’s Ghost, Princeton University Press, Princeton 2011, pp. 269

Sin dalla sua nascita nel XIX secolo, la moderna drammaturgia araba ha guardato al repertorio teatrale europeo come fonte di ispirazione per traduzioni, adattamenti, e riletture originali. Il teatro shakespeariano, frammento imprescindibile del patrimonio teatrale universale diventa immediatamente un elemento fondamentale del nascente teatro arabo. Personaggi quali Otello, Amleto, Macbeth diventano familiari anche al pubblico arabo attraverso l’opera di traduttori che, spesso, esaltano il “carattere arabo” delle opere shakespeariane, come nel caso del “nazionalista” e anti-ottomano Ḫalīl Muṭrān.

L’interessante saggio di Margaret Litvin, assistant professor di Arabic and Comparative Literature alla Boston University, intitolato Hamlet’s Arab Journey: Shakespeare’s Prince and Nasser’s Ghost, si concentra sulla reinterpretazione della figura di Amleto sia dal punto di vista drammatico, sia da quello politico. L’autrice, studiosa del teatro di Shakespeare nel mondo arabo a cui ha dedicato anche il blog http://arabshakespeare.blogspot.it, ripercorre i numerosi adattamenti del dramma di Amleto dalla versione musicata e a lieto fine del 1901 di Ṭānyūs ‘Abduh, fino ai nostri giorni.

Nel corso dei decenni, sottolinea la studiosa, l’Amleto prodotto nei teatri di Egitto, Giordania, Siria, Iraq e Kuwait si allontana dal suo carattere originario per diventare, di volta in volta, un eroe da operetta, un rivoluzionario o un dissidente. Nello stesso tempo, la figura di Amleto diventa sempre più presente anche nel discorso politico, ed è citata da liberali, nazionalisti e perfino dai sostenitori dell’Islam politico. Il primo capitolo del saggio “Hamlet in the Daily Discourse of Arab Identity” è dedicato, quindi, all’analisi della figura di Amleto all’interno del dibattito sulla formazione dell’identità araba. Margaret Litvin esamina la funzione e il significato assunto dal personaggio shakespeariano così come compare all’interno del vocabolario politico contemporaneo. Attraverso l’esame di documenti quali articoli di quotidiani, sermoni e discorsi politici, emerge che la riflessione amletica sulla condizione umana espressa nel famoso “to be or not to be”, perde la sua dimensione individuale per assumere un significato che abbraccia l’identità collettiva araba.

Per quanto riguarda la messa in scena teatrale, nel corso dei decenni il personaggio di Amleto diventa espressione di una volontà di conferire una dimensione internazionale al teatro arabo (1952-1964), oppure manifestazione di una ricerca psicologica (1964-1967), di agitazione politica (1970-1975), e infine di una “intertextual dramatic irony” (1976-2002) [pp. 9-10].

Il secondo capitolo, “Nasser’s Dramatic Imagination, 1952-64”, rappresenta il vero punto di partenza del viaggio condotto da Margaret Litvin attraverso le innumerevoli versioni arabe dell’Amleto. Il percorso inizia nell’Egitto di Nasser momento in cui, secondo la studiosa, il personaggio shakespeariano nasce nella sua versione postcoloniale, contemporaneamente alla nascita del nazionalismo. L’autrice ripercorre poi le precedenti tappe egiziane dell’Amleto nel terzo capitolo, intitolato “The Global Kaleidoscope: How Egyptians Got Their Hamlet, 1901-64”. Dalle prime traduzioni ad opera dei già citati ‘Abduh e Muṭrān attraverso le versioni francesi, fino alla prima traduzione dall’originale inglese dell’avvocato e giornalista politico Sāmī al-Ǧuraydīnī pubblicata nel 1922, fino alle note interpretazioni di famosi attori e attrici da Salāmah Ḥiǧāzī a George Abyaḍ, da Sulaymān al-Qaradāḥī a Yūsuf Wahbī, da Fāṭimah Rušdī a Amīnah Rizq che introducono definitivamente Amleto nell’immaginario culturale arabo [p. 73]. Accanto alle rappresentazioni teatrali nasce una ricca produzione di studi critici sulla figura di Amleto e sul teatro shakespeariano in generale che vede impegnati intellettuali come Aḥmad Luṭfī al-Sayyid, Tawfīq al-Ḥakīm, ‘Abbās Maḥmūd al-‘Aqqād ecc. Interessante in questo capitolo lo sguardo sulle produzioni teatrali e cinematografiche sovietiche e la loro influenza sulla produzione culturale egiziana.

Il quarto capitolo, “Hamletizing the Arab Muslim Hero, 1964-67”, esamina l’interiorizzazione del personaggio di Amleto da parte dei drammaturghi arabi e “l’amletizzazione” dei protagonisti arabo-musulmani delle loro opere. Nello specifico, Margaret Litvin prende in considerazione due lavori che rappresentano degli imprescindibili punti di riferimento del teatro dell’epoca, Sulaymān al-Ḥalabī di Alfrīd Faraǧ e Ma’sāt al-Ḥallāǧ di Ṣalāḥ ‘Abd al-Ṣabbūr.

Il quinto capitolo, “Time Out of Joint, 1967-76”, inizia con l’impatto culturale della Guerra dei Sei giorni del 1967 e la successiva morte di Nasser avvenuta nel 1970. La disillusione degli intellettuali arabi si traduce in una trasformazione radicale del ruolo del teatro: l’analisi di due adattamenti dell’Amleto prodotti agli inizi degli anni ’70, rispettivamente gli Hāmlit di Muḥammad Ṣubḥī in Egitto e di Riyāḍ ‘Iṣmat in Siria mostrano come «guilt and sadness over his father’s death only sharpened his anger; his fierce pursuit of justice left no room for introspection or doubt» [p. 11].

Il saggio prosegue con il capitolo “Six Plays in Search of a Protagonist, 1976-2002”, in cui Margaret Litvin analizza alcune versioni dell’Amleto, da quella satirica Hāmlit … yastayqiẓu muta’aḫḫiran (1976) realizzata dal siriano Mamdūḥ ‘Udwān; oltre a Firqah masraḥiyyah waǧadat masraḥan… fa-masraḥat Hāmlit (1984) del giordano Nādir ‘Umrān; Raqṣat al-‘aqārib (1988) dell’egiziano Maḥmūd Abū Dūmah; Insū Hāmlit (1994) dell’iracheno Ǧawād al-Asadī; Ismā‘īl-Hāmlit (1999) del tunisino ‘Abd al-Ḥakīm Marzūqī; e The Al-Hamlet Summit dell’anglo-kuwaitiano Sulaymān al-Bassām. Questi lavori dimostrano come, alla svolta degli anni ’70, il personaggio di Amleto abbandoni il carattere di eroe politico. Rispecchiando le trasformazioni politiche subite dalle società arabe negli ultimi decenni, Amleto recupera in questi recenti lavori la sua natura di sognatore propria della tradizione anglo-americana, pur esprimendo un originale lato ironico che lo rende, secondo le conclusioni di Margaret Litvin, un “post-eroe”.

Monica Ruocco

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno II, numero 4, dicembre 2012

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Monica Ruocco |