Khalid Amine and Marvin Carlson, The Theatres of Morocco, Algeria and Tunisia. Performance Traditions of the Maghreb, Palgrave MacMillan, New York 2012, pp. 262

Questo saggio colma una profonda lacuna, ovvero l’assenza di un manuale in una lingua occidentale sulla storia della drammaturgia e dello spettacolo in Algeria, Tunisia e Marocco dall’epoca classica fino al primo decennio del XXI secolo. Il testo, frutto di una lunga e intensa ricerca intrapresa nell’ambito dell’Arabic Theatre Working Group legato alla Fédération Internationale pour la Recherche Théâtrale (FIRT), ha come autori due importanti personalità degli studi teatrali sul mondo arabo. Entrambi docenti di Storia del Teatro, Marvin Carlson è Distinguished Professor presso la prestigiosa City University di New York; mentre Khalid Amine insegna presso la Abdelmalek Essaadi University a Tetouan, in Marocco. I due autori promuovono anche al-Markaz al-duwalī li-dirāsāt al-furǧah (International Centre for Performance Studies) di Tangeri, che nella città marocchina organizza ogni anno una conferenza internazionale giunta ormai alla sua nona edizione.
Pur non negando il ruolo del Libano e della Siria per quanto riguarda la nascita del teatro arabo moderno, né quello dell’Egitto per il suo lungo predominio dal punto di vista della ricchezza della drammaturgia e dell’arte performativa, Marvin Carlson e Khalid Amine denunciano una certa marginalizzazione della ricchissima produzione drammatica dei paesi del Maghreb da parte degli studiosi occidentali. Il punto di partenza degli autori è individuare negli inizi di un teatro algerino, tunisino e marocchino ispirato a forme artistiche occidentali il prodotto di una politica coloniale del XX secolo. Il moderno teatro maghrebino si è, di fatto, innestato su una tradizione artistica che ha preceduto di molti decenni la presenza occidentale nella regione e che perdura fino ai nostri giorni. Le negoziazioni culturali, politiche ed artistiche fra le pratiche di spettacolo locali e i modelli importati dall’occidente costituiscono, per gli studiosi, la caratteristica centrale della produzione teatrale maghrebina.
La prima parte del saggio è dedicata alle espressioni artistiche precoloniali e alla presenza del genere teatrale nella regione sin dall’antichità romana. Dopo la caduta dell’Impero romano, le imponenti rovine dei teatri che avevano ormai perduto la loro funzione diventano talvolta fonte di ispirazione per poeti come Muḥriz Ibn Ḫalaf (m. 1022) il quale dedica un poema al Teatro di Cartagine senza fare, però, alcuna menzione del suo utilizzo originario. Per un recupero dei teatri romani bisognerà attendere la rappresentazione del Polyeucte di Corneille da parte della Comédie Française nel teatro di Cherchell (Šaršāl) in Algeria nel 1954; oppure la successiva nascita del “Festival di Cartagine” in Tunisia nel 1964, in pieno periodo post-indipendenza.
La tradizione teatrale locale poteva, come ricordano gli autori, contare su differenti forme di intrattenimento legate all’oralità, come nel caso dei narratori ǧawwāl, oppure degli ḥakawātī e dei maddāḥ, la cui funzione sembrava essere, rispettivamente, quella di cantare le gesta degli eroi delle epiche popolari, oppure di pie personalità musulmane. Una ampia sezione di questa parte è dedicata al fenomeno della ḥalqah, il circolo all’interno del quale si svolgevano le narrazioni sia in spazi pubblici, sia privati, dove spesso erano le donne a svolgere il ruolo principale. Punto centrale delle pratiche performative del Maghreb, la ḥalqah ricopre la duplice funzione di luogo di intrattenimento ma anche di costruzione di un’identità sociale e nazionale. Il significato spaziale della ḥalqah si sovrappone, infatti, a quello artistico creando una performance che spesso non fa ricorso a un testo scritto, ma utilizza codici di comunicazione che non sono necessariamente linguistici. L’efficacia delle rappresentazioni all’interno della ḥalqah, la cui efficacia nel coinvolgere gli spettatori le conferisce un valore estremamente moderno, è stata spesso testimoniata da viaggiatori arabi e non, tra cui Elias Canetti che ne descrive gli spettacoli in Marocco. A questa espressione artistica se ne aggiungono altre il cui destino si sovrapporrà alle forme introdotte dall’Occidente durante il periodo coloniale.
La seconda parte del saggio è dedicata, quindi, al teatro coloniale nel Maghreb. Nonostante i frequenti contatti tra le due sponde che testimoniano già nel XVII e XVIII secolo la presenza di troupe occidentali – in particolare italiane e francesi – nei paesi maghrebini, la presenza di un teatro occidentale stabile inizia solo a partire dal XIX secolo. Il fiorire di sale teatrali, il grande numero di compagnie provenienti dalla riva opposta del Mediterraneo sono dovute sicuramente alla politica delle potenze coloniali, quindi generalmente della Francia, e alla conseguente crescita della popolazione straniera, ma anche a una massiccia emigrazione europea, ad esempio di italiani, come nel caso della Tunisia. Il nascente teatro maghrebino si svilupperà spesso indipendentemente da quello europeo, e un importante ruolo verrà svolto dalle compagnie egiziane che visitano i paesi maghrebini incoraggiando, tra l’altro, una significativa partecipazione delle donne all’attività teatrale. Il testo procede con una panoramica sul cosiddetto teatro della resistenza a cui fa seguito un interessante capitolo sulle relazioni tra teatro e Islam durante l’occupazione coloniale. Gli autori passano in rassegna alcuni casi, come quello della compagnia tunisina al-Šabāb al-Qayrawānī (La gioventù di Kairouan) il cui fondatore, Ibrāhīm al-Qadīdī, cercherà di coniugare intorno agli anni ’40 il liberalismo europeo con l’ortodossia religiosa, influenzato dal movimento salafita che in quel periodo viveva una rapida espansione. L’utilizzo di temi legati alla dimensione religiosa e a quella politico-nazionalista costerà in diversi casi la messa al bando di molti spettacoli da parte delle autorità coloniali, che però non riusciranno a fermare le rappresentazioni clandestine organizzate all’interno delle abitazioni private.
La terza parte del saggio si concentra, infine, sulle produzioni teatrali dal periodo post-coloniale fino al primo decennio del XXI secolo. Il teatro che si sviluppa immediatamente dopo le indipendenze, tra il 1956 e il 1970 risente ancora, secondo gli autori, dell’influenza di quanto era stato prodotto durante gli ultimi decenni del periodo coloniale. Soltanto in seguito, tra il 1970 e il 1990, si assisterà a un vero sviluppo delle specifiche tradizioni nazionali dei tre paesi del Maghreb. La preoccupazione maggiore degli autori drammatici di questo periodo è quella di combinare in maniera artisticamente produttiva il patrimonio culturale locale con le esperienze artistiche europee. Così in Algeria dominano autori già noti quali Kākī, Kateb Yacine, ‘Abd al-Qādir ‘Allūlah, Slimane Banaïssa (Sulaymān bin ‘Īsà); in Marocco ‘Abd al-Karīm Buršīd teorizza nel 1977 il suo al-Masraḥ al-Iḥtifālī (Il teatro cerimoniale), Muḥammad Miskinī elabora il Masraḥ al-naqd (Il teatro critico); mentre in Tunisia autori come Ǧalīlah Bakkār, Fāḍil al-Ǧaʻāybī, Fāḍil al-Ǧazīrī, Muḥammad Idrīs, Muḥammad Rāǧā’ Farḥāt e ʻAbd al-Qādir Muqdād getteranno le basi del moderno teatro nazionale.
Particolarmente interessante l’ultima sezione del saggio che riguarda i più recenti sviluppi del teatro maghrebino, dall’esperimento di Sinni, spettacolo del 1991 in cui la lingua kabila è per la prima volta protagonista di un palcoscenico algerino e che segna la successiva diffusione del teatro amazigh anche in Marocco, fino a Yahia Yaïch / Amnesia del duo tunisino Ǧalīlah Bakkār-Fāḍil al-Ǧaʻāybī le cui rappresentazioni nel 2010-11 hanno coinciso con le trasformazioni che hanno profondamente inciso sulla vita politica del paese.
Il merito più significativo del lavoro di ricerca condotto da Khalid Amine e Marvin Carlson è, oltre alla enorme quantità di informazioni su autori, opere e spettacoli svoltisi nel corso della ricca storia del teatro maghrebino contemporaneo, quello di aver restituito a tali sperimentazioni – grazie a un solido apparato teorico e critico – una dimensione mondiale affrancando la drammaturgia algerina, tunisina e marocchina da uno specifico ambito nazionale, regionale, o esclusivamente arabo. L’unica osservazione riguarda la bibliografia che, pur esaustiva, comprende esclusivamente riferimenti in arabo, inglese e francese escludendo importanti e a noi vicine tradizioni di studi arabistici, come quella italiana e spagnola, soltanto per fare due esempi. In ogni caso questo testo è già diventato un importante punto di riferimento per tutti gli studiosi di teatro contemporaneo.

Monica Ruocco

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno III, numero 5, giugno 2013

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Monica Ruocco |