Julius Dihstelhoff, Charlotte Pardey, Rachid Ouaissa, Friedericke Pannewick (eds.), Entanglements of the Maghreb: Cultural and Political Aspects of a Region in Motion, transcript Verlag, Bielefeld 2021, pp. 267.

in La rivista di Arablit, a. XIV, n. 27, giugno 2024, pp. 154-157.

Il volume, nato da una conferenza dal titolo Re-Centering a Region: The Maghreb in Motion, tenutasi alla Philipps-Universität di Marburg nel febbraio 2018, è un’antologia interdisciplinare e bilingue (inglese e francese) che raccoglie diversi contributi di esperti ed esperte del Maghreb.

Nell’introduzione, i curatori Julius Dihstelhoff e Charlotte Pardey spiegano che, sebbene i Paesi del Maghreb abbiano avuto un ruolo fondamentale nelle rivolte del 2010-2011 – iniziate, com’è noto, in Tunisia –, sono stati oggetto di un’attenzione relativamente limitata da parte degli area studies. Le ragioni di questa sottovalutazione, che vengono esplorate in maniera diretta o indiretta dalla maggior parte dei contributi che compongono il volume, sono da ricercarsi in una consolidata tendenza alla marginalizzazione del Maghreb da parte della ricerca accademica. Si tratta, infatti, di una regione difficilmente inquadrabile all’interno delle caselle disciplinari universitarie: multiculturale e plurilingue, storicamente collocato al crocevia tra Mediterraneo, Africa subsahariana e Levante arabo (per non citare le rotte atlantiche), lontano dai rassicuranti capisaldi dell’orientalismo istituzionalizzato dai dipartimenti universitari, il Maghreb è luogo di entanglements, ossia di grovigli e interrelazioni complesse, di fili e tracce che si intersecano, interrogando e provocando l’osservatore, costretto a decostruire i suoi paradigmi epistemologici. Questo volume si ripropone di fare da bussola a studenti e ricercatori che vogliano imbarcarsi nello studio di questa regione con un approccio comprensivo e di largo respiro.

Oltre all’introduzione e a una prima sezione intitolata Conceptions of the Maghreb, in cui Karima Dirèche e Richard Ouissa presentano una sintetica panoramica preliminare sulle inquietudini e le trasformazioni socio-politiche ed economiche del Maghreb nell’ultimo decennio, il volume si compone di tre sezioni: Entanglements of Mobility and Society, Entanglements of Identities and Multilingualism e Entanglements of Politics and Economics. A mo’ di conclusione collettiva, infine, una quarta sezione intitolata Perspectives of/for the Maghreb espone il punto di vista dei contributori del volume sul futuro della ricerca e degli studi maghrebini.

Tra i capitoli più interessanti della prima sezione, quello del sociologo algerino Lahouari Addi, intitolato Anthropologie de la conscience nationale au Maghreb, compie un’analisi parallela delle diverse forme di coscienza nazionale sviluppatesi in Algeria, Marocco e Tunisia all’indomani dell’indipendenza di questi Paesi dalla Francia. Adottando un’accezione ristretta e centralizzata del concetto di nazione – Addi sostiene, infatti, che «une nation n’existe pas sans État» [p. 66] –, lo studioso si pone una domanda controfattuale: come mai, nonostante le loro similarità, le tre ex-colonie non hanno deciso di unirsi in un unico Stato-nazione? Nel tentare di rispondere, Addi esplora le modalità con cui i tre Paesi hanno affrontato le rispettive lotte anticoloniali, ispirandosi alle loro esperienze politiche precoloniali: la continuità della monarchia e la dialettica makhzen-siba nel caso del Marocco, la lotta dell’emiro Abdelkader (ʾAbd al-Qādir) e la refrattarietà alla centralizzazione del potere nel caso dell’Algeria, la costituzione del 1861 di Kheireddine Pacha (Ḫayr al-Dīn Bāšā) e la ridotta importanza demografica del mondo rurale nel caso della Tunisia.

In questa stessa sezione trovano posto il capitolo di Hakim Abderrezak The Maghreb Entrangled and Ensnared in European Webs, dedicato all’analisi di due esempi di ciò che l’autore chiama illitterature, ovvero il romanzo Partir (2006) di Tahar Ben Jelloun e il film Io, l’altro (2006) di Mohsin Melliti (Muḥsin Millītī), in una prospettiva mediterranea e migratoria; Le hirak du Rif et la diaspora en Europe, in cui il sociologo Christoph H. Schwarz mostra come le proteste del Rif scatenatesi nel 2016 a seguito della morte del pescatore Mohsen Fikri (Muḥsin Fikrī) a al-Hoceima abbiano avuto delle importanti ripercussioni sugli immigrati di origine rifi in Europa, incrementando la loro coesione sociale e la loro identificazione con la causa rifi; e infine il capitolo L’instruction des filles dans le Maghreb colonial di Fadma Aït Mous, una panoramica sulla scolarizzazione delle donne nordafricane in epoca coloniale e sul ruolo della donna come riproduttrice della nazione.

Nella seconda sezione si distingue l’intervento di Karima Laachir, Defying Language Ideologies, in cui l’autrice sviluppa un tema che aveva già trattato nel suo articolo The aesthetics and politics of ‘reading together’ Moroccan novels in Arabic and French (in “The Journal of North African Studies”, 21, 1 (2016), pp. 22-36). Constatando la polarizzazione linguistica che interessa il Marocco, Laachir invita a “leggere insieme” la produzione letteraria e saggistica scritta nelle diverse lingue che sono quotidianamente parlate e “vissute” nel Paese (e, più in generale, nel Maghreb), poiché si tratta di una produzione che, a prescindere dalla lingua in cui gli autori decidono di esprimersi, sottende un plurilinguismo inevitabile di fondo. Attraversando la riflessione sul plurilinguismo che ha accompagnato la storia del Marocco dall’indipendenza a oggi, Laachir restituisce al lettore un quadro composito, in cui il monolinguismo non ha mai attecchito, nonostante i tentativi di arabizzazione e nonostante la politicizzazione di cui è investita la scelta dell’idioma. Come l’arabizzazione in Marocco è (parzialmente, contrariamente a ciò che sostiene Laachir) fallita, così è fallito il tentativo di espulsione del francese dal novero delle lingue nazionali. Alla diade arabo-francese si aggiungono poi lo spagnolo, la dāriǧah, il tamazight e, più recentemente, l’inglese. In una situazione simile, argomenta Laachir, ogni tentativo di ridurre la complessità e la differenza porta fuori strada e non aiuta la comprensione.

Anche il capitolo di Samia Kassab-Charfi, La question du multilinguisme au Maghreb, è dedicato all’analisi di una sorta di “sostrato multilingue” incistato nel romanzo Mémoire illettrée d’une fillette d’Afrique du Nord à l’époque coloniale (1978), in cui il francese incontra la dāriǧah e il giudeo-arabo dell’infanzia dell’autrice, la scrittrice ebrea di origini tunisine Katia Rubinstein. Anziché far propria una concezione quasi “bellicosa” dell’appropriazione della lingua del colonizzatore da parte degli scrittori maghrebini colonizzati – il francese concepito come «butin de guerre», secondo la famosa definizione di Kateb Yacine, o l’arabo dipinto come lingua violentata –, Kassab-Charfi usa una terminologia che pertiene al materno, sottolineando come scrittori e scrittrici maghrebini abbiano accolto il francese nel complesso sistema plurilingue di cui sono portatori.

Nella seconda sezione si colloca anche l’affascinante contributo di Claudia Gronemann, Augustine of Hippo in Colonial and Postcolonial Texts, che ripercorre le vicissitudini dell’appropriazione della figura di Sant’Agostino tanto negli scritti di autori francesi di epoca coloniale quanto in quelli di scrittori nordafricani di epoca postcoloniale. Gronemann mostra come Sant’Agostino – berbero nordafricano cresciuto in seno all’Impero romano e alla Chiesa cattolica – sia stato di volta in volta recuperato in funzione di precise ideologie politiche. Per lo scrittore Louis Bertrand, Agostino era l’emblema dell’Afrique latine, un personaggio funzionale alla giustificazione della missione civilizzatrice francese che avrebbe riportato il Maghreb all’antico splendore imperiale della Numidia e dell’Africa proconsolare. Per René Pottier, invece, Agostino era primariamente un berbero e, in quanto tale, un buon cristiano, secondo la narrativa coloniale francese: quest’ultima, infatti, aveva accuratamente cercato di costruire la “berberità” come opposta all’“arabità”, in virtù della supposta provenienza europea degli Amazigh, della loro etnicità bianca, del loro antico passato cristiano e del fatto che erano loro gli abitanti originari del Nordafrica, conquistati e oppressi in una fase successiva dall’invasore arabo. Dopo l’indipendenza dalla Francia, la figura di Agostino va incontro a un processo di rigetto, per poi iniziare gradualmente a essere riappropriata in funzione di nation building, come dimostrano tanto gli scritti di autori algerini e marocchini (Assia Djebar, Kebir Ammi, Abdelaziz Ferrah) quanto iniziative di carattere ufficiale come, per esempio, la conferenza Augustinus Afer, tenutasi nel 2001 tra Algeri e Annaba con il patrocinio dell’allora presidente algerino Bouteflika.

La terza sezione del volume comprende tre capitoli: prima dei due capitoli finali – Socioeconomic Factors and Political Mobilization in the Maghreb di Janicke Stramer-Smith e Rent, Globalization, Dependency, and Impediments to Growth in the Maghreb di Hartmut Elsenhans, entrambi a tema politologico ed economico –, nel suo Le Printemps berbères, dal programmatico sottotitolo Pour en finir avec un Maghreb arabe?, Karima Dirèche ripercorre la storia postcoloniale delle popolazioni amazigh. Spostando lo sguardo dalla storiografia ufficiale, profondamente arabizzata e centralizzata, a quella amazigh, marginalizzata e guardata attraverso «le prisme déformant de l’irrédentisme et du séparatisme, un héritage, entre autres, de la France coloniale» [p. 182], Dirèche sottolinea come la storia dei movimenti di lotta politica e di affermazione identitaria Amazigh sia una storia eminentemente transnazionale, per lunghi decenni totalmente trascurata ma oggi più che mai necessaria alla comprensione del Maghreb contemporaneo.

Entanglements of the Maghreb è un’opera utile a chiunque voglia approcciarsi agli studi maghrebini contemporanei adottando una prospettiva multidisciplinare. Il volume è perfettamente coerente con l’intento dichiarato dai suoi curatori nell’Introduzione, ossia quello di fare da vademecum per studiosi e studenti. Pur non aspirando a una sistematicità e a un’esaustività enciclopediche, Entanglements of the Maghreb non trascura nessuno dei temi e degli spunti principali che il Maghreb contemporaneo e gli studi maghrebini portano alla nostra attenzione: dal dibattito sulla lingua a quello sull’intersezione di campi letterari diversi, dalla rilettura dei processi di nation building postcoloniale al riposizionamento del focus storiografico sulle comunità e i soggetti a lungo marginalizzati (donne, Amazigh) alle dinamiche economiche della regione.

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L’Autore

Fernanda Fischione | Laureata in Lingue e Civiltà Orientali presso la Facoltà di Filosofia, Lettere, Scienze Umanistiche e Studi Orientali (Sapienza Università di Roma), è iscritta al corso di laurea magistrale in Lingue e Civiltà Orientali della medesima facoltà.