Yusrī ‘Abdallāh, al-Riwāyah al-miṣriyyah: su’āl al-ḥurriyyah wa mas’alat al-istibdād (Il romanzo egiziano: richiesta di libertà e questione della tirannia), Dār al-Adham li ’l-Našr wa ’l-Tawzī‘, al-Qāhirah 2012, pp. 160

Nel dicembre del 2012, in un panorama politico e sociale di cambiamenti tumultuosi, è uscito un libro di critica intitolato significativamente al-Riwāyah al-miṣriyyah: su’āl al-ḥurriyyah wa mas’alat al-istibdād, in cui l’autore, Yusrī ‘Abdallāh, analizza le trasformazioni del romanzo egiziano nel corso del primo decennio del terzo millennio, mettendo in luce la posizione di questa recente produzione all’interno del quadro narrativo egiziano con le sue suddivisioni generazionali. Vengono, così, presi in esame Muḥammad al-Busāṭī, Ǧamīl ‘Aṭiyyah Ibrāhīm e Yaḥyà Muḫtār come rappresentanti della generazione del secolo scorso, degli anni Sessanta, Fatḥī Imbābī, Ni‘māt al-Buḥayrī, Yūsuf Abū Rayyah e Ibrāhīm ‘Abd al-Maǧīd per gli anni Settanta, Sa‘d al-Qirš per gli anni Ottanta, Ḫālid Ismā‘īl, ‘Abd al-Nabī Faraǧ per gli anni Novanta, e Ḥamdī al-Ǧazar e Nuhà Maḥmūd per il Nuovo Millennio.
Il libro si divide in due lunghi capitoli. Il primo, di natura “teorico-applicativa”, nella sua prima parte tratta i principali problemi che attualmente affronta l’attività creativa: la prevalenza del modello consumistico, la censura e la “religionizzazione”. Il modello consumistico, che presenta visioni semplificate e stereotipate della realtà, impoverisce l’opera letteraria svuotandola dei suoi contenuti reali, e di ogni peso e valore storico. Entro questo quadro, la critica deve avere un ruolo importante, dialogando con la realtà, e adottando una logica estetica rigorosa che non giustifichi il brutto, in quanto essa – scrive Edward Said – «non significa affatto la legittimazione dello stato attuale».
Creatività e censura non solo rappresentano due Weltanschauungen totalmente diverse, una innovatrice e aperta, e l’altra immobile e chiusa, ma sono sostanzialmente due poli contrapposti, in quanto la prima sostiene la libertà e la dignità dell’uomo, mentre la seconda giustifica la repressione e l’ingiustizia. ‘Abdallāh sottolinea la forte presenza del dilemma libertà/repressione nella narrativa egiziana, e analizza a questo proposito le opere di due scrittori appartenenti a diverse generazioni: Muḥammad al-Busāṭī e ‘Abd al-Nabī Faraǧ.
La produzione letteraria di al-Busāṭī, che, secondo il critico, occupa una posizione particolare nel quadro della narrativa araba, ha come tema principale la libertà, cui anelano i protagonisti di vari testi dello scrittore, tutti in lotta contro la tirannia, come in al-Ayyām al-ṣa‘bah (I giorni difficili, 1978), al-Maqhà al-zuǧāǧī (Il caffè di vetro, 1978), Buyūt warā’ al-ašǧār (Case dietro gli alberi, 1993), Awrāq al-‘ā’ilah (Documenti familiari, 2003), Ǧū‘ (Fame, 2007), Aswār (Mura, 2008), Sarīruhumā aḫḍar (Il loro letto è verde, 2011), e altri. In al-Busāṭī, l’ironia diventa un’arma di resistenza che rivela e condanna la repressione: così in Aswār, dove i guardiani del carcere, appena pensionati, perdono il senno e si recano sulle colline vicine ad imitare le voci degli animali.
La tirannia è affrontata anche da ‘Abd al-Nabī Faraǧ, che in Mazra‘at al-ǧinirālāt (La fattoria dei generali, 2011) scrive «una storia parallela della repressione» [p. 17], in cui mette in luce il rapporto tra individuo e potere. In quest’opera, il generale ha varie facce e si identifica con lo sceicco che influenza le masse con il suo stile retorico ed elaborato, suscitando in loro entusiasmo ed emozioni. Il protagonista, Māhir, un ex capo militare, si presenta sotto le false spoglie di un religioso, abbandonando le consuetudini di un potere e adottando quelli di un altro non meno tirannico.
La ricerca dell’origine della crisi, causa della censura dei libri (fra i volumi proibiti, nel 2010, ci sono le Mille e una notte), porta Yusrī ‘Abdallāh all’estate del 1967, quando le arrabbiate masse arabe cercavano di capire le ragioni della dura sconfitta subita dall’Egitto nella guerra contro Israele. Una parte si era convinta dell’interpretazione presentata dai leader dell’islam politico di allora, secondo cui la sconfitta sarebbe stata un castigo di Dio, e la salvezza sarebbe consistita nel ritorno alla religione. L’islamismo ha di fatto prosperato negli anni Settanta, caratterizzati da profonde trasformazioni della società egiziana e da un forte orientamento verso il profitto e il consumismo. In quel contesto, fa notare il critico, le apparenze sembravano contare più della sostanza dei fatti, il numero degli egiziani emigrati verso i Paesi del Golfo aumentò e da lì questi stessi emigrati importarono in patria il wahhabismo. Le condizioni politiche e sociali incoraggiarono dunque quella certa religiosità affettata, apparente, che sta alla base dell’attuale problema della censura. Contro il dominante pensiero salafita hanno parlato alcuni scrittori, tra i quali viene segnalato Ḫālid Ismā‘īl con il romanzo Arḍ al-nabī (Terra del profeta, 2011).
L’opera, divisa in tre parti, ognuna delle quali porta il nome di una donna di Sohag, una città dell’Alto Egitto, attacca, infatti, la tirannia politica e religiosa, riprendendo il modello delle famose protagoniste della sinistra egiziana e lo spirito del movimento nazionale di liberazione.
La seconda parte dello stesso capitolo del volume di critica letteraria che stiamo trattando si dedica alla cosiddetta “nuova scrittura”, specificandone la terminologia, i meccanismi e i modelli: «Con il termine di “nuova scrittura” – scrive ‘Abdallāh – mi riferisco alle opere letterarie impegnate a presentare la realtà politica e culturale attuale, partendo da una Weltanschauung che supera quella degli anni Novanta, perché è nata in un contesto storico-politico agitato e caratterizzato da cambiamenti drastici.» [pp. 29-30]
Una particolarità interessante della “nuova scrittura” sta nella forte presenza di quelli che vivono al margine della società egiziana, una presenza che non mira soltanto a sottolineare le difficili condizioni sociali ed economiche di tale “fetta” della società, ma, soprattutto, a scoprire un’interiorità ricca e complessa. In proposito, ‘Abdallāh analizza i capolavori di quattro giovani scrittori che trattano variamente la marginalità sociale: Wuqūf mutakarrir (Fermata ripetuta, 2007) di Muḥammad Ṣalāḥ al-‘Azab, Kā’in al-‘uzlah (Creatura di solitudine, 2006) di Maḥmūd al-Ġīṭānī, Kīryālīsūn (Kyrie eleison, 2008) di Hānī ‘Abd al-Murīd, e Fāṣil li ’l-dahšah (Uno spettacolo da stupire, 2009) di Muḥammad al-Faḫarānī. Le opere di questa nuova generazione di scrittori riportano anche una certa tendenza a umanizzare gli oggetti, cui vengono attribuiti sentimenti e valori tipicamente umani, come avviene in Siḥr aswad (Magia nera, 2005) di Ḥamdī al-Ǧazar, e Fānīlyā (Vaniglia, 2008) di al-Ṭāhir Šarqāwī.
Nell’ultima parte del primo capitolo ‘Abdallāh esamina la cosiddetta “Letteratura nubiana”. Sin dai tempi remoti la storia dell’Egitto è inseparabile da quella della Nubia: vari vincoli commerciali, politici e culturali le legano strettamente. Entro questo quadro, l’etichetta di “Letteratura nubiana” tende ad esprimere la complessità e la varietà della Nubia, e le particolarità culturali della sua produzione letteraria come una delle fonti principali della cultura egiziana. Gli autori nubiani, come Ḫalīl Qāsim, Yaḥyà Muḫtār, Idrīs ‘Alī, trattano principalmente la tragedia della loro terra natia e la sofferenza patita a motivo della lontananza. Un esempio della centralità della Nubia come punto di partenza e di arrivo è il romanzo Ǧibāl al-kuḥl (Monti di Kajal, 2001) di Yaḥyà Muḫtār, in cui con nostalgia infinita è descritto il doloroso tributo che i nubiani hanno dovuto pagare al momento della costruzione della Diga, e la crisi dei loro uomini di cultura, lacerati tra la fiducia in Nasser e il dolore per la perdita della loro terra. Il romanzo, in forma di diario, indaga l’esperienza nubiana, la corruzione sociale e l’orrenda macchina burocratica, aprendosi ad un orizzonte esistenziale.
Nel secondo capitolo, ‘Abdallāh adotta un approccio puramente applicativo, analizzando quattordici romanzi di diversi autori impegnati nella lotta contro la tirannia politica. Tra di essi, alcuni sembrano anticipare la “Primavera araba” e, in particolar modo, le rivoluzioni egiziana e libica, come al-‘Alam (La bandiera, 2008) di Fatḥī Imbābī, ambientata in Libia, ma che non esclude dagli eventi il Cairo, e quindi l’Egitto, facendo del viaggio tra i due paesi uno strumento di scoperta e di individuazione della crisi dei due popoli.
Il romanzo si divide in quattro capitoli, seguiti da “capitoli per i morti”, in riferimento allo stato di morte spirituale che colpisce i tre personaggi principali. Il protagonista, Wanīs, il medico tornato in patria dopo aver studiato in Germania, sembra lacerato tra due mondi contrapposti; il primo è chiuso, tribale, tradizionale, dominato dalla legge dei generali, mentre l’altro è aperto e libero. Imbābī, cosciente del rapporto dialettico tra un passato glorioso e un presente doloroso, rivela le contraddizioni della società e della mentalità araba, e condanna la repressione effettuata da uno dei regimi dittatoriali più duri, una repressione che uccide i sogni e le speranze del popolo.
In Wašm waḥīd (Unico tatuaggio, 2011), Sa‘d al-Qirš penetra negli strati più profondi dello spirito egiziano partendo dalla rievocazione dello scavo del Canale di Suez, un momento in cui si mescola significativamente il soggettivo con l’oggettivo. Il pellegrinaggio irrequieto nei tempi e nei luoghi è il tema principale dell’opera. Il protagonista, Waḥīd, inizia il suo viaggio verso Ūzīr (un villaggio immaginario) per seppellire il cadavere di suo padre, Yaḥyà. Il viaggio rivela lo stato di alienazione che vivono i personaggi, in una realtà dura e crudele. L’opera, in cui le storie si generano l’una dall’altra, impiega immagini e miti appartenenti al patrimonio popolare egiziano.
al-Riwāyah al-miṣriyyah: su’āl al-ḥurriyyah wa mas’alat al-istibdād rappresenta una preziosa testimonianza di una fase importante della nostra vita nazionale (dal 2000 ad oggi) e di una ricca esperienza culturale e, in particolar modo, letteraria: è il primo volume di critica dedicato all’analisi dei romanzi egiziani che trattano la richiesta di libertà e il processo alla tirannia, presentando la “Nuova scrittura” e la “Letteratura nubiana”. Le pagine di questo saggio si fanno leggere con singolare passione, perché Yusrī ‘Abdallāh ci trascina nella spiazzante originalità del suo percorso esplorativo, che mette insieme i grandi e i giovani autori della letteratura egiziana.

Wafaa El Beih

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno III, numero 5, giugno 2013

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