Waǧdī al-Ahdal, Bilād bilā samā’ (Un paese senza cielo), Markaz al-‘Ubādī li ’l-dirāsāt wa ’l-našr, Ṣan‘ā’ 2008.

Bilād bilā samā’, ultimo romanzo dello scrittore yemenita Waǧdī al-Ahdal (1973), consta di sei capitoli, ognuno con un titolo stravagante e sottilmente esplicativo: al-Malikah (La regina); al-Mustaslam li’l-mut‘ah wa’l-sulṭah (Lo schiavo del potere e del piacere); al-Qurbān (La vittima sacrificale); al-Mutašakkik yafnà ka-ġaymah mutanāṯirah (Lo scettico che fa la fine di una nuvola che si spande), ecc… In ogni capitolo un personaggio parla dell’evento principale – la scomparsa di una ragazza, di nome Samā’ – dal proprio punto di vista, aggiungendo, a volte, qualcosa di nuovo al racconto del personaggio precedente, tal’altra, mettendolo in dubbio. Tutto sarà chiarito nelle ultime pagine del romanzo, quando la madre della protagonista troverà e leggerà il diario della figlia.

Nel primo capitolo è Samā’ a raccontare di sé. Tutte le mattina la giovane si sveglia agitata, corre in bagno e si guarda allo specchio per controllare che sia tutto a posto nel suo corpo. Capisce allora di aver fatto il solito sogno, nel quale vede il proprio matrimonio con un uomo dai capelli bianchi e che ha sempre fra le mani un libro dalle pagine immacolate. È un sogno piacevole e tanto intenso che Samā’ ha la sensazione di essere stata trasportata in un’altra dimensione. La ragazza, come lei stessa dice, è una studentessa universitaria al primo anno della Facoltà di Scienze. Racconta che mentre si reca all’università è costretta a sopportare le molestie verbali degli uomini che incontra lungo il proprio tragitto. Fa, inoltre, delle riflessioni sul proprio paese, sulle convenzioni sociali e sulle storture cui conducono il cieco conformismo alle tradizioni. Paragona ironicamente le donne dello Yemen alle celebrità, perché sempre al centro dell’attenzione, ma in questo caso, a quella molesta degli uomini:

Le celebrità devono sopportare il peso dello sguardo dei curiosi, per questo motivo evitano di frequentare luoghi pubblici. In Yemen, tutte le giovani donne sono viste come delle celebrità! [p. 10]

Samā’ si strugge per il fatto che una ragazza yemenita non è neanche libera di portare una borsetta bianca, perché questa attira troppo l’attenzione degli uomini, al punto di sostenere che i maschi di Sana’a siano affetti da una sorta di «isteria della borsetta bianca». [p. 15]

Mentre si dirige verso l’università, la giovane studentessa osserva un uomo appena uscito dalla moschea che la fissa in modo lascivo; un altro che urina per strada, per non parlare del droghiere, Sulṭān, che abita di fronte a casa sua e che le fa dei gesti osceni e che si struscia sui ragazzini che vanno a comprare il gelato nel suo negozio. A Samā’, che tiene un diario e ha l’hobby della lettura, non piace la società in cui vive: la donna è considerata solo un oggetto di piacere, anche in seno alla propria famiglia, che cerca di nasconderla agli occhi degli uomini.

Nei capitoli successivi un poliziotto e il suo aiutante indagano sulla misteriosa scomparsa di Samā’. Nāṣir Sālim, proprietario del caffè della Facoltà, sostiene di aver visto la studentessa, seduta su una panchina del giardino dell’università, parlare con un uomo dai capelli bianchi e ben vestito. Nāṣir riferisce, inoltre, di un certo professor ‘Aqlān che promuove solo gli studenti e le studentesse che si sottomettono ai suoi ricatti sessuali. Per questo motivo Waḍḍāḥ, uno degli studenti, si sarebbe suicidato. Il padrone del caffè, comunque, non aveva una buona opinione della ragazza scomparsa: la considerava una poco di buono, dato che una volta le aveva sentito dire che le piaceva un ragazzo!

‘Alī Nišwān, che si presenta dicendo di avere «venti anni meno quattro e mezzo» [p. 81], abita sullo stesso pianerottolo sul quale vive la famiglia di Samā’ di cui è stato compagno di giochi, nonostante lui fosse più giovane di lei. L’amicizia, che per ‘Alī è amore, tra i due finisce non appena Samā’ diventa adolescente, per il divieto imposto dai genitori alla ragazza di frequentare maschi che non siano familiari. Ma il giovane non si rassegna e continua ad amarla in silenzio e a vivere come se fosse sempre sotto lo sguardo di Samā’. Poco dopo la separazione, ‘Alī confessa di masturbarsi spesso e di non riuscire a fermare il suo istinto quando incontra le sue coetanee. Il sesso diventa quasi un’ossessione. Al momento della scomparsa di Samā’, ‘Alī si mette instancabilmente a cercarla. Nel giardino dell’università incontra l’uomo dai capelli bianchi, anche se non riesce a distinguere tra sogno e realtà, ma è persuaso dall’idea che quel personaggio abbia qualcosa a che fare con la scomparsa di Sama’. ‘Alī non rivedrà più quell’uomo di cui non ricorda bene i tratti somatici, ad eccezione dei capelli bianchi. Nello stesso posto dove ha incontrato l’uomo misterioso, il giovane trova la cartella e un quaderno della sua amata. La famiglia della giovane, ma non solo, sospetta di lui che, alla fine, farà una brutta fine per mano di un uomo appartenente alla stessa tribù della ragazza.

Anche il professor ‘Aqlān, interrogato dalla polizia, conferma di aver visto il solito  uomo dai capelli bianchi. Il docente, che ha potenti amici politici, risponde con reticenza alle domande degli investigatori che non osano indagare troppo sulle relazioni tra il docente e gli studenti.

Intanto la famiglia di Samā’, la ragazza scomparsa, si era rivolta anche a degli stregoni pur di avere qualche informazione sulla sorte della ragazza, ma ne avevano ottenuto solo false congetture. Dopo un anno dalla scomparsa di Samā’, sua madre trova il diario della figlia e comincia a leggerlo, e si fa così luce su molti punti oscuri della vicenda.

Dal diario si apprende della relazione tra Samā’ e l’uomo misterioso. In una conversazione che la giovane ha con l’uomo, questi le rivela di essere «colui che risiede nei cuori di tutti». [p. 164]

Questa è la trama apparentemente contorta del romanzo. In realtà Un paese senza cielo è uno di quelle storie che si legge tutta di un fiato. La lingua scorrevole ed essenziale è funzionale a una trama avvincente che coinvolge il lettore sin dalle prime pagine. La tecnica di far parlare i personaggi in prima persona dà, infatti, la sensazione di assistere alla composizione di un puzzle che prende forma di volta in volta.

Numerosi sono gli spunti di riflessione su una società come quella yemenita, complessa e poco conosciuta in Occidente. Sullo sfondo dell’intreccio poliziesco, si colgono le difficoltà che devono affrontare le adolescenti yemenite; si mette in luce una società prigioniera delle tradizioni, delle convenzioni sociali e delle superstizioni; si denuncia il governo centrale, vittima e complice delle tribù che, armate fino ai denti, tengono in scacco tutti i concittadini, impedendo una più equa distribuzione delle ricchezze.

Nella prima parte del romanzo ad emergere è l’analisi che Waǧdī al-Ahdal offre delle sofferenze delle donne yemenite. Come già dimostrato in Ḥimār bayna al-aġānī (Un asino in mezzo ai suoni, 2004), l’autore rivela una grande capacità di stabilire un’efficacia empatia con l’animo femminile. Nei romanzi di al-Ahdal le donne hanno sempre ruoli di primo piano, spesso dimostrano capacità intellettive superiori a quelle dei personaggi maschili, ma soprattutto sono donne che aspirano ad essere libere, in una società che le ha condannate a stare in disparte, sempre sotto il controllo del maschio.

Se nei primi capitoli predomina la descrizione realistica della società yemenita, in quelli finali è il realismo fantastico a sorprendere il lettore, anche se in realtà questi viene trasportato continuamente da una dimensione all’altra: superstizione e mito, realtà e realismo magico, il tutto rappresentato con una grande armonia.

Una delle caratteristiche della scrittura di Bilād bilā samā’ è la presenza di molti punti di sospensione, tipici di una certa narrativa araba. Ma in questo caso i puntini abbondano a dismisura, fino a riempire in alcune pagine dieci righe. Questi puntini sospensivi sono il frutto di un’autocensura, al loro posto, originariamente, c’erano delle frasi che, al momento di consegnare il manoscritto all’editore, al-Ahdal ha deciso di cancellare, per evitare problemi con la censura. La scelta di lasciare i puntini al posto di frasi rimosse sembra un modo, da parte dello scrittore, di rendere comunque palese il proprio disagio, e quello di tanti altri intellettuali, nello scrivere in un paese come lo Yemen, e quindi quei puntini diventano anche una chiara denuncia.

Waǧdī al-Ahdal è sicuramente uno degli scrittori più interessanti del panorama letterario yemenita e arabo. Le sue opere, per il coraggio e l’anticonformismo dimostrato, sono oggetto di studio in numerosi convegni internazionali. La temerarietà nel criticare la società, la religione e il governo della sua nazione, e l’uso di un linguaggio in cui i riferimenti alla sfera sessuale sono abbondanti ed espliciti, hanno procurato allo scrittore numerosi attacchi da parte degli estremisti islamici e dalle autorità di governo, tanto che è stato minacciato di morte dai primi, e condannato a cinque anni di reclusione dal regime. Nel 2002, anno di pubblicazione del suo primo romanzo Qawārib ǧabaliyyah (Navi di montagna), l’autore è stato costretto a fuggire in Siria. Dopo cinque mesi, al-Ahdal, è riuscito infine a rientrare in Yemen, grazie all’intercessione del premio Nobel per la Letteratura, Günter Grass. L’autore vive tuttora nella capitale yemenita, dove è costantemente sotto il controllo vigile della censura.

Francesco De Angelis

[2] Francesco de Angelis, La battaglia delle donne nel romanzo contemporaneo yemenita. Ḥimār bayna al-aġānī, di Wağdī al-Ahdal, in Lo Yemen raccontato dalle scrittrici e dagli scrittori, a cura di I. Camera d’Afflitto, Orientalia Editrice, Roma, 2010, pp. 119-124.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 1, giugno 2011

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L’Autore

Francesco De Angelis | Arabic Language and Literature Researcher, Language Mediation and Intercultural Communication Department, University of Milan.