Šarīf al-Šafī‘ī, Ġāzāt ḍāḥikah. al-A‘māl al-kāmilah li-insān ālī 2 (Gas esilaranti. L’opera completa di un robot, 2), Dār al-Ġāwūn, Bayrūt 2012, pp. 383.

La pervasiva presenza della tecnologia informatica e digitale nelle nostre vite plasma non solo i rapporti sociali, ma anche la nostra percezione di essi. Nell’era del linguaggio universale dell’informatica ogni esperienza del vissuto quotidiano sembra essere sottoposta ai codici della cibernetica.

La poesia del nuovo millennio non può esimersi dal raccogliere le nuove sfide epistemologiche che rimodellano il nostro dire e sentire orientandoci verso nuovi orizzonti estetici e conoscitivi; i poeti delle ultime generazioni in particolare avvertono la responsabilità, oltre che la necessità, di rendere conto delle esperienze totalizzanti derivate dallo sviluppo inarrestabile della scienza e della tecnologia, traducendole in versi, e di contribuire ad elaborare una nuova visione del ruolo del poeta, in armonia con i cambiamenti repentini dell’epoca attuale.

Essere poeti nel nuovo spazio digitale significa saper vagabondare tra la moltitudine di segni e di input della network society, dunque sapere districarsi tra le trame di un presente «patria dell’erranza», come scriveva Adūnīs, a proposito dell’impatto della modernità sulla poetica araba.

Di queste trasformazioni è pienamente consapevole il giovane poeta egiziano Šarīf al-Šafī‘ī (1972), ancora poco conosciuto in Occidente ma impostosi all’attenzione del mondo arabo negli ultimi anni.

L’egemonia incontrastata della dimensione virtuale e artificiale, così come il controllo dei sistemi di produzione materiale sulle nostre vite, gli effetti deleteri dell’innovazione scientifica e tecnologica sulla comunicazione tra persone, il rischio di una graduale disumanizzazione: questi sono alcuni dei temi salienti che attraversano la sua più recente produzione, imperniata attorno all’Opera completa di un robot, suddivisa in due volumi.

Il primo, al-Baḥṯ ‘an Nīrmānā bi-aṣābi‘ ḏakiyah (La ricerca di Nirmana con dita intelligenti, 2008), aveva ricevuto ampi consensi presso la critica letteraria araba per l’innovatività di forme e contenuti, stimolando una rinnovata discussione sugli effetti della rivoluzione digitale sulla sfera spirituale e sui rapporti interpersonali.

Protagonista di questo complesso lavoro di al-Šafī‘ī è un robot che si ribella al suo stesso status e che, nel farlo, abbraccia gli argomenti del pensiero post-moderno. Si ribella alla meccanizzazione radicale dell’esistenza e all’accettazione collettiva di una visione lineare di sviluppo, all’egemonia del linguaggio tecnologico e alla robotizzazione di sentimenti e interessi, ai codici e alle cifre cui ricorriamo da prassi per interpretare ciò che ci circonda, perdendo di vista l’humanitas e le possibilità di un’interazione sociale basata su una condivisione più intima di valori e piccoli gesti di ogni giorno.

Il robot ribelle si auto-bandisce dall’Olimpo non solo delle macchine, ma anche delle reti di ogni sistema che ingabbia l’essere umano e ne argina la fantasia, la libertà espressiva, le possibilità d’azione e di reazione, l’ironia. Allora, al tempo delle profonde vibrazioni che scuotono l’Egitto alle radici, ribellarsi alla falsità e alla manipolazione sistemica, al potere di norme e linguaggi imposti per riesplorare la bellezza universale della parola libera a partire dalla rivoluzione di sé, è un atto politico, oltre che un’esigenza estetica e spirituale tradotta dal poeta in sentire collettivo.

È qui che la poesia diviene luogo simbolico di un’interrogazione esistenziale, culturale e sociale, un’interrogazione sulle nuove dinamiche e trasformazioni della vita sociale, reale e virtuale.

Le domande e suggestioni proposte nella prima parte dell’opera vengono riesplorate in Ġāzāt ḍāḥikah, pubblicata dalla casa editrice libanese Dār HYPERLINK “http://www.arabicbookshop.net/main/cataloguefilter.asp?type=BOOKS&publisher=1&bk_code=216-391″al-Ġāwūn al principio di quest’anno e composta di 532 frammenti poetici in sequenza,

registrati in una camera attrezzata nel villaggio globale,

lungo un periodo che va dall’inizio del terzo millennio alla fine dell’era della carta. [p. 6]

Ma se nella prima opera visionaria e post-moderna, il robot è ossessionato dalla ricerca di una utopica “Nirmana” dai molteplici volti e nomi che lo liberi dalla condizione di schiavitù, in Ġāzāt ḍāḥikah si affranca dalla presenza compulsiva di quella figura allegorica, per intraprendere un percorso che lo trascina alla scoperta di sé, in cerca della rivoluzionaria autenticità di una vita semplice e genuina.

Mutano le figure retoriche e gli scenari preannunciati dai simboli visivi ben impressi sulle copertine: dall’eccitazione sensoriale delle “dita intelligenti” si passa agli effetti alteranti e sedativi del protossido di azoto, il gas esilarante.

Il riso e il sorriso sono metafore preminenti cui l’autore ricorre per rappresentare la dicotomia artificiale/reale che attanaglia l’uomo. Nella copertina dell’ultima raccolta è infatti raffigurato il sorriso artificiale di un volto con le sembianze dello schermo di un computer, sovrastato da molecole di N2O – la formula chimica del protossido di azoto – nel vuoto di uno sfondo blu notte. Già dalla dedica di apertura, la metafora del sorriso artificiale è motivo di preoccupazione per il poeta, indice di una meccanicità, di una falsità che minaccia di manipolare irrimediabilmente gli scambi umani:

ad un sorriso forzato

dal color di cotone idrofilo

che ha unito la mia freddezza

a quella dei miei sterili ospiti

e ha diviso le mie labbra ardenti. [p. 8]

Il valore del sorriso “organico” per contrastare questo pericolo è riaffermato in seguito più volte e si dota di una particolare forza evocativa attraverso l’immagine femminile:

una vita sola non basta

per abbracciare una donna che sorride

una morte sola non basta

per dimenticare una donna che sorride. [p. 359]

La digitalizzazione e la riduzione a calcolo di ogni aspetto del quotidiano si ripercuotono anche sulla sfera emotiva e, secondo il poeta, trovano espressione nei sentimenti vaghi, negli amori rapidi, nei viaggi esotici e frettolosi per un mondo i cui gli unici resti sono architettonici e topografici: “Tante le mappe, ma dov’è il mondo?” si chiede sconcertato al-Šafī‘ī, quasi a deplorare la prolificità della produzione materiale, la sterminata disponibilità di immagini e visioni che mina il nostro potenziale immaginativo e ci impedisce di vedere in modo autentico.

La riflessione sull’importanza di osservare con attenzione ciò che ci circonda, di stupirsi della bellezza presente in natura, non lasciandosi attrarre dalle manipolazioni dei dispositivi hi-tech e dai falsi congegni, percorre il testo e si ritrova sempre con toni pacati e tenui in diversi frammenti poetici:

Lo straniero

che attraversa la strada,

non ha bisogno di un bastone bianco

né di un cane addestrato

ha bisogno

di una strada con occhi

che accolgano gli stranieri [p. 16],

come pure nel suo incessante dialogo con la figura dell’amata:

Porto gli occhiali:

da vista per vedere le cose,

da sole per guardare te

ma quando desidero

vedermi con chiarezza

tolgo gli occhiali

e con le dita sfioro i tuoi capelli [p. 41]

e ancora:

Invidio la mia ombra

perché non ha ombra

invidio la mia immagine allo specchio

perché simmetrica

invidio la tua ombra

perché sempre ti vede

invidio chi non mi ha mai visto

solo perché non mi ha mai visto. [p. 66]

Man mano che procediamo nella lettura, scopriamo che il viaggio del robot-poeta nei meandri dell’esistenza acquista nuovi slanci e ingloba nuove forme estetiche.

La stessa struttura del verso si fa più scarna, le immagini si attenuano, e le ripetizioni e i richiami a frammenti precedenti aumentano. Anche il linguaggio si affranca dal peso delle metafore e delle visioni che caratterizzano le atmosfere della prima parte, di cui è esempio il frammento 24:

Tra una sedia elettrica e un’altra

per curare i miei nervi danneggiati

ho bisogno di sedermi accanto a te

per accertarmi che la musica

è il vero miracolo che rianima

i nervi danneggiati. [p. 26]

Il viaggio eroico dell’uomo-robot evolve dall’iniziale ricerca affannosa di una terapia contro l’assalto delle macchine e dei dispositivi del terrore allo stato prima narcotico e poi comatoso, fino alla rappresentazione onirica della morte che suggella il trionfo dell’uomo reale sulla finzione di un uomo robot tenuto in vita dalle macchine.

Le visioni nel sogno incalzano e la poesia assume evidenti venature surrealistiche fino a far coesistere fisica e metafisica:

Non sei la prima persona

che fugge dalla terra

ma la tua fuga è la più pericolosa

perché con te porti la terra

Non sei la prima persona

che approda sulla luna

ma il tuo approdo è il più importante

perché con te porti la terra. [pp. 326-327]

Sul finale il testo si carica di un’energia positiva, come ad intravedere spiragli di successo in questa ribelle impresa contro il tempo e il cieco progresso.

La reazione alle formule e ai programmi si sublima nell’incontro segreto con colei che conduce alla liberazione:

Avvicinati,

vieni più vicino

rifiuto la tua assenza

giacché non accetto la scrittura in codice

avvicinati,

vieni più vicino

rifiuto la scrittura in codice

giacché sento il tuo profumo segreto nel luogo [pp. 375-376]

e ancora:

Chi è abitato da te

dimora nella serenità

chi dimora nella serenità

dimora ai piani superiori

e sogna il cielo. [p. 376]

In conclusione, bisogna rimarcare che l’opera di al-Šafī‘ī affronta una importante riflessione, introducendo elementi tematici e stilistici innovativi nel panorama poetico arabo del nuovo millennio, come riconosciuto da gran parte dei critici. Tuttavia, non si può trascurare che in poesia non sempre l’abbondanza è pregio (532 poesie in quasi 400 pagine!). Si ripetono, seppur intenzionalmente, motivi e forme (talvolta vengono riprese delle stesse poesie per introdurre delle nuove), in particolare nel corpus delle brevi riflessioni esistenziali sparse nel testo, le quali talvolta perdono d’afflato lirico, risultando prevedibili, semplici o già sentite.

Forse un’articolazione del materiale poetico meno dilatata e più organica avrebbe giovato sia all’autore, garantendogli il pieno controllo dell’unità dell’opera, che al lettore, al riparo dall’inevitabile rischio di un calo d’intensità nella lettura. Ma è anche vero che le scelte di inclusione/esclusione sempre complesse e controverse trovano la loro piena legittimazione nella concezione estetica e lirica da parte dell’autore dell’opera stessa. Aldilà di ciò, l’ambizioso progetto poetico di al-Šafī‘ī suscita indubbio interesse, rappresentando un nuovo tassello nel variegato panorama della poesia araba contemporanea e indice di un nuovo orientamento. Per questo, potremmo presto leggerlo in una lingua occidentale.

Simone Sibilio

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno II, numero 3, giugno 2012

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Simone Sibilio |