Paolo Branca, Barbara De Poli, Patrizia Zanelli, Il sorriso della mezzaluna. Umorismo, ironia e satira nella cultura araba, Prefazione di Mario Scialoja – Carocci, Roma 2011, pp. 196.

Uno dei problemi principali sottesi all’insegnamento e, ancor prima, allo studio di discipline arabo-islamiche è la necessità di scardinare pregiudizi e stereotipi, tanto superficiali e generalizzanti quanto dilaganti e profondamente radicati nella mentalità e nell’opinione comuni occidentali. Nutrita da una visione eurocentrica e gerarchizzante del mondo e delle culture, che da secoli impera incontrastata contribuendo a fomentare pregiudizi e diffidenze nei confronti dell’altro arabo e/o musulmano, l’immagine parziale e stereotipata di kamikaze, concubine e fondamentalisti ha progressivamente sostituito – sovrapponendosi ad essa – l’essenza caleidoscopica della cultura araba, negandone gli aspetti positivi o – nella migliore delle ipotesi – relegandoli in un passato remoto ormai irrimediabilmente perduto.

In un siffatto contesto culturale, la stigmatizzazione di pratiche e comportamenti negativi riconducibili a singoli casi, fenomeni isolati all’interno del variegato e composito “mondo arabo-islamico”, ha  generato, attraverso una arbitraria amplificazione sineddotica di matrice ideologica e di carattere mediatico, un sentimento di diffidenza e, talvolta, addirittura di disprezzo nei confronti della cultura arabo-islamica tout court.

È ovvio che, in un simile contesto, parlare di umorismo arabo possa apparire alquanto strano agli occhi del lettore poco esperto. Fortunatamente, il saggio in questione costituisce un potente antidoto demistificatorio, in grado, grazie alla scorrevolezza dello stile narrativo e al potere catartico di proverbi, vignette e barzellette, che si susseguono copiosi all’interno del testo, di restituire alla cultura araba un po’ della sua leggerezza e positività.

Ad aprire il saggio è Paolo Branca, Professore di Lingua e Letteratura araba presso l’Università Cattolica di Milano, che, dopo un breve saggio introduttivo, dedica un primo capitolo all’umorismo classico mettendo in evidenza, attraverso un prezioso recupero filologico delle fonti in lingua araba, che spazia dagli aḥādīṯ, alla poesia, alle grandi opere come il Kitāb al-buḫalā’ di al-Ǧāḥiẓ e il Kalīlah wa Dimnah di Ibn al-Muqaffa‘, temi e caratteristiche delle opere umoristiche di epoca classica.

Il secondo capitolo, scritto da Barbara De Poli, docente di Storia e Istituzioni del Vicino e Medio Oriente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, analizza un genere letterario antico e ancor oggi assai diffuso nel mondo arabo, ossia quello del proverbio o maṯal. Partendo dall’analisi di proverbi attualmente in uso o raccolti da europei ed arabi nel corso del XX secolo nel Vicino Oriente e nel Maghreb, l’autrice si sofferma sugli aspetti ironici e satirici e sul ruolo culturale delle raccolte proverbiali: grazie alla loro immediatezza, infatti, i proverbi offrono un’immagine viva della mentalità e della cultura di un popolo, svelando la struttura antropologica e le dinamiche interne della società in cui sono prodotti e che essi raffigurano. Inoltre, il proverbio costituisce un elemento interessante dal punto di vista imagologico, ossia nell’ambito della rappresentazione dell’altro. Si pensi, per esempio, ai proverbi beffardi e derisori nei confronti di particolari gruppi etnici, religiosi e sociali, o a quelli rivolti a categorie di persone accomunate dagli stessi difetti: gli avari, gli stupidi, gli imbranati, etc.

Il terzo capitolo, a cura di Paolo Branca e Barbara De Poli, è incentrato sulla barzelletta e sul suo potere catartico. Le varie barzellette sono suddivise per tipologie: uomini e donne, religione, appartenenza etnica e politica, giacché, come abilmente osservato dagli autori, «in paesi dove la satira e l’humour, specie se politicamente connotati, sono fortemente arginati dal preventivo vaglio delle autorità o dalle conseguenti sanzioni, le tensioni che attraversano la società si scaricano sovente attraverso i motti di spirito, capaci di diffondersi rapidamente grazie alla trasmissione orale» [p. 49].

È così che l’umorismo cede il posto alla satira, argomento al centro del quarto capitolo, scritto da Patrizia Zanelli, docente di Traduzione Arabo-Italiano presso l’Università LUSPIO di Roma, e dedicato all’Egitto, «mitica terra della risata» [pp. 103 ss.].  Attraverso l’analisi di barzellette e vignette puntualmente ed efficacemente riportate nel testo, l’autrice ripercorre la storia dell’Egitto dalla spedizione napoleonica all’epoca di Mubarak, evidenziando come, anche nei momenti più tragici, quali, ad esempio, l’inizio dell’occupazione britannica in Egitto e la disfatta araba nella Guerra dei Sei Giorni, gli egiziani siano riusciti a tradurre la propria frustrazione in sarcasmo e autoironia, combattendo la tensione causata dai regimi militari con la leggerezza delle barzellette a sfondo politico.

Il quinto capitolo, di Barbara De Poli, prende in esame il rapporto tra umorismo e censura nel mondo arabo. Partendo dall’analisi di alcuni giornali satirici, che nel corso degli ultimi due secoli hanno subito la censura da parte delle autorità di controllo fino ad essere definitivamente soppressi, l’autrice giunge ad esaminare il caso del settimanale marocchino “Demain”, fondato nel 2000 dal giornalista Ali Lmrabet, pubblicato inizialmente in lingua francese e successivamente in lingua araba. Nei primi tre anni di attività, la pungente attenzione del settimanale fu rivolta principalmente alla guerra in Afghanistan e all’invasione dell’Iraq, i due principali obiettivi della politica estera del presidente americano George Bush Junior, senza tralasciare, però, la denuncia nei confronti degli squilibri sociali del paese e i mancati successi delle riforme sociali promesse dal giovane sovrano marocchino Muhammad VI, succeduto nel 1999 al padre Hassan II. Attraverso la critica arguta e sagace e l’immediata efficacia del linguaggio icastico delle vignette satiriche, Lmrabet riuscì a sintetizzare le istanze e la frustrazione del popolo marocchino e a denunciare le tante contraddizioni interne che caratterizzavano il sistema governativo del giovane sovrano: il potere smisurato del re, il conseguente asservimento dei leader politici alla monarchia e l’inadeguatezza del sistema partitico marocchino. Perfino la bay‘ah – ovvero il tradizionale atto di sottomissione con cui da secoli il popolo marocchino esprime il riconoscimento formale dell’autorità in carica – divenne oggetto della pungente satira del quotidiano, che non esitò a rappresentare il suddetto atto di vassallaggio nei confronti del re come uno dei tanti episodi di sottomissione inscrivibile nel quadro della storia della schiavitù. Per questi motivi, il 21 maggio 2003 Ali Lmrabet fu condannato a quattro anni di reclusione e 2.000 euro di multa per vilipendio alla monarchia e la pubblicazione di “Demain” vietata per dieci anni.

La conclusione del volume è affidata a Paolo Branca che, tirando le somme di quanto dibattuto, propone un’interessante riflessione sul potere illimitato e talvolta distruttivo della parola e sul delicato ruolo dei media, ricordando – con riferimento a recenti fatti di cronaca relativi a reazioni spropositate a «vere o presunte provocazioni» – che la manipolazione, così come l’allusione a fatti non contestualizzati, «è un’operazione non soltanto disonesta ma addirittura istigatrice: doppiamente disonesta e istigatrice se chi la compie cerca più di farsi pubblicità che di riparare eventuali ingiustizie» [p. 181].

Maria Grazia Sciortino

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno III, Numero 6, dicembre 2013

Acquista Back to Anno III, Numero 6, dicembre 2013