Omar Fertat (s.l.d.d.), L’Autre et ses représentations dans la culture arabo-musulmane, Presses Universitaires de Bordeaux, Pessac 2016, pp. 306.

Nel febbraio 2013 all’Università Bordeaux Montaigne si è tenuto un convegno internazionale sul tema dell’alterità nelle arti e nella letteratura del mondo arabo. Ne è nato un volume, pubblicato sotto la cura di Omar Fertat e inserito nella collana “Monde arabe et monde musulman” delle Presses Universitaires de Bordeaux, che raccoglie diciassette contributi, suddivisi in tre sezioni: identità/alterità nel mondo arabo-islamico; rappresentazioni dell’alterità nelle arti e nella letteratura araba d’espressione araba; rappresentazioni dell’alterità nelle arti e nella letteratura araba d’espressione francese.

La prima sezione tratta la questione dell’alterità e delle sue rappresentazioni nel mondo arabo-islamico e analizza in particolare le fonti d’epoca classica. Consta di sette contributi: Saïd Hammoud sulla dicotomia terminologica ‘arab‘aǧam; Ballé Niane sulla figura del mawlàmuġannī; Hajer Lahmar sul viaggio di Ibn Faḍlān presso i Bulgari del Volga; Soléna Cheny sulla rappresentazione dei berberi nelle cronache arabe medievali; Marie Bonnaud sui rapporti fra cristiani e musulmani nei primi secoli dell’egira; Bassam Tayara sul Giappone nell’immaginario arabo-islamico; Bahman Namvar Motlagh e Tayebeh Raoufzadeh sull’evoluzione dell’immagine dell’Occidente presso gli iraniani.

Il contributo di Saïd Hammoud, che presenta e discute l’evoluzione etimologica della coppia di termini ‘arab‘aǧam nei primi secoli dell’egira dove la padronanza della lingua araba è il criterio essenziale per distinguere l’arabo dall’altro, si sofferma sul ruolo degli ‘aǧam d’origine persiana nella letteratura d’adab e nella poesia, e di come l’apporto di costoro sia stato percepito dagli ‘arab. Tale percezione va dall’atteggiamento diffidente di al-Ǧāḥiẓ a quello nettamente più inclusivo di Ibn Qutaybah ma, come ben rilevato da Hammoud, «il doit bien exister des nuances qu’il serait très instructif de relever et d’analyser» [p. 54], lasciando intendere quindi la necessità di ulteriori ricerche in tal senso.

Il contributo di Ballé Niane prende in esame la figura del mawlà-muġannī quale rappresentante di una alterità per origine (mawlà), professione (muġannī) ed effeminatezza (taḫannuṯ). Attingendo al celebre Kitāb al-aġānī di Abū ’l-Faraǧ al-Iṣfahānī, Niane sottolinea quanto sensibile sia stato il cambiamento di rappresentazione di tale figura dall’epoca omayyade a quella abbaside (nel secondo periodo, nessun muġannī presenta infatti quei caratteri di trasgressione e provocazione tipici dell’età omayyade) e offre una serie di possibili e plausibili spiegazioni che aprono anche ad un’ulteriore interessante lettura del Kitāb al-aġānī di al-Iṣfahānī.

Hajer Lahmar si occupa della relazione di viaggio di Ibn Faḍlān che, nel X secolo, fu inviato in missione dal califfo al-Muqtadir per incontrare il re dei Bulgari. Lahmar intende dimostrare come lo sguardo del viaggiatore sia animato da un forte sentimento di superiorità che non esita a definire «ethnocentrisme musulman à l’époque médiévale» [p. 98]. In diversi punti Lahmar paragona l’epoca medievale all’epoca odierna notando come in realtà, nonostante ci separino più di dieci secoli, il concetto di tolleranza non sia evoluto ma sia sempre legato al bisogno di dominare il diverso.

I risultati illustrati da Lahmar sono essenzialmente condivisi da Soléna Cheny che, nel suo contributo, nota quanto scarne siano le informazioni sull’organizzazione politica e sul modus vivendi dei berberi nelle cronache arabe medievali. Cheny, che scandaglia le prime cronache sulla conquista arabo-islamica del Maghreb (da Futūḥ Miṣr wa ’l-Maġrib wa ’l-Andalus di Ibn ‘Abd al-Ḥakam al Kitāb al-‘ibar di Ibn Ḫaldūn), sottolinea infatti quanto queste siano sostanzialmente «des aventures épiques dans lesquelles les généraux musulmans se meuvent comme les héros d’une épopée lyrique» [p. 112], dove l’interesse è rivolto più alle gesta degli arabi che alle popolazioni dominate.

Il contributo di Marie Bonnaud prende in esame gli scritti di Giovanni Damasceno e Teodoro Abū Qurrah sull’Islam. Dalla sua analisi dei testi emerge come, in un periodo quale quello della conquista islamica, i due teologi non abbiano affatto rifiutato l’alterità ma addirittura siano stati, malgrado i loro limiti, veri e propri precursori del dialogo. Bonnaud tenta infatti di relativizzare o rivalutare certi studi (come per esempio quelli di Jacques Ellul)1che considerano invece i due teologi come figure emblematiche della guerra religiosa tra cristiani e musulmani.

Il contributo di Bassam Tayara si pone l’obiettivo di datare le relazioni tra arabi e giapponesi. Consultando fonti sia in lingua araba sia in lingua giapponese, Tayara trova che l’anno 1905 rappresenti un punto di svolta nelle relazioni tra i due popoli. In quell’anno, i giapponesi sconfiggono la potenza russa che tentava di ottenere un porto libero dai ghiacci nell’Oceano Pacifico. La campagna militare nella quale i giapponesi seppero contrastare l’“aggressione russa in Asia”, spinse i nazionalisti arabi ad avvicinarsi alla scoperta del Giappone che, per molti, divenne un esempio di resistenza ai propositi coloniali delle grandi potenze occidentali.

Bahman Namvar Motlagh e Tayebeh Raoufzadeh, nel loro contributo, si confrontano con il tema dell’alterità dal punto di vista di una nazione musulmana non araba, ovvero l’Iran. I due studiosi si occupano dell’evoluzione dell’immagine dell’Occidente che, attraverso uno studio diacronico del lessico in uso in Iran per indicare Europa ed America, restituisce un’immagine variegata e controversa la quale, per riprendere le parole degli autori, «chez certains représente l’utopie et chez d’autres le grand Satan» [p. 155].

La seconda sezione del volume, dedicata alle rappresentazioni dell’altro nelle arti e nella letteratura araba d’espressione araba, consta invece di cinque contributi: Hanan Hashem sulla pièce al-Amīrah al-Iskandarāniyyah di James Sanua (Yaʿqūb Ṣanūʿ); Martine Houssay sul romanzo ‘Uṣfūr min al-šarq (Uccello d’Oriente) di Tawfīq al-Ḥakīm; Sanae El Ouardirhi sul romanzo Mawsim al-hiǧrah ilà al-šamāl (La stagione della migrazione a Nord) di al-Ṭayyib Ṣāliḥ; Laurence Denooz sulla scrittura d’esilio di Hudà Barakāt; Abdelhaï Sadiq sulla canzone di protesta del gruppo marocchino “Nās al-Ġīwān”.

Nel suo contributo su al-Amīrah al-Iskandarāniyyah, una pièce di Yaʿqūb Ṣanūʿ che l’autore stesso aveva autotradotto in italiano con il titolo L’Aristocratica alessandrina2, Hanan Hashem analizza le espressioni di francofilia e di francomania presenti nell’opera teatrale che si rivela uno specchio fedele della realtà egiziana della seconda metà del XIX secolo. L’Egitto è stato francesizzato per desiderio del Khedivé Ismāʿīl che, affascinato da Parigi, è deciso ad imitarne lo stile architettonico e urbanistico. Nella commedia in due atti di Ṣanūʿ, i personaggi, a furia di voler assomigliare ai francesi, tradiscono le proprie origini e cadono così nel ridicolo. Come ben sottolineato da Hashem, in questa pièce non si ride dell’Altro, bensì «de soi-même  en tant qu’adulateur de l’autre» [p. 172].

Martine Houssay approfondisce nel suo contributo il discorso ideologico sul sé e sull’altro che compare nel romanzo ‘Uṣfūr min al-šarq, scritto nel 1938 da Tawfīq al-Ḥakīm. Nel romanzo, una trentina di pagine sono occupate da un dialogo tra il russo Ivan e l’egiziano Muḥsin: in esso viene contrapposto l’Oriente all’Occidente, un Oriente vittima dell’imitazione dell’Occidente materialista, egoista e crudele. L’essenza di una tale contrapposizione appare ancora attuale, se confrontata con quanto propugnato oggi da certe correnti culturali estremiste e oltranziste. Ciò che può sorprendere, è la constatazione che dietro tale operazione compaia proprio Tawfīq al-Ḥakīm, un fine conoscitore della letteratura europea e un amante dei circoli culturali, dei concerti, dei musei e dei teatri, ovvero un intellettuale che considerava l’arte come un valore universale. Houssay, tuttavia, invita a collocare il discorso nel contesto storico in cui vive l’autore egiziano, ossia nella prima metà del XX secolo, nel periodo in cui nascono «les horreurs du nazisme, des fascismes, du stalinisme, les destructions de masse que furent les guerres mondiales et les autres, tout en prospérant sur l’iniquité colonialiste» [p. 194].

Il contributo di Sanae El Ouardirhi esplora nel dettaglio il celebre romanzo Mawsim al-hiǧrah ilà al-šamāl redatto nel 1966 dallo scrittore sudanese al-Ṭayyib Ṣāliḥ. Il tema centrale del romanzo è l’incontro problematico fra Oriente ed Occidente che viene esemplificato dalle vicende di Muṣṭafà Saʿīd, il protagonista che parte per Londra. Muṣṭafà, che pare soccombere sotto la pressione di un Occidente indubbiamente più forte su tutti i piani, usa invece la sessualità come forma di riscatto per dominare l’altro, nel caso sotto esame personificato dalla donna inglese. El Ouardirhi legge l’opera di Ṣāliḥ appoggiandosi alla teoria dell’ibridità e, più in particolare, alle ipotesi interpretative di Homi K. Bhabha3.
L’articolo di Laurence Denooz è dedicato alle Rasā’il al-ġarībah (Lettere dalla straniera4) composte nel 2003 da Hudā Barakāt, dove la scrittrice libanese insiste sul suo disinteresse totale verso la Francia, paese d’emigrazione e d’esilio. Come sottolineato da Denooz, la scrittrice dà inconsciamente ragione a Julia Kristeva5 e a Tzvetan Todorov6, secondo i quali l’esiliato evita qualsiasi tipo di assimilazione e non manifesta alcuna attenzione particolare per gli usi e costumi, la cultura e la storia del popolo presso il quale ha trovato rifugio. È al contrario «très égocentrique, son intérêt est quasi exclusivement centré sur sa propre vie ou celle de son peuple d’origine» [p. 212].

Abdelhaï Sadiq si concentra sull’ormai leggendario gruppo musicale marocchino dei “Nās al-Ġīwān”, analizzando cinque testi del loro repertorio: Fīn ġādī biya? (Dove mi stai portando?) per la categoria dell’Altro-straniero; Taġunǧa (Giustizia prigioniera) per la categoria dell’Altro-sociale; Ṣabrā wa Šātīlā (Sabra e Shatila) per quella dell’Altro-usurpatore; l-Ǧəmra (La brace) e Dīr ‘aqlək (Sii assennato) per l’Altro-noialtri.

La terza sezione del volume è dedicata alle rappresentazioni dell’altro nelle arti e nella letteratura araba d’espressione francese e consta di quattro contributi: Mourad Yelles sulla questione delle identità maghrebine e in particolare quella algerina; Bernadette Rey Mimoso-Ruiz sull’identità marocchina sulla base dell’analisi del romanzo Une année chez les Français di Fouad Laroui; Stéphanie Delayre sulla questione dell’alterità in Driss Chraïbi; Nathalie Robisco sul romanzo Rue Darwin dello scrittore algerino Boualem Sansal.

Mourad Yelles tratteggia la questione identitaria in Algeria, dall’epoca coloniale ai nostri giorni, passando in rassegna le produzioni artistiche più significative sia in lingua araba sia in lingua francese: dal romanzo Myriem dans les palmes di Mohammed Ould Cheikh (1936) a Des Ballerines de papicha di Kaouther Adimi (2010) passando per la pièce Rāk ḫūya w-āna škūn? (Se tu sei mio fratello, io chi sono?) del drammaturgo Slimane Benaïssa (1990). Il denso articolo di Yelles si serve, come quadro teorico, delle nozioni di “alterità relativa” e “alterità assoluta” ideate da François Laplantine e Alexis Nouss7.

Bernadette Rey Mimoso-Ruiz esamina il romanzo Une année chez les Français (2010) dello scrittore marocchino Foaud Laroui, dove il protagonista, Mehdi, originario di Beni Mellal, arriva a Casablanca per studiare al liceo francese. Quello di Laroui, secondo l’analisi di Rey Mimoso-Ruiz, è un «conte exemplaire» [p. 277], dove il candore del personaggio permette di inserirlo nel processo di acculturazione, superando le barriere del pregiudizio per andare verso la tolleranza e il riconoscimento di una ricchezza reciproca.

Stéphanie Delayre si occupa della questione dell’alterità nell’opera del celebre scrittore marocchino Driss Chraïbi. Delayre analizza sia i romanzi sia i programmi radiofonici animati per anni da Chraïbi sul canale ORTF (in seguito divenuto France Culture). Il contributo intende dimostrare come lo scrittore marocchino si sia sforzato di decostruire i discorsi orientalistici e paternalistici occidentali, facendo valere la fonte di ricchezza che l’alterità rappresenta per ognuno di noi. Rifiutandosi di concepire il mondo e i suoi rapporti interculturali in maniera manicheistica, Chraïbi ha denunciato la “fabbricazione dell’Altro”, secondo l’acuta analisi di Delayre, ben venticinque anni prima di Edward Said. Senza rinchiudersi in sterili dibattiti che vorrebbero l’Altro solo come figura esterna, Chraïbi ha anche rivolto la sua attenzione all’altro “interno”, ovvero, in particolare, alla donna emancipata e alle minoranze autoctone.

A chiudere la terza sezione e l’intero volume è il contributo di Nathalie Robisco che approfondisce il romanzo Rue Darwin dell’algerino Boualem Sansal. Robisco definisce la figura dell’altro presente nel romanzo di Sansal come «l’ennemi intime» [p. 293]. Il protagonista Yazid, infatti, ci conduce non solo all’interno della sua storia personale, ma anche e soprattutto nel non-detto della storia dell’Algeria. I personaggi di Sansal, vittime delle menzogne, sono alla ricerca della loro identità e di una verità nascosta dagli altri, che siano membri della famiglia o funzionari dello Stato algerino.

L’intero volume si presenta dunque molto vario sia per epoche che per ampiezza geografica considerate. Sul piano formale, vale la pena ricordare che il libro si apre con una pagina dedicata al sistema di trascrizione scientifica impiegato (al quale, tuttavia, occorre riconoscere che non tutti i contributori si sono conformati) e una «Introduction» di dodici pagine, seguita dal contributo del curatore, Omar Fertat, dal titolo «De la représentation et de l’altérité dans le monde arabo-musulman». L’eterogeneità delle tematiche e dei luoghi trattati nel volume è ben illustrata e motivata da Omar Fertat che, nel suo contributo, fornisce al lettore una sorta di manifesto atto a ripercorre le tappe storiche e gli studi fondamentali sulla rappresentazione dell’altro nella cultura arabo-islamica, a partire dai lavori imprescindibili di Edward Said e Georges Tarabichi. Il volume curato da Fertat è non soltanto pregevole dal punto di vista scientifico, ma si rivela anche di estrema attualità. In un momento in cui, per riprendere le parole di Fertat, «les événements tragiques que vivent aussi bien le monde arabo-musulman que le monde occidental, rendent le fossé séparant ces deux mondes plus béant» [p. 11], questo volume è una felice apparizione nel panorama editoriale che può apportare conoscenze e informazioni nuove alla disciplina perché si basa su lavori di ricerca, maturati dopo lunghi periodi di investigazione, che risultano senza dubbio puntuali e originali.

Angela Daiana Langone


1J. Ellul, La subversion du christianisme, Editions du Seuil, Paris 1984, e Islam et judéo-christianisme, Quadrige/PUF, Paris 2006.
2James Sanua, L’Aristocratica alessandrina, Ed. Jules Barbier, Il Cairo 1876.
3H.K. Bhabha, Les lieux de la culture. Une théorie postcoloniale, Payot, Paris 2007.
4Il titolo è stato reso nell’edizione italiana con Lettere da una straniera. Da Beirut a Parigi: diario di una vita altrove (Ponte alle Grazie, 2006).
5J. Kristeva, Etrangers à nous-mêmes, Fayard, Paris 1988.
6T. Todorov, Nous et les autres. La réflexion française sur la diversité humaine, Le Seuil, Paris 1989.
7F. Laplantine et A. Naouss, Métissages. De Arcimboldo à Zombi, Pauvert, Paris 2001.


 

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno VI, Numero 12, dicembre 2016

Acquista Back to Anno VI, Numero 12, dicembre 2016

L’Autore

Angela Daiana Langone | Ricercatore di Lingua e letteratura araba presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura, Linguistica dell’Università degli Studi di Cagliari; chercheuse associée presso l’IREMAM (Institut de Recherches et d’Etudes sur le Monde Arabe et Musulman) UMR 7310 Université Aix-Marseille.