Ai confini dell’amore e della bellezza in una tormentata storia del Marocco di oggi: al-Qaws wa ’l farāšah (L’arco e la farfalla) di Muḥammad al-Aš‘arī [al-Achaari], al-Markaz al-Ṯaqāfī al-‘Arabī, al-Dār al-Bayḍā’/Bayrūt 2010, pp. 336

Muḥammad al-Aš‘arī (1951) è un importante uomo politico marocchino (è stato, tra l’altro, Ministro della Cultura tra il 2002 e il 2007), redattore e direttore di giornali, narratore e poeta. Finora sono apparse alcune raccolte di racconti e due romanzi, il secondo dei quali, al-Qaws wa’l-farāšah (L’arco e la farfalla) ha vinto, ex-aequo con awq al-ḥamāmah dell’autrice saudita Rağā’ ‘Ālim,  l’edizione dell’Arab Booker Prize 2011, uno dei più recenti ma prestigiosi riconoscimenti nell’intero mondo arabo.

La vicenda narrata da al-Aš‘arī nella sua opera, che si caratterizza per l’evidente liricità, oltre che per la bellezza della lingua utilizzata, si svolge in varie località del Marocco, sicché può dirsi che il testo è un romanzo che dà voce alle più diverse realtà del paese, una sorta di canto corale della nazione. In effetti, più che la gente esprimersi ed esternare il proprio sentire, sembra sia la Terra a farlo, servendosi del tramite di chi popola quella stessa Terra. Sono le città e la campagna marocchine che trovano così una sorta di personificazione e trasmettono ai lettori l’intimo dolore che le dilania.

Il protagonista di al-Qaws wa’l-farāšah è un uomo sulla cinquantina, Yūsuf al-Firsyawī, giornalista noto in ambito nazionale, poeta e autore di un libro sull’amore,  che viene considerato il miglior libro arabo di tale genere dopo il capolavoro della letteratura araba classica Il collare della colomba di Ibn Ḥazm (X-XI sec.).

L’opera si apre con il riferimento a una misteriosa lettera che ha provocato in Yūsuf la progressiva perdita del gusto per la vita.

Quando lessi la lettera, formata da un unico rigo scritto con una calligrafia indecisa, fui attraversato da un brivido freddo e mi estraniai a tal punto da non saper più come fare per riprendermi dal turbamento e ritornare in me. Quando, finalmente, vi riuscii, benché dopo uno sforzo immane, ero ormai un’altra persona, come un uomo che per la prima volta calpestasse una landa desolata; e in questa terra per me sconosciuta, iniziavo ad avvicinarmi alle cose con una sorta di insensibilità che le rendeva tutte uguali, sicché non avevo alcuna percezione del dolore, del piacere o della bellezza. Nutrivo un unico desiderio: che il mio intimo si ridestasse per un motivo qualsiasi, ma non c’era che un ostacolo a impedirmelo – la mia stessa incapacità.

Per il protagonista è l’inizio di un incubo, di una nuova fase della sua vita che percepisce anche attraverso il senso dell’olfatto, in lui sempre molto sviluppato, e che gli ricorda il sapore della morte.

[…] D’un tratto mi resi conto che un muro si era alzato tra me e il mondo, mentre, prima, sulla strada verso l’ufficio, mi bastava percepire l’odore delle persone per acquistare familiarità con le loro fattezze e storie. Approfondendo la questione, capii di aver perso del tutto il senso dell’olfatto.

Ciò non era la conseguenza di un disturbo fisico o di un progressivo indebolimento. No, si trattava di un fulmine a ciel sereno, senza che vi fosse stato alcun preavviso, più o meno diretto.

La lettera che ha causato il profondo malessere e anche una maggiore frattura tra lui e la moglie Bahiyyah, con cui è sposato da circa venticinque anni, è formata da due semplici frasi annuncianti la morte dell’unico figlio della coppia, Yāsīn, brillante studente universitario a Parigi, che è morto facendosi esplodere in Afghanistan. Alla lettera segue una telefonata che sembra provenire dal Marocco stesso. Ciò probabilmente significa che il ragazzo era membro di una cellula locale di Al Qaeda. Frequenti nel romanzo sono, infatti, i riferimenti ad attentati davvero avvenuti in Marocco e a Madrid negli anni scorsi.

Con il passare delle settimane e dei mesi, il rapporto tra Bahiyyah e Yūsuf si logora, tanto che i due divorzieranno. La donna si risposerà con Aḥmad Mağid, vecchio amico della coppia, mentre il protagonista ritroverà il piacere per la vita con Laylà, che permette a Yūsuf di riaprirsi alla speranza. Dopo un breve ricovero in ospedale, Yūsuf torna, accompagnato dalla donna, nel nuovo appartamento in cui si è trasferito dopo il divorzio ed è allora che comprende di poter ricominciare a vivere.

Una volta giunti nell’appartamento, rimasi sbalordito: era un posto diverso, un posto che Laylà aveva saputo trasformare da freddo e quasi senza vita in uno spazio luminoso. Al solo percorrerlo, dentro di me avvertii un che di denso e delicato insieme che non provavo da anni. In quel preciso istante, capii che chi è capace di “addomesticare” gli ambienti e di imprimervi nuova vita, effonde un potere quasi divino che ne fa il detentore delle chiavi dell’animo umano, ossia colui che, dentro di sé, coltiva giardini senza fine.

Questo, inoltre, è l’inizio della rinascita che lo porterà in pochissimo tempo a ritrovare l’olfatto e, perciò, l’amore per la vita. Nonostante il profondo sentimento che li unisce, tuttavia, la relazione subirà spesso grossi scossoni, dovuti essenzialmente al fatto che l’uomo è costantemente tormentato dal proprio doloroso passato. Da ragazzo, infatti, Yūsuf aveva vissuto un profondo trauma, il suicidio della madre Diotima, una tedesca, la quale si sarebbe data la morte a causa (sembrerebbe) dell’incomunicabilità che la divideva dal marito. Inoltre, una volta stabilitasi con lo sposo e il figlio in Marocco, a Ouilili, la romana Volubilis – sito archeologico dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO – che, con le sue imponenti e ben conservate rovine, è al centro di una trama secondaria, nell’ambito della quale il protagonista ed alcuni altri personaggi vanno alla ricerca di un manoscritto e di una statua di Bacco misteriosamente scomparsa e che riappare in un ultramoderno complesso a Marrakech.

Intanto Diotima aveva tentato di compensare la nostalgia per la Germania e la sua solitudine cercando di aiutare i più deboli, ma questo non era guardato con favore dalla popolazione.

Il giovanissimo Yūsuf, inoltre, aveva incolpato il padre di aver ucciso sua madre, convincendo di ciò il nonno materno che aveva intentato una causa contro il genero. Suo padre aveva quindi subito anch’egli tante umiliazioni per molti anni, ma aveva poi trovato un po’ di serenità con una nuova moglie e una bambina, mentre Yūsuf era volato in Germania con il nonno materno, rimanendovi per diversi anni, deciso a non ritornare più in patria. Dopo aver incontrato, però, un gruppo di marocchini originari della zona di Ouilili, il ragazzo aveva capito di non poter rinunciare al proprio sangue africano ed era rientrato in Marocco, dove aveva ripreso i rapporti, seppur turbolenti, con il padre. Nel passato di Yūsuf, infine, c’è ancora altro: la sua appartenenza, in Germania, all’estremismo di sinistra, dal quale, poi, si era distaccato, preferendo aderire a un partito della sinistra moderata.

Questa è la trama piuttosto complessa e complicata del romanzo che si legge, tuttavia, con interesse crescente.

Vari personaggi ruotano intorno al protagonista, ciascuno dei quali ricopre un ruolo importantissimo. Interessanti sono, ad esempio, Ibrāhīm al-Ḫayāṭī  e Aḥmad Mağid. In particolare, il primo permette all’autore di allinearsi con tanti altri scrittori marocchini che, direttamente o indirettamente, nelle proprie opere hanno discusso di un tema molto sentito nel Maghreb, come l’omosessualità, sovente legata al turismo sessuale e al rapporto tra Oriente e Occidente. Proprio quest’ultimo è, in effetti, uno dei cardini nel romanzo, così come lo sono l’esilio e il senso di estraniamento di un arabo che vive in terra d’emigrazione, i rapporti intergenerazionali e tra i sessi, la ricerca della verità e della bellezza. Lo scrittore denuncia altresì la corruzione – specialmente in campo edilizio, dove una “mafia” impone le sue regole – e si sofferma a riflettere sulla trasformazione di alcune zone del Marocco, a causa dell’urbanizzazione selvaggia, della modernizzazione delle città con la costruzione di numerosi luoghi di svago che, però, sono solo un modo per dissimulare l’atroce solitudine di cui si soffre nella società attuale.

Non meno importante, ovviamente, è la questione del terrorismo internazionale – tema che, in realtà, è collegato soprattutto al rapporto tra Oriente e Occidente e a quello intercorrente tra vecchia e nuova generazione. Come sempre, i giovani sono fragili e influenzabili, mentre sta ai loro padri dare il buon esempio e tentare di impedir loro di commettere sbagli che potrebbero rivelarsi terribili. Ma gli adulti del Marocco di oggi sono capaci di salvare i propri figli e di non reiterare gli errori dei propri padri?

Il romanzo si chiude sul tentativo di Yūsuf di “salvare” un giovane che conosce molto bene dal commettere un’azione turpe: se non è riuscito ad aiutare, a salvaguardare suo figlio, deve provare a farlo ora, in extremis, anche se ciò potrebbe significare la fine del suo viaggio terreno.

Nel proporre le vicende della famiglia al-Firsyawī, in questo romanzo viene messa sotto accusa l’intera società marocchina, o nordafricana in genere, che soffre, come poco più sopra accennato, per la corruzione, l’arrivismo, il turismo malato, l’estremismo politico e religioso e così via. Inoltre, è sconfortante rendersi conto di come i giornali si occupino solo di scandali, specialmente a carattere sessuale, mentre l’intera società pian piano cade in un baratro forse senza uscita.

La lingua utilizzata da al-Aš‘arī è elegante, così come lo stile. La narrazione è scorrevole, nonostante molte divagazioni. Soprattutto nell’ultima parte si assiste a una certa concentrazione di eventi, del tutto voluta dallo scrittore, e che comunque non infastidisce il lettore.

Nel corso di una recente intervista, l’autore ha rivelato che il romanzo, al-Qaws wa’l-farāšah, vuol essere soprattutto un modo per dare l’avvio, attraverso la storia e la lingua adoperata, a una personale ricerca della vera bellezza, elemento che al giorno d’oggi sembra star svanendo. In tal senso rivestono grande importanza l’uso sapiente di nomi che si riferiscono a personaggi e a luoghi che rimandano appunto all’amore, alla bellezza, all’assoluto. Inoltre, forte appare l’impronta della letteratura mondiale, anche classica, sull’opera – e ciò si evince, tra l’altro, dalla scelta di dare ad alcuni personaggi nomi e/o caratteristiche che catapultano il lettore nel mondo dell’antica Grecia, nella mitologia, nella speculazione filosofica e sull’etica. Vi sono, poi, numerosi riferimenti alla cultura e letteratura tedesca, ben nota allo scrittore. È ancora interessante rilevare la presenza, nel romanzo, di figure intellettuali che diventano attori comprimari all’interno del testo, qual è il caso di José Saramago.

È, infine, non superfluo aggiungere che l’opera di al-Aš‘arī  è molto attuale, per quanto nelle ultime settimane si sta verificando nel mondo arabo, e potrebbe essere inoltre d’aiuto al lettore occidentale in genere e italiano in particolare per meglio comprendere alcune dinamiche interne alla società marocchina – e araba – anche alla luce di un dato oggettivo importante, ossia che la comunità marocchina è quella più numerosa nel nostro paese. 

Paola Viviani

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 1, giugno 2011

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L’Autore

Paola Viviani | Assistant Professor in Arabic Language and Literature at Seconda Università di Napoli, Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet”.