Mīlūdī Ḥamdūšī, al-Sikkīn al-ḥarūn (Il coltello ostinato), ‘Ukāẓ, al-Dār al-Bayḍā’ 2014, pp. 166.

Mīlūdī Ḥamdūšī (Meknès 1947-) è un avvocato ed ex ispettore di polizia a Kénitra che nel tempo ha coltivato la passione per la scrittura letteraria. Nel 1997 pubblica il suo primo romanzo poliziesco, scritto a quattro mani insieme a ‘Abd al-Ilāh al-Ḥamdūšī, che intitola al-Ḥūt al-a‘mà (La balena cieca)1 e, continuando a pubblicare con cadenza regolare i suoi romanzi, si è così affermato come pioniere del poliziesco marocchino d’espressione araba.
In al-Sikkīn al-ḥarūn (Il coltello ostinato), il commissario al-Bakrī si trova ad indagare non più a Rabat e Casablanca, ovvero le località che caratterizzavano le sue attività investigative in altre opere di Ḥamdūšī, bensì in una città molto più piccola come El Jadida, l’antica Mazagan.
Tutto ha inizio con l’omicidio di un ex impiegato del Ministero dell’Agricoltura ormai in pensione, tale ‘Umayrī, originario di Ouarzazate ma residente a El Jadida da oltre dieci anni. La domestica ‘Ā’išah scopre il cadavere riverso in una pozza di sangue: la vittima è stata colpita alla nuca con un coltello trovato in cucina e dall’abitazione sono stati sottratti degli assegni bancari.
In seguito alla prime indagini e ai primi interrogatori, ‘Umayrī si rivela un uomo onesto dalla fedina penale immacolata e dalla condotta irreprensibile, fondatore di una associazione di beneficenza che ha l’obiettivo di aiutare bambini e adolescenti che, a causa dell’indigenza delle loro famiglie, si sono visti costretti a interrompere gli studi. Sulle prime, il delitto efferato sembra conseguenza di un furto finito male: ma la realtà è davvero così semplice come appare?
Il commissario al-Bakrī non si accontenta di una soluzione rapida e superficiale e, con l’aiuto dei suoi due fedelissimi collaboratori, al-Mayrī e al-Ruṯmī, riesce a mettere in discussione il banale movente del furto. Anche perché il quadro finisce per complicarsi, dal momento che la scia di sangue non si arresta. Di lì a poco viene infatti ritrovato un altro cadavere, ucciso con la stessa arma bianca: si tratta di ‘Alī al-Filālī, ricercatore universitario di scienze politiche, noto alla polizia per avere sporto denuncia contro sua moglie, Umm Zuhūr, con l’accusa di essere l’amante di ‘Umayrī, nonché la responsabile della sua morte.
Da assassinio a scopo di furto a omicidio passionale: quale tra queste due la verità? Oppure ve n’è una terza?
Nel romanzo, in diversi passaggi il lavoro del commissario viene paragonato a quello del ricercatore universitario. al-Bakrī si immerge nella vita intima e segreta della vittima come il ricercatore con il suo oggetto di studio: «esamina le ipotesi, le supposizioni, passa da alcuni dati ad altri cercando un filo logico, li mette insieme» [pp. 30-31], perché «ci sono cose che non emergono a prima vista ma che vengono fuori solo dopo attenta riflessione e ricerca di elementi utili» [p. 55].
Il narratore sottolinea la necessità di ricorrere alla logica e di far appello alla costanza, alla determinazione e alla forza di volontà: «alla fine il risultato arriva; ma la notte è lunga e tu sei illuminato da una pallida luna e devi trovare, con lentezza, pazienza e precisione, quel di cui necessiti nel cuore della notte. Se insisti nel cercare tra le quinte della vita, trovi cose incredibili» [p. 44].
Come ogni ricerca che si rispetti, anche l’inchiesta condotta da al-Bakrī intende inserirsi in un quadro teorico ben preciso. Nel romanzo viene citato a più riprese il criminologo canadese Maurice Cusson (Montréal 1942-), celebre per una serie di pubblicazioni dedicate alla questione della razionalità nei delinquenti2. Secondo il criminologo, i delinquenti, spesso impulsivi, vivono nel momento presente e non pensano alle eventuali conseguenze delle loro azioni, poiché la loro razionalità si limita esclusivamente a una breve durata. Dopo essersi domandato se alla società marocchina possano essere applicate delle teorie interpretative «che hanno origini straniere», al-Bakrī si risponde affermativamente perché «i crimini non hanno limiti, né colore né nazionalità» [p. 22]. Persino l’epilogo – che non sveleremo – non fa che corroborare le teorie di Cusson [p. 166].
Il quadro teorico cui fa riferimento il commissario al-Bakrī si completa con rimandi agli studi sulla teoria della “razionalità olimpica”3 dello psicologo statunitense Herbert Alexander Simon (Milwaukee 1916- Pittsburgh 2001) e ai lavori del filosofo e medico francese Henri Laborit (Hanoi 1914-Parigi 1995) sulla relazione fra aggressività criminale e trauma psichico4 [pp. 21 e 83].
L’intertestualità non si esaurisce con autori occidentali, ma si estende anche ad autori arabi contemporanei come l’avvocato egiziano Sīnūt Ḥalīm Dūs5. Nel romanzo vengono citati inoltre poeti classici come l’omayyade al-Farazdaq (ca. 641-730) e personaggi storici come Ibrāhīm b. al-Aġlab al-Ṯānī (850-902), nono emiro della dinastia aghlabide, meglio conosciuto nelle fonti occidentali col nome di Brachimo6, citato nell’incipit del romanzo per la crudeltà dei numerosi crimini di cui si è macchiato, per «il suo gusto di annientare anime» [p. 7]. Infine, numerosi sono i proverbi tratti dal fecondo serbatoio culturale arabo-islamico che il commissario rievoca nella sua indagine7.
In una logica geocritica, il punto di vista del protagonista del romanzo è endogeno, caratterizzato da una visione autoctona dello spazio8. Così, il commissario al-Bakrī, nella sua automobile Simca 1100 nera, si aggira per El Jadida descrivendola come uno spazio familiare, con i suoi punti di riferimento reali: la scuola El-Rafii, il liceo Ibn Khaldoun, il complesso Moulay Abdallah, l’ospedale Mohammed V, il Mellah e il quartiere Bouchrit, il giardino pubblico Spini. Nei suoi viaggi in auto, il protagonista riflette sul destino della città: «Una città che cambia in fretta, una vivacità che non si arresta, sempre in movimento. Vi sono macchinari che squarciano la terra e la livellano, altri alzano il terreno e fendono il pavimento, spazzando via giardini ed alberi. El Jadida diverrà preda, come Casablanca, di industriali e uomini d’affari? La trasformazione non può che perturbare i rapporti fra i cittadini» [p. 20].
Mīlūdī Ḥamdūšī decide di ambientare il suo romanzo poliziesco a El Jadida non solo perché è una città che sta vivendo una fase di profonde e delicate trasformazioni sociali. Il suo è anche un omaggio a una città ribelle con le sue zone d’ombra e di luce9, nonché a un grande scrittore marocchino del genere poliziesco in lingua francese, Driss Chraïbi (1926-2007), originario proprio di El Jadida.

Angela Daiana Langone


1 ‘Abd al-Ilāh al-Ḥamdūšī, Mīlūdī Ḥamdūšī, al-Ḥūt al-a‘mà, ‘Ukāẓ, al-Ribāṭ 1997. Il romanzo è stato tradotto in spagnolo: Abdelilah El Hamduchi, Miludi Hamduchi, La ballena ciega, traducción del árabe de A. Alberdi Ibarguren, Verbum, Madrid 2015.
2 Si vedano, in particolare: M. Cusson, La délinquance, une vie choisie. Entre plaisir et crime, Editions Hurtubise, Montréal 2005, e Id., La délinquance, une vie choisie, in “Revue internationale de criminologie et de police technique scientifique”, 54, 2006, pp. 131-148.
3 H.A. Simon, Models of Man: Social and Rational; mathematical essays on rational human behavior in society setting, Wiley, New York 1957.
4 H. Laborit, La nouvelle grille, Laffont, Paris 1974.
5 Nel romanzo viene citato in particolare: Sīnūt Ḥalīm Dūs, al-Sumūm bayna alibb wa ’l-qānūn (I veleni tra medicina e legge), Dār al-Nahḍah al-‘Arabiyyah, al-Qāhirah 1987.
6 Diversi sono stati i suoi successi militari, fra cui la conquista di Siracusa nell’878. Era noto per il suo sadismo che non escludeva neppure la cerchia familiare. Si veda in particolare M. Amari, Storia dei musulmani di Sicilia, voll. I-II, Le Monnier, Firenze 1854-1858.
7 A mo’ di esempio: «al-Raǧul al-fāḥiš lā yubālī mā ṣanaʿa» (l’uomo mostruoso non si cura di quel che ha costruito, p. 83).
8 Sulla tassonomia a tre varianti della multifocalizzazione si rimanda a B. Westphal, La géocritique. Réel, fiction, espace, Les Editions de Minuit, Paris 2007, p. 208.
9 Su alcuni delitti di cronaca nera a El Jadida, si veda: Mustapha Jmahri, Chroniques secrètes sur Mazagan-El Jadida 1850-1950, Préface du Prof. B. Lepez, Les Cahiers d’El Jadida, n. 9, Imprimerie Najah Al Jadida, Casablanca 2010.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno VII, numero 13, giugno 2017

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L’Autore

Angela Daiana Langone | Ricercatore di Lingua e letteratura araba presso il Dipartimento di Filologia, Letteratura, Linguistica dell’Università degli Studi di Cagliari; chercheuse associée presso l’IREMAM (Institut de Recherches et d’Etudes sur le Monde Arabe et Musulman) UMR 7310 Université Aix-Marseille.