Laylà al-Ǧuhnī, Ǧāhiliyyah (Ignoranza), Dār al-ādāb, Bayrūt 2007, pp. 183.

Negli ultimi decenni la scrittura femminile saudita diventa sempre più espressione del disagio, dell’alienazione e dell’isolamento che caratterizza la condizione della donna in questo paese. La letteratura si fa strumento di ribellione sociale. È quanto avviene con la giovane generazione di scrittrici che, a partire dal nuovo millennio, hanno dato origine al cosiddetto al-adab al-mal‘ūn, una letteratura maledetta, vietata, perché infrange i tabù di questa società. Le giovani saudite trattano per la prima volta in maniera esplicita temi scandalosi, di cui nessuno può parlare, mettendo in luce davanti al mondo la realtà di una nazione che si nasconde dietro un’apparenza di progresso. In questo filone si inserisce Laylà al-Ǧuhnī (1969), una delle scrittrici più mature e talentuose di questa generazione. Nata a Tabūk, si è laureata e specializzata in Lingua e Letteratura Inglese presso l’Università al-Malik ‘Abd al-‘Azīz di Medina. Nel 2009 ha ottenuto il dottorato in Pedagogia e attualmente insegna nella Facoltà Femminile dell’Università di Medina. Ha scritto diversi racconti, pubblicati sulla stampa locale, e romanzi: uno ancora inedito, Dā’iman yabqà al-ḥubb (L’amore rimane sempre), al-Firdaws al-Yabāb (Il Paradiso Perduto), vincitore del premio Ǧā’izat al-Šāriqah li ’l-Ibdā‘ al-Riwā’ī, e Ǧāhiliyyah (Ignoranza), che rappresenta il culmine di un’evoluzione non solo letteraria, bensì sociale. In tempi recenti è stata pubblicata in Libano la sua autobiografia, redatta nell’aprile del 2009, in occasione dei suoi quarant’anni, come si deduce dal titolo stesso dell’opera, 40… fī ma‘nà an akbur (40… nel senso che sto crescendo). Con i suoi romanzi, l’autrice ha avviato il processo di riforma della narrativa femminile saudita, spingendo altre giovani promesse letterarie a emergere e a far sentire la propria voce.

Come nel suo romanzo d’esordio, al-Firdaws al-Yabāb, l’autrice tenta nuovamente l’esperienza realista, affrontando un tema particolarmente delicato, quello del razzismo e della suddivisione in classi nel paese. La trama ruota attorno alla storia di un amore impossibile tra una giovane di Medina e un uomo di colore. Līn, dottoressa di buona famiglia, è una ragazza intelligente, colta ed emancipata. Il destino le fa incontrare Mālik, un giornalista povero e privo della nazionalità saudita. Attraverso una serie di ricordi e flashback, il lettore poco a poco viene a conoscenza della storia e degli eventi che portano alla nascita del loro amore: le telefonate, gli incontri segreti per nascondersi dagli occhi indiscreti della società e gli ostacoli che questa stessa società pone fra loro. Purtroppo la società avrà la meglio sui due, che saranno sopraffatti dalle ingiustizie: prima Mālik non riesce ad ottenere la nazionalità, senza la quale non può sposare Līn; poi Hāšim, il fratello minore della protagonista, scopre la relazione tra i due e decide di intervenire per separarli. Sarà egli a colpire Mālik una notte, in una strada secondaria di Medina, lasciandolo riverso sull’asfalto, sanguinante e in fin di vita. A far da contorno al racconto c’è una vicenda esterna alla storia, un evento di portata internazionale, cioè l’attacco americano all’Iraq nel 2003, che viene presentato tramite stralci di notizie inserite all’inizio di ogni capitolo.

Il titolo ci fornisce la chiave di lettura di tutto il romanzo: Ǧāhiliyyah è il termine arabo che significa letteralmente “ignoranza” e viene usato per indicare il periodo storico antecedente la missione profetica di Muḥammad, in cui appunto si ignorava il messaggio coranico. Il significato che l’autrice intende dare al titolo, e che si acquisisce solo nel corso della lettura, è l’allusione ad una ǧāhiliyyah moderna, ancora presente nella sua stessa società. Il messaggio risulta di chiara critica: nonostante lo sviluppo economico del paese, Laylà al-Ǧuhnī paragona l’Arabia Saudita all’epoca della barbarie, dato che, agli occhi della protagonista, la società in cui vive sembra essere rimasta legata a valori tribali e patriarcali e arretrata culturalmente.

Tutto il romanzo presenta una struttura doppia: negli eventi, nello spazio e nel tempo. I fatti che vengono raccontati sono due, l’attacco americano all’Iraq e la storia di Līn e Mālik, mentre gli spazi narrativi sono il mondo e la città di Medina. Anche il tempo subisce uno sdoppiamento: la vicenda è ambientata nel presente, ma l’autrice si serve della datazione in vigore durante la Ǧāhiliyyah. Anzi, per sottolineare ulteriormente l’identificazione tra passato e presente, i mesi e i giorni della settimana utilizzati sono quelli dell’epoca preislamica, mentre per gli anni fa da riferimento un avvenimento internazionale dell’epoca moderna, la Prima Guerra del Golfo.

Laylà al-Ǧuhnī inserisce inoltre nel romanzo diversi spezzoni di testi dell’antichità che parlano di razzismo, tribalismo e legami di sangue, per rimarcare l’idea, più volte presente nel pensiero della scrittrice, di un ritardo culturale dell’Arabia Saudita; talvolta, le civiltà del passato mostrano un’apertura mentale maggiore rispetto alla civiltà del presente. Il confronto coinvolge poi l’Occidente: la scelta di introdurre una cornice esterna al romanzo è un artificio narrativo che permette all’autrice di esprimersi in merito ad alcuni fatti di cronaca internazionale. Anche l’Occidente, in un certo senso, dà esempio di ǧāhiliyyah, con i suoi tentativi di imporsi al resto del mondo con le proprie scelte e abitudini, non sempre giuste.

L’intera vicenda è narrata in terza persona da un narratore esterno onnisciente che descrive la storia attraverso il punto di vista di un personaggio sempre diverso.

In ogni capitolo la vicenda è vista dunque dall’angolazione di un determinato personaggio, la cui voce talvolta traspare mediante brevi pensieri o discorsi indiretti. Altre volte è invece la voce dell’autrice che sembra voler entrare nel racconto per manifestare la propria visione del mondo. Nonostante la struttura si incentri su un determinato personaggio in ciascun capitolo, il punto di vista degli altri protagonisti viene introdotto attraverso flussi di coscienza.

Il romanzo Ǧāhiliyyah presenta dunque un linguaggio abbastanza complesso stilisticamente, con i suoi flashback, i monologhi interiori e i flussi di coscienza, che si sovrappongono e incatenano tra loro, creando una sorta di ricordi a più “strati”.

Ciò che si nota immediatamente, fin dalle prime righe dell’opera, è l’assoluta mancanza di continuità temporale. I capitoli non si susseguono secondo un ordine cronologico, ci sono sbalzi di giorni e, a volte, addirittura di mesi, che permettono all’autrice di giocare con il testo e con gli eventi, anticipando nomi e fatti su cui verrà fatta luce solo molto più avanti nella narrazione.

Questi salti temporali diventano un espediente per affrontare diverse tematiche; il romanzo è infatti un ritratto della realtà politica, sociale e culturale dell’Arabia Saudita contemporanea, vista con trasporto e sentimentalismo dall’occhio di una donna. Non a caso la protagonista, Līn, lavora in un istituto per ragazze che hanno subito maltrattamenti o che, spinte dalla disperazione, si sono date alla fuga. In questo modo Laylà al-Ǧuhnī ha la possibilità di mettere in primo piano la situazione della donna saudita, presentata nei suoi aspetti più negativi.

In tutto il romanzo, infatti, si percepisce un atteggiamento fortemente critico contro il maschilismo dilagante nel paese e contro quegli uomini che si sentono padroni non solo della propria vita, ma anche di quella delle donne con le quali hanno un legame.

Ǧāhiliyyah si configura come un’opera innovativa dal punto di vista contenutistico, così come da quello formale. Il tema dell’immobilità della società saudita viene proposto con coraggio, ma la frustrazione delle speranze dei protagonisti non corrisponde ad una rassegnazione reale alle prevaricazioni della società patriarcale e maschilista. La letteratura fornisce così dei modelli a cui le giovani possano ispirarsi.

Ogni immagine, ogni oggetto, ogni particolare permette all’autrice di giocare con la storia, introducendo nuovi dettagli, prima sconosciuti, che vanno a chiarire punti oscuri o a colmare i vuoti del racconto. L’andamento della narrazione, discontinuo e a volte visionario, è funzionale all’analisi della psiche dei personaggi, e dà vita ad un’opera che potrebbe quasi essere inserita nel genere del romanzo psicologico. È impossibile non pensare alla figura di Virginia Woolf, il cui esempio non è solo letterario, ma il simbolo di quell’emancipazione femminile a cui la scrittrice araba aspira.

L’approfondimento psicologico dei protagonisti della vicenda diventa un modo per avvicinarsi al pubblico femminile, che può identificarsi facilmente con i personaggi del romanzo. Līn è una ragazza moderna ed emancipata, ma non per questo la sua mentalità si distacca dai valori tradizionali della cultura araba e della religione islamica, i cui precetti si rivelano ben distanti dalla rappresentazione che gli uomini vorrebbero darne. La contraddizione si fa evidente attraverso il contrasto tra il personaggio di Hāšim, che ha una visione distorta dei valori tradizionali e che lo spinge a commettere un reato che va contro ogni etica e morale, e quello di Līn che, al contrario, si batte in nome di sentimenti puri, e nel rispetto della sua famiglia, con la quale evita di entrare apertamente in polemica fino ai limiti del possibile. Il messaggio finale del romanzo è chiaro: la sconfitta dei protagonisti corrisponde alla sconfitta dell’intera società saudita che, ottusa, ristagna in un’immobilità senza uscita.

Daria Rossetti


[6] L’autrice, che ben conosce la letteratura inglese, sembra identificarsi in questa scrittrice, così come si evince dal romanzo già tradotto in italiano. Cfr. Laila al-Giuhni, Il canto perduto, cit., p. 36.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno II, numero 4, dicembre 2012

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