Fawwāz Ḥaddād, Ğunūd Allāh (Soldati di Dio), Dār Riyāḍ al-Rayyis, Bayrūt 2010, pp. 455.

Ğunūd Allāh  è un testo caratterizzato da una tensione narrativa e una densità psicologica che lo avvicinano, per certi versi, a un thriller. È la storia di un intellettuale siriano che si reca in un Iraq in pieno conflitto alla ricerca del figlio, il quale ha lasciato gli studi a Beirut per combattere il ğihād in quel paese. L’autore, Fawwāz Ḥaddād, è nato a Damasco nel 1947. Diventato scrittore a tempo pieno solo nel 1988, con il primo romanzo, Mūzāyīk, Dimašq 39 (Mosaico, Damasco ’39, 1991) ha incontrato da subito il favore della critica. Si dedica ad un tipo di narrativa realistico-storica, dalla forte introspezione psicologica; un suo lavoro precedente al-Mutarğim al-ḫāyin (Il traduttore infedele, 2008), che lo ha fatto conoscere a livello internazionale, è stato censurato in Siria.

La narrazione di Ğunūd Allāh  si apre in piena azione: il protagonista (senza nome e voce narrante) viene trasportato da Baghad a Damasco, ferito e in amnesia totale. Il doloroso sforzo di ricordare costituisce la cornice narrativa: egli, infatti, non vuole ritrovare la memoria, ma la cosa è di estrema importanza per i servizi di informazione siriani e americani, i quali sono coinvolti nella vicenda e premono per conoscere l’accaduto. Nella prima delle tre parti in cui è suddiviso il romanzo, il protagonista è aiutato a ricordare da Ḥassān, suo migliore amico e agente dei servizi segreti siriani, il quale gli era stato vicino per tutto il tempo. Insieme ripercorrono il passato condiviso di studio e fervore politico, a cui aveva fatto seguito, nei rovinosi anni Sessanta, la disillusione, che avrebbe portato i due a prendere strade diverse: Ḥassān sarebbe diventato membro dell’intelligence, mentre l’eroe del romanzo si sarebbe dedicato allo studio dei movimenti islamici. Successivamente verranno ricostruiti gli eventi che avevano portato il protagonista sul punto di essere ucciso. Saputo dallo stesso Ḥassān che il figlio Sāmir, ritenuto dai servizi siriani membro di spicco di al-Qāʻidah, era prossimo ad unirsi alla resistenza islamica in Iraq, lo studioso si era recato lì nel tentativo di trovarlo e riportarlo a casa. Ad aiutarlo era stato un ufficiale americano, Miller, che gli aveva offerto appoggio e la salvezza del figlio in cambio di informazioni sui terroristi.

Nella seconda parte, il protagonista continua a ricordare, rileggendo le scarne e-mail che aveva inviato da Baghdad alla sua compagna, Sanāʼ. In Iraq, mentre cercava un modo per entrare in contatto con suo figlio, aveva stretto importanti amicizie con gli ufficiali americani, Miller e Jonathan, e con Fāḍil, la sua “guida” irachena. Inoltre, questo “confino” nella zona di sicurezza di Baghdad, aveva dato allo studioso la possibilità di fare esperienza diretta dell’orrore insensato della guerra. Questa parte centrale del romanzo si conclude sulla scena di quando egli, sul punto di aver trovato un modo per entrare in contatto con suo figlio, era stato rapito da un gruppo di miliziani che lo aveva portato fuori della Green Zone. Parallelamente, in queste pagine, l’uomo ricostruisce, dopo che l’amnesia ne aveva cancellato ogni traccia emotiva, il proprio legame con Sanāʼ.

Nella terza parte, il protagonista ricorda l’incontro con il figlio. Questi, infatti, saputo del rapimento del padre, era intervenuto per salvarlo, e lo aveva condotto al suo quartier generale, nel celebre triangolo sunnita. Il padre aveva finalmente trovato, così, la possibilità di convincere Sāmir a lasciare tutto. Purtroppo, ogni suo tentativo era fallito: il ragazzo era ormai inamovibile, diventato uno spietato assassino. I due sarebbero stati successivamente separati da un raid americano: mentre sulla base di ribelli piovevano colpi di artiglieria pesante, in quegli attimi confusi e concitati, il protagonista raggiungeva, da solo, i soldati statunitensi. Ma questo è un ricordo frammentario e incompleto. Infatti, sarebbe stato nell’ospedale militare americano a Baghdad che lo studioso, ferito e terribilmente turbato dall’idea di non essere stato in grado di salvare il figlio, avrebbe deciso di perdere la memoria, di mandarla in tilt. Il finale avrà, però, il compito di ricostruire anche gli ultimi confusi momenti della complicata vicenda, gettando finalmente luce sull’incertezza e chiudendo il cerchio.

Al di là di un plot estremamente avvincente e articolato, come si è potuto evincere, vanno colti gli aspetti contenutistici, strutturali e stilistici del romanzo. Ğunūd Allāh  si caratterizza per una forte impronta realistica. L’ambientazione temporale e geografica è delineata con estrema precisione. Anche se non vengono fatte date precise, si intuisce facilmente che il periodo di riferimento sono i mesi che seguirono la cattura di Saddām. La spietata realtà della guerra irachena è descritta vividamente attraverso un ampio uso di dettagli e descrizioni: dagli ospedali e obitori di Baghdad, zeppi di feriti e cadaveri, alla minaccia incombente degli ʻallās (neologismo che indica le milizie specializzate in rapimenti); dai numerosi resoconti sulle svariate forme di crudeltà a cui tutte le parti in lotta si erano abbandonate, alle scene di vita e morte nel quartier generale di al-Qāʻidah. A tanto nitido realismo fa eco la profondità psicologica dei numerosi personaggi secondari, colti nel loro dibattersi interiore davanti ad una realtà che sfida e mette in crisi ideali politici e morali: dalla disillusione di Miller e Fāḍil, ai muğāhidūn pronti al martirio. Non esiste più un’unica verità. A fare da struttura portante al romanzo è la coscienza/memoria del narratore (che è l’unico personaggio a non avere un nome), il suo tentennare tra il dolore e la necessità di ricordare fa da contrappunto psicologico al corso degli eventi. Le forti eco emotive della sua memoria conferiscono poi ulteriori dimensioni al testo, che travalicano i confini “storiografici” della narrazione; lo si nota nell’evoluzione dell’amicizia con Ḥassān e con Miller, o quando il protagonista ritrova, accresciuto e rivivificato, il suo amore per Sanāʼ, oppure quando scopre che suo figlio, oltre ad essere semplicemente cresciuto, è un altro, è diventato un mostro.

Inoltre, è molto ben congegnato l’articolarsi dei diversi livelli narrativi e temporali. Lo sforzo mnemonico del protagonista riconduce sullo stesso piano, quello di un presente narrativo, diverse dimensioni cronologiche, accrescendo la tensione e la scorrevolezza di un testo particolarmente complesso. Probabilmente, purtroppo, la grande profondità psicologica di troppi personaggi colti nelle loro storie secondarie rischia di appesantire eccessivamente il romanzo. La voce narrante, per tenere insieme i pezzi di una storia così densa e articolata, rischia a volte di cadere, giocoforza, nello stereotipo dell’uomo duro, disperato e disposto a tutto. A ciò viene in soccorso, però, uno stile scarno e asciutto, a tratti nervoso, che ben riflette la velocità con cui gli eventi si susseguono, contribuendo a creare ritmo e senso di attesa in una narrazione sulla quale incombe, fin dalle prime battute, l’ombra di un tragico epilogo che sarà dissipata solo dalle ultime pagine.

Un indubbio pregio di Ğunūd Allāh  è quello di affrontare un argomento difficile, ancora “scottante”, ovvero la guerra in Iraq del 2003, e lo fa secondo una traiettoria di incertezza e dolore, attraverso la quale la coscienza di un letterato non è in grado di sopportare né di gestire la realtà. Tale incapacità è resa ancora più pungente dal contrasto con il passato: la scelta del protagonista, in seguito alla disillusione sopraggiunta negli anni ’60, di abbandonare la lotta politica per un presente tranquillo, a cui fa da contraltare quella dell’amico di entrare nei servizi segreti, sembra indicare chiaramente dove vadano cercate le cause del fallimento delle grandi ideologie e delle divisioni che lacerano il mondo arabo. Inoltre, l’isolamento in cui vive l’intellighenzia araba trova conferma dal fatto che il protagonista scende dalla sua “torre d’avorio” per confrontarsi con la realtà solo quando è spinto da una questione personale. Dall’altro lato, il proliferare di punti di vista differenti mai dati come stabili e cristallizzati accresce l’incertezza del quadro ideologico. I “nemici” non sono più monolitici: i militari statunitensi guadagnano una significativa profondità umana, anche loro hanno degli ideali che la realtà circostante, fatta di morte, crudeltà e ingiustizia, sta mettendo a dura prova (Miller arriverà al suicidio). Similmente, la figura del muğāhid ha più di una sfaccettatura, non sempre piacevole, ma comunque umana. Queste sfumature sono colte sia nel contrasto tra Sāmir-figlio e Sāmir-assassino, che nelle motivazioni che animano i vari personaggi di contorno nel campo di al-Qā‘idah. Il fallimento del padre nel riportare il figlio con sé, non impedisce che la conclusione resti aperta: il protagonista decide di ricordare tutto, il che equivale alla vita.

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Alessandro Buontempo |