Ebrei e musulmani nello Yemen: storia di una convivenza: ‘Alī al-Muqrī, al-Yahūdī al-ḥālī (Il Bell’ebreo), Dār al-Sāqī, Bayrūt 2009, pp. 149.

La fiorente comunità ebraica dello Yemen scomparve nel 1949 in pochissimo tempo, quando lo stato ebraico, con la famosa operazione denominata “Sulle ali dell’aquila”, portò a termine con grande successo l’esodo verso Israele di migliaia e migliaia di ebrei provenienti da tutto il mondo arabo. Questo intervento militare faceva parte della più vasta operazione “Tappeto volante”, con la quale  migliaia di arabi di religione  ebraica andarono a popolare Israele e a popolare il progetto sionista, voluto dai padri fondatori.

Lo sradicamento della comunità ebraica sicuramente portò a conseguenze disastrose per lo Yemen, perché in poco tempo sparì dal paese quel substrato culturale che era stato storicamente, per oltre duemila anni, parte integrante di tutta la popolazione yemenita.

Secondo una leggenda biblica, gli ebrei dello Yemen sarebbero stati maledetti da Ezra quando si sarebbero rifiutati di rientrare nella terra d’Israele dopo l’esilio di Babilonia, e per questo, in varie occasioni, avrebbero patito enormi sofferenze.

Oggi un giovane scrittore yemenita, ‘Alī al-Muqrī (1966), ripropone la storia degli ebrei dello Yemen in una recente opera di narrativa, al-Yahūdī al-ḥālī (Il Bell’ebreo) che, per le tematiche affrontate, ha suscitato grande scalpore nel mondo arabo. L’autore, che per quindici anni ha compiuto ricerche sulla storia degli ebrei nel suo paese, ricorda come nello Yemen, prima del cristianesimo e dell’islam, il giudaismo fosse la religione ufficiale e che due re himyariti, di fede ebraica, governarono il paese, As‘ad al-Kāmil (385-420) e Yūsuf Ḏū Nuwās. Quest’ultimo, al potere dal 517 al 525, è anche considerato un mitico eroe nazionale.

Il romanzo, ambientato nel XVII secolo, racconta la storia d’amore tra un giovane ebreo, Sālim, e una ragazza musulmana, Fāṭimah. Già dall’esordio, si intuisce come questa storia di Romeo e Giulietta del Medio-Evo yemenita, apparentemente semplice, sia solo un escamotage  letterario di cui si serve lo scrittore per parlare, invece, di problemi ben più profondi ed attuali.

Ma veniamo alla storia: Sālim, ha solo dodici anni, quando incontra la saggia e colta Fāṭimah, dal carattere forte e determinato. Il ragazzo, timido e sprovveduto, proviene da una famiglia molto modesta di artigiani che fa sporadici lavori presso la casa del mufti del villaggio, mentre Fāṭimah, che è  la figlia del mufti, proviene da un ambiente più altolocato. Ben presto la ragazza decide di insegnare al suo “bell’ebreo”, come ama chiamare affettuosamente il suo compagno, a leggere e a scrivere. Questi incontri, inizialmente innocenti pretesti con il fine dell’istruzione, destano non pochi sospetti e un certo sconcerto nelle reciproche famiglie e nella società dell’epoca. Può una musulmana insegnare a leggere a un ebreo, e cosa gli insegna, testi sacri della religione islamica? Questa ipotesi perniciosa spinge la famiglia del ragazzo a cercare un’educazione alternativa per il loro figlio e così decidono di mandarlo da un rabbino del quartiere per istruirlo secondo i dettami della religione ebraica. Fino a questo punto della storia, l’incontro con «l’altro» avrebbe portato solo a risvolti positivi, dal momento che «lo studio a casa del mufti ebbe una forte influenza sugli ebrei e sull’educazione dei loro figli che iniziarono ad andare numerosi a casa del rabbino, fino al punto che la piazza antistante non bastava a contenerli tutti.»

La cosa più sorprendente in questa storia raccontata da al-Muqrī, è che in seguito sarà Fāṭimah a voler imparare a leggere e scrivere la lingua ebraica e a voler leggere i testi sacri di quella cultura, dal momento che: «Tutti noi discendiamo da Adamo ed egli discende dal Signore. Nella lingua non c’è solo la religione, ma ci sono la storia, la poesia, la scienza. E, in nome di Dio, vi dirò ancora che in casa nostra ci sono molti libri. Se i musulmani li leggessero, apprezzerebbero gli ebrei, e se li leggessero gli ebrei, apprezzerebbero i musulmani.» La decisione della ragazza di imparare non solo la lingua ebraica, ma anche di leggere la Torah, non può che accrescere le preoccupazioni della famiglia del mufti che nutre serie apprensioni per questa fanciulla non docile e intraprendente, dall’eloquenza così persuasiva. E qui la storia potrebbe essere addirittura banale, se non fosse per l’amore che sboccia tra i due giovani, malgrado divergenze religiose e sociali e una sostanziale differenza d’età, almeno per quell’epoca. Fāṭimah, infatti, viene descritta già come una ragazza matura che sfida le due comunità conservatrici ed estremamente tradizionaliste, mentre il «Bell’ebreo», è solo un bambino.

Nel villaggio ben presto si scatenano violente dispute tra gli ebrei e i musulmani a suon di versetti biblici e coranici, nei quali controversie tribali si alternano a rivendicazioni sulla città di Gerusalemme, sacra per le due religioni. E qui ogni riferimento alla nostra attualità è ben manifesta. “So bene quali sono gli antichi sogni degli ebrei sulla città di Gerusalemme – ha dichiarato un anno fa l’autore in un’intervista al “Yemen Times–  sono sogni che appartengono alla sfera religiosa. Dopo l’avvento dell’islam i musulmani ebbero gli stessi sogni su Gerusalemme. E dunque questo sogno comune potrebbe essere proprio la radice storica e culturale dell’attuale conflitto. Così ho continuato a studiare la storia ebraica sotto tutti i punti di vista e ho anche ricercato le origini della musica yemenita ebraica che a volte si innesta con le tradizioni musicali islamiche come inni e preghiere.”

Ritornando al romanzo, le tensioni tra la comunità ebraica e islamica di questo piccolo villaggio tra le montagne yemenite inevitabilmente si riflettono anche sulla frequentazione dei due giovani protagonisti che sono costretti a incontrarsi di nascosto, fino a quando decidono di risolvere i loro problemi con la fuga da quel mondo ancora troppo ancorato ad antichi pregiudizi e a continuare così la loro difficile vita. Essi concepiranno un figlio, frutto dell’amore, ma condannato a vivere anch’egli tra convergenze e divergenze delle due comunità. Da questo iniziale intreccio passionale e culturale sgorgheranno altre storie umane di incontri ma anche di soprusi e intolleranza reciproca, abilmente raccontate da al-Muqrī.

Il lettore si trova così al centro di un dibattito tra queste due culture secolari che si riscoprono molto più simili di quanto ci si possa immaginare – e questo sembra lo scopo recondito dello scrittore – malgrado l’uomo nel corso della storia abbia fatto di tutto per dividere piuttosto che per unire radici provenienti da uno stesso ceppo. Questo sembra essere il messaggio dello scrittore che attraverso i suoi personaggi lancia un chiaro appello agli abitanti del Medio Oriente: se ognuno ascoltasse, invece di giudicare e di infierire, conoscerebbe meglio “l’altro”, diverso o nemico che sia.

La particolare attenzione verso il tema del diverso, era già stato affrontato da al-Muqrī in un altro romanzo, Ṭa‘m aswad, rā’iḥah sawdā’ (Sapore nero, odore nero), pubblicato a Beirut nel 2008, in cui lo scrittore, uno tra i più affermati romanzieri yemeniti, aveva affrontato il tema della discriminazione di cui sono vittime gli Aḫdām, la popolazione nera dello Yemen, emarginata per il colore della pelle, e costretta a vivere ai margini della società. Anche in questo caso l’amore tra un uomo yemenita bianco e una donna appartenente agli Aḫdām, avevano offerto allo scrittore il pretesto per denunciare l’incresciosa situazione di questi paria che ancora oggi sono un vero e proprio problema per la società yemenita, al punto che il solo parlarne sfida ancestrali tabù.

Considerato il quadro generale che in Italia solitamente ci viene fornito di un paese lontano come lo Yemen, di cui si sente parlare solo in occasione di episodi terroristici o altri eventi negativi, catastrofi naturali o provocate dall’uomo, o sconvolgimenti politici come quelli a cui assistiamo in questi giorni, appare senza dubbio meritoria l’opera di al-Muqrī che a modo suo cerca di far conoscere il suo paese anche all’estero dove i suoi libri saranno tradotti.

Si può, infatti, meglio conoscere questo paese anche attraverso la sua produzione letteraria, e i romanzi di questo scrittore, oltre ad aprire significative brecce di dialogo tra culture e mondi diversi, sono anche molto quotati dalla critica letteraria.

Isabella Camera d’Afflitto

[1] Si veda il recente libro di Farian Sabahi, Storia dello Yemen, Bruno Mondadori, Roma, 2010, pp. 30-32.

[2] ‘Alī al-Muqrī, al-Yahūdī al-ḥālī, Dār al-Sāqī, Beirut 2009, p. 17.

[3] Ivi, p. 17.

[4] Cfr. Novelist Ali al Muqri to the Yemeni Times: “Writing is a deep Excavation into Human Suffering.”, http://www.yementimes.com/defaultdet.aspx?SUB_ID=33641

[5] Il Bell’ebreo, selezionato nella “long list” dei sedici finalisti del prestigioso premio internazionale, noto come Arab Booker Prize (IPAF – International Prize for Arabic Fiction) nell’edizione  2010-2011, sarà presto tradotto e pubblicato anche in Italia.

[6] Questo è stato lo scopo di una recente pubblicazione da me curata, Lo Yemen raccontato dalle scrittrici e dagli scrittori, Editrice Orientalia, Roma, 2010.

[7] Cfr. I. Camera d’Afflitto, La narrativa yemenita tra rivendicazioni politico-sociali e avanguardia letteraria, Ivi, pp. 8-22.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 1, giugno 2011

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