Carmine Cartolano, Maṣriyyānū. Yawmiyyāt muṣawwir īṭālī (Masriyyano. Appunti di un fotografo italiano), Dār al-‘ayn, al-iskandariyyah 2012, pp. 145.

L’esordio narrativo di Carmine Cartolano, laureato in lingua e letteratura araba al già Istituto Universitario Orientale di Napoli, traduttore, artista poliedrico e docente di lingua italiana all’università di Helwan e all’Istituto Italiano di cultura del Cairo, ove risiede dal 1999, è stato un vero e proprio “caso letterario” in Egitto nel 2012.

Il testo, fin dal titolo (Masriyyano è dato dalla fusione di maṣrī e italiano, quindi «egizianoitaliano») e dalla copertina raffigurante un dromedario fucsia che mangia un piatto di spaghetti, è tanto chiaro nella sincerità dell’intento dell’autore quanto sfuggente ad una precisa – e limitante – categorizzazione letteraria. Diario, libro di appunti o inchiesta quasi sociologica su cosa significhi essere uno straniero arabofono (ḫawāğah) nell’Egitto d’oggi?

Masriyyano è tutto questo e forse nessuna di queste cose in maniera definitiva. I ventiquattro episodi, quasi sempre in forma di dialogo tra l’autore e uno o più interlocutori, che compongono il libro, più che delineare un affresco compiuto delle relazioni tra egiziani e ḫawāǧāt, sono delle “istantanee”, che fermano un attimo, una situazione di vita vissuta, irripetibile, e tuttavia comune a tutti coloro che continuano ad avventurarsi nelle strade di Umm al-Dunyā.

Pubblicato in occasione della Fiera Internazionale del Libro del Cairo nel febbraio 2012, il testo di Cartolano, scritto per lo più all’immediata vigilia della Rivoluzione di gennaio 2011, è uscito in un momento molto delicato per l’Egitto che vedeva una grossa tensione nelle relazioni tra egiziani e stranieri, specialmente occidentali. Difatti, facendo propria la retorica sciovinista e “complottista” adoperata dal presidente Mubarak nei giorni della rivolta di Piazza Tahrir (Maydān al-Taḥrīr) nel 2011, il Consiglio Supremo delle Forze Armate, detentore del potere nel Paese dal febbraio 2011 al luglio 2012, aveva lanciato una campagna contro l’interferenza straniera negli affari egiziani, e i media asserviti al regime avevano ripreso toni xenofobi e ipernazionalisti, diffondendo l’immagine degli stranieri in Egitto come potenziali spie da evitare, o denunciare alle autorità per salvaguardare la sicurezza del Paese. In questo clima di “xenofobia a buon mercato”, il successo di un libro scritto da uno straniero in vernacolo arabo egiziano (al-‘āmmiyyah) e rivolto principalmente a lettori egiziani era tutt’altro che sicuro. Invece, Masriyyano ha attratto non solo fin dall’inizio numerose recensioni positive, ma soprattutto ha cominciato a circolare tra le mani dei lettori egiziani, ben al di fuori delle anguste mura dell’intelligencija cairota. Il successo, a giudicare dalle vendite e dall’attenzione mediatica ricevuta dall’autore, è insito nella natura stessa del testo e nelle intenzioni di Cartolano. Masriyyano è un libro divertente, che sfugge a definizioni troppo strette, e che parla all’egiziano “medio”. Difatti, lungi dall’avere prodotto un semplice catalogo di situazioni in cui uno straniero può trovarsi nella tentacolare megalopoli egiziana, Cartolano ha ricostruito, adottando alla perfezione il celebre humour e il sarcasmo proprio degli egiziani, delle “scene”, talvolta esilaranti, in cui non solo il ḫawāğah, ma ogni abitante di una delle grandi città d’Egitto, si è già trovato, o può immaginare di trovarsi. Si potrebbe affermare che le istantanee scattate dal “fotografo italiano” si trasformino spesso in uno specchio in cui ogni lettore può riconoscersi, e sorridere o riflettere. Il successo di Masriyyano, nonostante il clima teso di cui si diceva poc’anzi, probabilmente sta proprio nell’avere offerto al lettore egiziano, ma anche arabofono in generale, visti i consensi riscossi dall’Algeria al regno saudita, la fotografia, imprecisa, imperfetta, fuori-fuoco, della società in cui vive, in un periodo di drammatici cambiamenti non solo politici. E, ci sia permesso di aggiungere, nell’averlo fatto con grande humour, modestia e amore per il Paese del Nilo.

Un’altra ragione del successo del testo qui presentato è indubbiamente il fatto che per la prima volta, salvo verifiche in senso contrario, un autore europeo scrive un testo letterario direttamente in arabo dialettale, e pertanto diretto ad un pubblico potenzialmente amplissimo. Da questo punto di vista, Masriyyano può a buon diritto essere inserito nella cosiddetta letteratura postcoloniale, sia pure in posizione molto speciale, giacché il suddetto filone è composto da autori provenienti dal Terzo Mondo che scrivono in lingue europee, e non certo il contrario. Tra l’altro, l’Italia è arrivata in ritardo in questa corrente letteraria, giacché solo in anni recentissimi si stanno affermando autori di origine afro-asiatica, tra cui alcuni arabofoni. E se la presenza di autori “stranieri” nel corpus letterario dei Paesi europei è da salutare come un benefico antidoto al razzismo e ad una concezione di “letteratura nazionale” oramai superata, il testo di Cartolano non può che proporsi anch’esso come un ponte ideale e, ancor di più, come un tentativo di ibridazione, in cui i confini dei due elementi costitutivi non siano più riconoscibili. In tal senso, il titolo Masriyyano è la più evidente testimonianza di questa possibilità culturale, civile e letteraria ad un tempo.

In tempi di presunti scontri di civiltà, di arroccamento su identità considerate statiche e monolitiche, di fondamentalismo religioso, l’opera di Carmine Cartolano non può che essere salutata come un importante e necessario passo nel tentativo di offrire un’alternativa  basata sull’incontro, lo scambio e la fruttuosa e reciproca compenetrazione tra culture, lingue e società, solo apparentemente distanti.

Gennaro Gervasio

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno II, numero 4, dicembre 2012

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