Angela Daiana Langone. Molière et le théâtre arabe. Réception moliéresque et identités nationales arabes, De Gruyter, Berlin/Boston 2016, pp. 332.

in La rivista di Arablit, a. VI, n. 11, giugno 2016, pp. 95-100.

Per poter comprendere le dinamiche alla base del fenomeno identitario arabo è importante riandare a periodi cruciali quali la rinascita otto-novecentesca e la formazione degli Stati nazionali, con le innumerevoli complessità degli anni del post-colonialismo e l’emergere con sempre maggiore evidenza di un certo fondamentalismo religioso. È necessario ripercorrere i secoli che ci separano dagli anni in cui aveva inizio e prendeva consistenza un risveglio arabo in maniera pienamente percepibile e analizzare ancora il ruolo svolto dai membri delle diverse componenti sociali, l’apporto da ciascuno di loro offerto, nonché esaminare le possibilità e i modi di interazione e integrazione avutisi nel corso del tempo, a livello istituzionale, pubblico e privato. Fondamentale è, parimenti, studiare gli eventi successivi, quelli dell’era post-coloniale, e cercare di approfondire nella maniera più adeguata e imparziale lungo quali direttrici si siano mossi gli Stati nazionali per conseguire una solidità interna ed estera, nel costruire rapporti stabili e paritari con gli altri Stati nazionali, arabi e non. Del resto, si potrebbe dire che l’interrogarsi su tutti questi aspetti adesso rappresenti un imperativo, perché, nuovamente, la dicotomia tra Oriente arabo-islamico e Occidente è drammatica, come purtroppo testimonia la quotidianità, e le sollecitazioni che da questa quotidianità provengono inducono appunto a riflettere su molte questioni rilevanti. Ad esempio, sull’imprescindibile relazione tra lingua e identità, un nodo centrale nella realtà araba, relazione che non è mai indagata abbastanza. Nel contempo, è determinante riesaminare il rapporto – lo si accennava più sopra – tra i gruppi sociali, etnici e religiosi, i quali non possono non relazionarsi l’un con l’altro e devono, perciò, andare alla ricerca del modo migliore per poter convivere in serenità, tenendo presente che la consapevolezza  del gruppo è tanto più forte quanto più chiara e salda è la consapevolezza del singolo elemento che quel gruppo concorre a costituire. Importante è valutare, inoltre, quanto il processo che caratterizza l’evoluzione del concetto di identità sia legato alle componenti culturali e in quale modo, problematica che è stata posta in evidenza e approfondita dall’antropologo statunitense Clifford Geertz, il quale tanto ha studiato la cultura islamica e le sue declinazioni con una speciale enfasi sull’Indonesia e il Marocco. Infine, precipuo è analizzare l’interazione tra le forme artistiche e lo spazio in cui le rappresentazioni hanno luogo, fattori di grande valenza politica. La (ri)scoperta del luogo/spazio pubblico, così evidente dal 2010, rimanda ad altri momenti della storia araba, quando pure l’appropriarsi dello spazio pubblico e la concomitante scoperta di nuove forme di dialogo e riflessione socio-politica segnarono l’inizio di un percorso identitario. Questo discorso attiene specificamente alla rappresentazione drammatica che dal 1847, ossia l’anno della nascita del teatro arabo moderno, acquista un’importanza cruciale quale strumento privilegiato per veicolare e discutere precipui messaggi di carattere socio-politico.
Della complessa questione del legame esistente tra il genere teatrale nel mondo arabo e il processo identitario, analizzata nelle sue varie sfaccettature, si occupa Angela Daiana Langone nel recente e pregevole volume Molière et le théâtre arabe. Réception moliéresque et identités nationales arabes. È un libro che si colloca all’interno di un filone di ricerca che continua ad attrarre l’interesse degli studiosi, sicuramente attenti anche alle conseguenze delle recenti rivolte. Tra tali conseguenze, innegabilmente sono riemerse sempre più pressanti domande sulla propria identità nel mondo arabo e islamico, e quindi sulla nascita e lo sviluppo dell’idea di nazione. È assai lodevole l’attenzione crescente dimostrata dagli studiosi di lingua e letteratura araba, e non solo dagli storici o dai politici, per la questione identitaria e per le dinamiche che hanno scandito il percorso di formazione degli  Stati nazionali che compongono il variegato universo arabo, quando essi si sottrassero al secolare dominio della Sublime Porta e al più o meno lungo, a seconda dei casi, dominio coloniale.
Il libro qui recensito si pone sulla scia degli studi di George Antonius, Albert Hourani e di Hisham Sharabi, per citare solo alcuni dei critici che hanno contribuito a cogliere, e a far cogliere, al pubblico il significato più vero di quanto si è verificato nel mondo arabo fin dal formarsi dell’idea di identità nazionale. Non viene, poi, tralasciato Yasir Suleiman, il quale è riuscito a mettere sagacemente in correlazione gli aspetti identitari e quelli linguistici da varie prospettive. Alcuni dei suoi volumi rientrano infatti giustamente nella bibliografia, molto ampia, che correda Molière et le théâtre arabe. Réception moliéresque et identités nationales arabes, anche se sarebbe stato magari utile prendere in considerazione altresì le suggestioni presenti in altri testi di Suleiman, ossia Arabic, Self and Identity: A Study in Conflict and Displacement (2011) e Arabic in the Fray. Language Ideology and Cultural Politics (2013). Nel contempo, laddove l’Autrice offre un’attenta disamina del fenomeno teatrale moderno, evidenziando gli aspetti di continuità e di discontinuità con la tradizione, sarebbe stato probabilmente opportuno richiamare alcuni testi critici e traduzioni di opere antiche, come quelli firmati da Francesca Maria Corrao, pubblicati in Italia e non solo nei decenni scorsi, edizioni che hanno rappresentato un momento importante nella divulgazione del genere mimetico o para-mimetico arabo-islamico dei secoli passati.
Queste mancanze non inficiano tuttavia la portata del lavoro, ricco di spunti di riflessione sia in ambito culturale sia in quello letterario e, ancora, squisitamente  linguistico, traduttologico e socio-linguistico, con un’enfasi sulla dimensione “dialettale” e le sue molteplici valenze all’interno di un ampio e articolato discorso di carattere socio-politico, umanitario e di tolleranza rivolto all’esterno e all’interno di una stessa società. L’attenzione per l’aspetto linguistico e anche traduttologico si concretizza, poi, oltre che all’interno della trattazione offerta nei singoli capitoli, ciascuno dedicato a un autore e a un’opera differenti, nelle Appendici, in cui viene proposta, per la prima volta in francese, la traduzione completa di tre dei drammi esaminati: al-Baḫīl (L’avaro, 1847) del siro-libanese Mārūn al-Naqqāš; Mūlyīr Miṣr wa mā yuqāsīhi (Il Molière d’Egitto e le sue sofferenze, 1912) dell’egiziano Ya‘qūb b. Rufā’īl Ṣannū‘, al-Mārīsāl (Il maresciallo, 1967) del tunisimo Noureddine Kasbaoui (Nūr al-Dīn al-Qaṣbāwī). Di assoluto rilievo è, quindi, la traduzione dei testi introduttivi ai lavori teatrali di Mārūn     al-Naqqāš contenuti in Arzat Lubnān (I cedri del Libano, 1869) del fratello Niqūlā il quale propone la biografia, l’opera e le concezioni sul genere drammatico, le sue finalità e mezzi, espresse dal “padre” del teatro arabo moderno. Molto importanti sono infatti il discorso di Mārūn al-Naqqāš sul teatro stesso e la sua valenza socio-politica, fattore, questo, che a suo tempo aveva profondamente colpito l’arabista italiano Lupo Buonazia, suo primo estimatore e analista in Europa, sembra, che negli anni iniziali della nostra unità ne aveva sondato l’attività cogliendone i tratti salienti, che egli riscontrava esattamente nella prospettiva nazionalistica e pedagogica[1].
Per quanto attiene al quarto dramma preso in considerazione, Molière, ou «Pour l’amour de l’humanité» (1994), di Taïeb Saddiki   (al-Ṭayyib al-Ṣiddīqī), esso rappresenta un unicum perché ideato in francese, idioma che in questo contesto non è la lingua del conquistatore, bensì la lingua della tolleranza e, insieme, della rivolta contro il fenomeno dell’estremismo in ogni sua forma che, in campo linguistico, ad esempio, aveva portato all’affermarsi dell’unilinguismo algerino, all’arabizzazione in ogni aspetto della vita quale strumento identitario. Pertanto, qui, il riferimento a Molière e ad alcuni suoi drammi ha l’intento di lasciarne risaltare ancora una volta, soprattutto per mezzo dell’idioma utilizzato, la sua apertura totale al mondo, contro ogni ipocrisia, uno dei tratti più affascinanti dell’autore d’Oltralpe. Molière, ou «Pour l’amour de l’humanité» è dedicato allo scrittore algerino Abdelkader Alloula (‘Abd al-Qādir ‘Allūlah), ucciso nel 1994 dagli estremisti islamici.
In questo libro, dunque, Angela Daiana Langone analizza le origini e lo sviluppo del concetto di identità nel mondo arabo sullo sfondo della nascita del teatro moderno e della importanza che la figura di Molière vi riveste, fin dall’esperimento compiuto dal siro-libanese Mārūn  al-Naqqāš che, come ben si sa, negli anni ’40 del XIX secolo trovò nel teatro italiano e francese la fonte d’ispirazione per modalità di rappresentazione sconosciute alla tradizione arabo-islamica. Il fulcro della ricerca ruota intorno a una ben precisa domanda: perché e attraverso quali esatte modalità i “padri” del teatro moderno in generale e in determinati paesi si sono rivolti a Molière e al suo universo per porre le basi di una forma teatrale nuova o per svilupparla in maniera significativa e impensata prima, a seconda del momento storico in cui ciascuno di essi ha adattato e plasmato la figura e l’opera del Francese per le genti arabe (cosa che ha condotto ognuno di loro a produrre drammi “problematici” grazie ai quali dialogare con il proprio pubblico e indurlo a riflettere su questioni cruciali per il popolo e l’identità nazionale)? Le ragioni sono la duttilità e ricchezza di temi, motivi, tipi, messaggi del teatro di Molière: la poliedricità e versatilità che lo caratterizzano si sono prestate perfettamente all’operazione di negoziazione condotta dai drammaturghi arabi. Come ha scritto la studiosa: «Le souci majeur de notre recherche est de souligner l’importance du processus de la négociation, ce qui implique le rôle jamais passif du dramaturge arabe dans la choix, l’interprétation et la réapropriation d’un hypotexte» [p. 198].
Nella sua trattazione, Langone si basa, da una parte, sulle teorie di Genette e Nida elaborandone una personale sintesi; dall’altra, sulla periodizzazione del nazionalismo arabo formulata da Clifford Geertz. La griglia di riferimento così costruita fa da cornice tanto allo studio di quattro realtà prenazionali e nazionali, che corrispondono ad altrettante tappe nella formazione della attività teatrale araba in genere o specifica di quelle determinate realtà, quanto a un approfondimento dell’universo di Molière. Seguendo, perciò, la nota schematizzazione di Clifford Geertz – che viene opportunamente richiamata e sintetizzata nella parte introduttiva, laddove in maniera molto chiara è illustrato il piano della ricerca –, l’autrice conduce un viaggio affascinante che inizia nel 1847 e termina nel 1994, gli anni de al-Baḫīl e di Molière, ou «Pour l’amour de l’humanité». Nel corso di questo viaggio, il lettore si ritrova catapultato: nella regione siro-libanese, e, nello specifico, il futuro Stato nazionale del Libano, allorché cominciava a emergere la presa di coscienza identitaria a livello di comunità, l’urgenza di “uscire dalla stagnazione” e di importare nell’Oriente arabo il genere teatrale così come diffuso in Occidente, un validissimo strumento di confronto e riflessione politica; nell’Egitto del Protettorato britannico, al momento del cristallizzarsi dell’ideale nazionale, il che comportava la necessità di liberarsi dall’oppressore; nella Tunisia degli anni Sessanta, periodo coincidente con l’esigenza della comunità nazionale di affermare con certezza la propria identità, una volta acquistata l’indipendenza; nel Marocco degli anni Novanta, complessi e ricchi di contraddizioni, quando il paese ricercava l’affermazione tramite l’instaurazione di una politica estera e interna stabile, e necessitava di un alto grado di tolleranza, soprattutto, date le istanze estremistiche che minacciavano di distruggere nel Maghreb intero la sua pluralità tanto caratteristica.
Grazie al ricorso al quadro teorico culturale testé menzionato, risultato di un acuto utilizzo delle teorie di Geertz, Genette e Nida, Angela Daiana Langone è riuscita, nell’opinione di chi scrive, a creare, con Molière et le théâtre arabe. Réception moliéresque et identités nationales arabes, un testo significativo che è insieme di divulgazione e articolata, acuta analisi critica. Inoltre, la scansione imposta alle sezioni che compongono i capitoli, scansione che si ripete pressoché identica di volta in volta, viene in aiuto dello studioso: in questo caso, infatti, la ripetizione svolge pienamente la sua funzione pedagogica. In tal senso, il volume si rivela sicuramente un valido aiuto per coloro che lo leggono a entrare nel cuore delle opere dibattute, guidandoli per mano nei meandri della mente e del cuore dei discepoli ed emulatori arabi di Molière, e dello stesso autore francese.
Un augurio, infine, e un invito: che le opere qui analizzate possano un giorno vedere la luce in italiano. Questo sarebbe un ulteriore prezioso tassello alla conoscenza dell’arte mimetica nel mondo arabo.

Paola Viviani


[1]  L. Buonazia, Gli scritti drammatici di Marun Naqqas per Lupo Buonazia, testo manoscritto conservato presso la Biblioteca Maurizio Taddei dell’Università degli Studi “L’Orientale”.

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno VI, Numero 11, giugno 2016

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L’Autore

Paola Viviani | Assistant Professor in Arabic Language and Literature at Seconda Università di Napoli, Dipartimento di Scienze Politiche “Jean Monnet”.