Amīr Tāğ al-Sīr, Ṣāʼid al-yarqāt (Il cacciatore di larve), Ṯaqāfah li ’l-Našr, Bayrūt 2010, pp. 152.

Ṣāʼid al yarqāt (Il cacciatore di larve) di Amīr Tāğ al-Sīr è un poliziesco solo pretestualmente, nonostante il personaggio principale di questo romanzo possa indurre in errore. Esso è, in realtà, una satira agrodolce sul mondo degli intellettuali e sugli stati di polizia: racconta il fallito tentativo di diventare scrittore compiuto da un ex agente delle forze di sicurezza. L’autore, nato nel 1960, è considerato il più promettente tra gli scrittori sudanesi. Poeta fin dagli anni Ottanta, il suo primo romanzo, Karmākūl, ha visto la pubblicazione nel 1997; ma lo scrittore comincerà a farsi conoscere nel 2002 con Mahr al-Ṣiyāh (Grida in dote), che offre uno spaccato, in tutta la sua complessità culturale e sociale, della storia sudanese del XVIII secolo. Il suo al-ʻIṭr al-Faransī del 2009 è stato tradotto in francese, con il titolo di Le parfum français.

Il protagonista de Ṣāʼid al yarqāt, è ʻAbdallāh Ḥarfaš, detto ʻAbdallāh Farfār: un ex agente delle forze di sicurezza, costretto alla pensione da un incidente di servizio in cui ha perso un piede. Questi, dopo aver letto storie su poveri ed emarginati diventati scrittori di successo, si risolve a cimentarsi anch’egli nella scrittura, ma, completamente digiuno di “belle lettere”, non sa da dove cominciare. Decide quindi di infiltrarsi nuovamente tra gli intellettuali che aveva pedinato per anni,  questa volta allo scopo di imparare i segreti del mestiere: il suo obiettivo è frequentare A. T., un famoso scrittore. Poco comprende delle altisonanti sciocchezze che, durante degli incontri, A. T. elargisce ai suoi accoliti, ma ce la mette tutta: legge a più non posso e comincia a cercare un personaggio per la sua storia.

Purtroppo, non è così facile come sembra: egli non è sposato e ha sempre condotto una vita sociale molto povera, ha, dunque, pochi amici da cui trarre ispirazione per un personaggio. Inoltre, capisce ben poco dell’ultimo lavoro di A. T., Sul mio letto è morta Eva (due capitoli del quale formano due interi capitoli de Ṣāʼid al yarqāt) e dei numerosi altri libri che acquistato. Le cose cambiano quando A. T. viene arrestato e l’ex agente sfrutta le sue conoscenze per farlo liberare. Lo scrittore, per riconoscenza, si offre di aiutarlo a scrivere. ʻAbdallāh, ingenuo, crede di essere stato finalmente accolto nella cerchia degli scrittori: accetta di partecipare a incontri a due in un bar lugubre e isolato, dove presenta i suoi primi, in verità pessimi, tentativi, ricevendo dallo scrittore consigli volutamente astrusi e sibillini.

Passano i giorni tra letture e le “indagini” sui suoi probabili futuri personaggi: il massaggiatore, marito di sua zia, pessimo attore che alla fine incontra, imbrogliando, il successo di pubblico; ed il becchino, un suo vecchio amico, che finisce in manicomio. Mentre la sua storia stenta a decollare, l’ex agente cade  nel panico per la scomparsa di A. T.: egli teme, infatti, che questi gli abbia rubato i personaggi e se ne stia servendo per un nuovo romanzo. Ormai disilluso circa la possibilità di intraprendere la carriera di letterato, attraverso le pressioni del suo ex superiore ʻAbdallāh si convincerà a riprendere servizio, con l’incarico di spiare i suoi “nuovi amici intellettuali”. Grazie alle sue nuove frequentazioni, infatti, era entrato anch’egli nella cerchia dei sospetti: avendo saputo che era stato aperto un dossier sul suo conto, questo basta a convincerlo a rientrare in servizio. Il romanzo si chiude in maniera ambigua e intrigante, quando ʻAbdallāh incontra il suo (ormai ex) mentore.

Tratto saliente de Il cacciatore di larve è l’indefinitezza della sua collocazione geografica e temporale. È forte la suggestione di un’ambientazione sudanese: una città senza nome che potrebbe essere sia araba che africana. A ciò corrisponde una caratterizzazione cronologica lasciata “in bianco”: l’uso diffuso di cellulari e altri dettagli, come per esempio i viaggi compiuti dal “massaggiatore” a Dubai per registrare delle pubblicità, fanno pensare agli ultimi 10-15 anni. Scenario del romanzo è una città abbozzata, semplificata, composta dai vari luoghi in cui ci porta la febbre da scrittore del protagonista. Il vecchio caffè Qaṣr al-ğammīz (Castello dei Sicomori), ritrovo abituale di artisti, intellettuali e attivisti politici, trova il suo contrario nel Maqhà al-biʻr (Caffè del pozzo), il locale ambiguo dove A. T. offre la sua “consulenza” all’ex agente, luogo brulicante di tutt’altra vita, di viandanti ed emarginati. Allo stesso modo, ai provinciali e sempre pieni teatri dove “il massaggiatore” costruisce la sua fama, si affiancano le strade affollate e i vari luoghi dove ʻAbdallāh viene portato dalle sue “indagini”, alla ricerca di persone da cui trarre ispirazione. È la densità umana dei personaggi a rendere vivi e reali i luoghi del romanzo. Questi vengono presentati al lettore dallo sguardo di ʻAbdallāh, la voce narrante, che è solo in apparenza lo sguardo distorto di un naïf, scarso conoscitore delle cose del mondo. Egli, in realtà, analizza impietosamente le loro ossessioni e difetti, creando, da un lato, forti effetti umoristici, mentre, dall’altro, mette a nudo molte delle durezze della realtà contemporanea. Così, ai tronfi e magniloquenti intellettuali del caffè fanno da contraltare le cameriere etiopi, rifugiatesi in Sudan da una sanguinosa guerra civile. Similmente, la galleria di bizzarri ed emarginati personaggi che sono stati oggetto dei pedinamenti dell’ex agente si contrappone alle sue poche amicizie e frequentazioni. Tutti i personaggi si muovono in maniera meccanica, quasi marionettistica, accentuata dal fatto di essere indicati, per deformazione professionale, con le sole iniziali. In questo modo lo scrittore conferisce loro un’aura di “assurdità” dalla quale si può, nondimeno, intravedere un’analisi critica della condizione dell’individuo nella società araba.

Non stupisce, quindi, che il protagonista de Ṣāʼid al yarqāt sia molto diverso dal classico protagonista di un poliziesco, nonostante sia altrettanto determinato sia nel perseguire il suo scopo che nell’accettare il proprio destino, fino a diventare quasi una caricatura: il suo rapporto con la realtà si dà attraverso la sua inadeguatezza a comprenderla e interpretarla, cosa che lo rende comico e simpatico. Ignorante e, a tratti, presuntuoso, egli attraversa questa sua parabola formativa (a somma zero) senza cambiare: resta poliziotto dentro (per quanto ne rappresenti un rovesciamento ironico, come suggerisce anche la gamba di legno che si trascina dietro). Non riesce a liberarsi della sua rigidità di pensiero, da semplice ingranaggio del sistema qual è. Al di là della godibile leggerezza del romanzo, a cui grandemente contribuisce la verve stilistica e la vis comica del linguaggio usato, la narrazione scorre fluida, e presenta un leggero grado di intertestualità (oltre ai due interi capitoli del libro di A. T. già menzionati,  si possono leggere i tentativi maldestri di scrittore di ʻAbdallāh).

Romanzo incentrato sul rapporto tra l’intellettuale e la realtà, Ṣāʼid al yarqāt sembra posizionato in un luogo e un tempo (solo in parte) anonimi, il romanzo non è meno permeato della realtà contemporanea di quanto lasci intendere superficialmente: una storia di questo tipo è accaduta in vari posti e momenti diversi, accade ancora e potrebbe accadere di nuovo. L’autore sudanese, con queste pagine, sembra voler dire che, alla fine, è il sistema a vincere sull’individuo, sulle sue aspirazioni. Sono varie, infatti, le ombre che “l’apparato” proietta, minacciose, su una storia solo apparentemente leggera. La polizia è onnipresente nella vita quotidiana di una città ai margini del mondo arabo, esercita una attività di osservazione meccanica, quasi voyeuristica, su di un mondo che sembra così innocuamente lontano dalla Storia. Dall’altro lato, gli intellettuali sono barricati nel loro mondo, impermeabile all’esterno, e, mentre riempiono i loro discorsi di vuote e altisonanti parole, si servono della realtà ad esclusivo vantaggio personale. A. T. (le cui iniziali richiamano, tra l’altro, il nome dell’autore) è una caricatura della figura di intellettuale non meno di quanto ʻAbdallāh Farfār lo sia di un poliziotto, e tali caricature, in entrambi i casi, pongono un’ineludibile e amara critica allo stato delle cose.

Alessandro Buontempo

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 1, giugno 2011

Acquista Back to Anno I, numero 1, giugno 2011

L’Autore

Alessandro Buontempo |