Ameen Rihani, Juhan, cura e traduzione di Francesco Medici, prefazione di Isabella Camera d’Afflitto, Stilo, Bari 2019, pp. 68.

in La rivista di Arablit, a. IX, n. 17-18, dicembre 2019, pp. 151-154.

Personaggio chiave della letteratura del mahǧar, Amīn al-Rīḥānī (Ameen Rihani) fa parte di quella schiera di intellettuali che, a cavallo tra XIX e XX secolo, lasciano la Grande Siria, ancora sotto il giogo ottomano, per stabilirsi negli Stati Uniti. Tratto distintivo degli scrittori arabi del mahǧar è l’impegno per la creazione di una coscienza nazionale moderna nel paese di origine, in una fase di cruciale cambiamento con lo sgretolamento dell’Impero ottomano. La vocazione al cambiamento, all’impegno politico e, soprattutto alla ricerca di libertà, pervade gli scritti – narrativi e saggistici – di Amīn al-Rīḥānī che, oltre a dedicarsi alla scrittura letteraria, si impegna anche in qualità di diplomatico alla ricerca di una possibile configurazione politica del mondo arabo.
Il termine in-between, introdotto da Homi Bhabha (The Location of Culture, 1994) per evocare il posizionamento speciale del migrante “a cavallo di” più universi culturali, più lingue e quindi più modi di pensare e di rappresentare la realtà, ci sembra particolarmente adatto a designare la personalità e l’opera letteraria di al-Rīḥānī: a cavallo tra identità araba e americana, tra lingua inglese e arabo, tra più tradizioni letterarie.
Tra i suoi scritti letterari tradotti in italiano ci sembra particolarmente significativo il Libro di Khalid (traduzione e cura di Francesco Medici, Mesogea, Messina 2014), opera complessa per la sua transgenericità e per il dialogo con più tradizioni letterarie all’interno della quale al-Rīḥānī si dedica al tema della migrazione e dell’incontro tra il personaggio del giovane “orientale” – come al-Rīḥānī stesso lo definisce – e la metropoli newyorkese. Se l’incontro tra mondo arabo e Stati Uniti e il posizionamento ibrido e transnazionale del migrante diventano il simbolo della ricerca identitaria della futura nazione araba, un’altra questione cruciale che viene affrontata da al-Rīḥānī è quella relativa al ruolo delle donne nel cammino sociale e politico verso la modernità. Tale questione si trova al centro di Juhan, romanzo breve che al-Rīḥānī compone in lingua inglese e che compare ora in traduzione italiana ad opera di Francesco Medici, con una prefazione di Isabella Camera d’Afflitto e corredata da un’introduzione all’opera, da una postfazione e da un glossario a cura del traduttore.
Nell’introduzione Medici illustra la storia singolare di questo testo originariamente composto da al-Rīḥānī in inglese nel 1916, ma che resta inedito fino al 2011, anno in cui viene pubblicato in Libano con il titolo Juhan: a Novelette (Notre Dame University Press-Éditions Dar an-Nahar, Beirut 2011). La pubblicazione del dattiloscritto inglese è però preceduta dalla comparsa, nel 1917, della traduzione in arabo dello stesso romanzo breve, ad opera di un altro intellettuale del mahǧar, Abd al-Masīḥ Ḥaddād, nella rivista newyorkese “al-Sā’iḥ” con il titolo di Ḫāriǧ al-ḥarīm (Fuori dall’harem). Sempre nell’introduzione, il curatore fornisce informazioni sull’autore, Amīn al-Rīḥānī e sul suo ruolo nell’ambito della scuola letteraria del mahǧar. Viene inoltre presentata la tematica centrale del romanzo: il ruolo delle prime femministe musulmane nella lotta per l’emancipazione femminile, funzionale all’emancipazione della società nel suo insieme.
Siamo a Costantinopoli, nel corso del primo conflitto mondiale, durante la campagna dei Dardanelli. L’Impero ottomano è ormai alla disfatta, mentre cerca di respingere invano gli attacchi delle truppe da sbarco alleate. La città è nelle mani del generale von Wallenstein che, come mette in luce Medici nella sua introduzione, con tutta probabilità è ispirato alla figura storica del generale Otto Liman von Sanders (1855-1929), capo della missione militare tedesca nell’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale. Al centro della trama c’è la protagonista femminile, da cui viene tratto il titolo dell’opera, e che Medici spiega, sempre nell’introduzione, essere anch’esso con forte probabilità ispirato al personaggio storico di Halide Edib Adıvar (1884-1964), figlia del segretario del sultano ottomano Abdul Hamid II, nota per essere una delle prime femministe musulmane della storia moderna. Juhan, l’eroina del romanzo, condivide numerosi tratti con il personaggio storico di Halide: entrambe orfane di madre, ricevono un’educazione di stampo europeo nella casa paterna, divorziano dal primo marito e sono strenuamente impegnate nella lotta per l’emancipazione femminile e per la sovversione delle istituzioni tradizionali che rappresentano uno svantaggio per le donne, come quella della poligamia. È proprio la poligamia che porta Juhan a lasciare il marito, il principe Seyfüddin, che infrange la promessa di non prendere, oltre a lei, altre mogli. Ferita dal tradimento del marito, Juhan si rifugia a casa del padre, Rıza Pascià, che cerca di avvicinarla ad un lontano cugino, Şükrü Bey, con cui la giovane diventa intima. Juhan è nota a Costantinopoli per il suo impegno sul fronte delle riforme sociali e politiche. Tiene discorsi pubblici, lavora come volontaria all’ospedale, frequenta gli ambienti politici e intellettuali più in vista. Il suo obiettivo è la liberazione, per sé e per tutte le sue “sorelle”, dalla prigionia dell’harem, della poligamia e della sudditanza, fisica e intellettuale, sancita dalle tradizioni patriarcali.
La narrazione ruota attorno ai dissidi interiori della protagonista, mentre l’ambientazione è rappresentata quasi esclusivamente dal palazzo del padre e la città compare solo in modo marginale. L’opera è inoltre contraddistinta da un impianto teatrale che deriva dalla presenza diffusa di lunghi dialoghi tra la protagonista e i vari personaggi, dalla prevalenza delle ambientazioni interne e dal ritmo concitato degli avvenimenti in un lasso temporale assai ridotto. La tematica chiave al centro del romanzo non è tanto la ricerca di un’identità araba o pan-araba funzionale alla nascita della nazione moderna, bensì la necessità di liberarsi dalle tradizioni legate alle religioni monoteiste – in questo caso all’islam – per poter accedere alla modernità. L’islam viene preso come metro di paragone con i valori europei, qui rappresentati dalla presenza tedesca a Costantinopoli – incarnata dal personaggio del generale von Wallenstein – e dalle letture nietzschiane di Juhan.
Il romanzo si apre con il ritrovamento, da parte di Juhan, di un biglietto inviatole dal padre che le ingiunge di non esporsi in pubblico e di evitare di incontrare o di comunicare con il generale von Wallenstein. Rıza Pascià teme infatti che la figlia abbia una corrispondenza segreta con il generale che è perdutamente invaghito di lei e determinato a conquistarla. Juhan spiega al padre che il contatto epistolare con il generale ha il solo scopo di evitare che il cugino, Şükrü Bey, venga inviato al fronte. Nel frattempo Mecîd Bey, il figlio di Rıza Pascià, viene ucciso da un ufficiale tedesco per essersi rifiutato di sparare contro i suoi stessi soldati. Il generale von Wallenstein si reca a casa di Rıza Pascià per consegnare la decorazione imperiale in onore del figlio, ma non viene ricevuto e, dopo una lunga attesa, se ne va contrariato: in quell’occasione avrebbe chiesto la mano di Juhan.
Per vendicarsi dell’affronto subito da Rıza Pascià che lo accusa della morte del figlio, il generale von Wallenstein decide di farlo arrestare, insieme al cugino di Juhan. La donna tenta invano di farli liberare chiedendo aiuto agli uomini di potere che nutrono ammirazione per lei, ma tutti le rifiutano il proprio appoggio. Juhan è sempre più sola, abbandonata dalla sua stessa gente che la ritiene una traditrice dell’islam perché sottomessa all’invasore europeo e perseguitata dal generale che vuole conquistarla a tutti i costi per affermare la propria supremazia. Nel frattempo Şükrü Bey viene fucilato.
Per salvare il padre, la donna organizza un incontro con von Wallenstein, lo seduce e consuma con lui un rapporto carnale. L’indomani scopre però che suo padre è stato assassinato e che von Wallenstein l’ha tradita. Juhan allora invita l’ufficiale nel proprio palazzo, lo narcotizza e lo uccide. Le autorità decidono di insabbiare l’accaduto per evitare sollevazioni popolari: secondo la versione ufficiale, la colpevole è stata condannata a morte, mentre von Wallenstein viene seppellito con tutti gli onori militari. Tre giorni più tardi, Juhan giunge in treno in Anatolia e si insedia in una casa fuori città. L’anno successivo dà alla luce un bambino biondo di nome Mustafa. Juhan ha inoltre ultimato il suo trattato intitolato La nuova Nazione che, insieme al piccolo Mustafa, è il suo più grande dono di speranza per il futuro della Madre Turchia.
Come spiega Medici nella postfazione, il finale della traduzione araba del romanzo differisce da quello dell’originale inglese. Nella versione araba, infatti, dopo aver ucciso il generale, Juhan si suicida in preda ai sensi di colpa.
Nella sua traduzione dall’inglese, Medici sceglie di mantenere le voci turco-ottomane nella trascrizione originale, come spiega nella sezione «Avvertenza per il lettore e ringraziamenti», per garantire maggior fedeltà al contesto di ambientazione del romanzo. Viene specificato inoltre che alcune voci di derivazione araba vengono mantenute nella trascrizione turca scelta da al-Rīḥānī nell’originale inglese. Per quanto riguarda i termini arabi, Medici sceglie di utilizzare la traslitterazione scientifica ad eccezione di quelli ormai entrati in uso nella lingua italiana. Queste scelte traduttologiche ci sembrano condivisibili poiché fondate sulla volontà da un lato di rispettare il più possibile l’aderenza al contesto storico dell’ambientazione, ma dall’altro di permettere al lettore italiano un più agevole accesso al testo. Un elemento apprezzabile è il glossario che Medici annette alla fine dell’opera, il quale fornisce al lettore non solo la traduzione dei termini trascritti dal turco e dall’arabo, ma anche alcune informazioni di carattere storico, politico e geografico utili alla comprensione del contesto in cui si dipana la trama del romanzo.

Martina Censi

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno IX, numeri 17-18, dicembre 2019

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Martina Censi |