Alla scoperta della letteratura dell’Oman: Sayyidāt al-qamar (Le signore della luna) di Ǧawḫah al-Ḥāriṯī (Jokha al-Harthi), Dār al-ādāb, Bayrūt 2010, pp. 223.

Un piacevole modo per accostarsi alla produzione letteraria dell’Oman e alla storia politica e sociale del sultanato, è la lettura del romanzo di Ǧawḫah al-Ḥāriṯī, Sayyidāt al-qamar (Le signore della luna). L’opera è stata premiata come miglior romanzo omanita del 2010 con la seguente motivazione: «per la vivacità della narrazione, la bellezza della lingua, la molteplicità dei personaggi a cui l’autrice dà voce. La scrittrice, attraverso la storia di una famiglia dell’Oman come tante altre, apre una finestra su aspetti più o meno conosciuti della società omanita, su questioni che riguardano l’economia, le relazioni affettive, le tradizioni sociali, le differenze di classe e di etnia, le rilevanti trasformazioni psicologiche e culturali del tessuto sociale. L’autrice ha saputo abilmente coniugare la narrazione con una lingua moderna che ci permette non solo di seguire i fatti nel loro svolgimento, ma anche di apprezzare il ritmo del racconto e la logica dei salti temporali. Il risultato è una sapiente armonia tra forma e contenuto».

L’autrice, che sta preparando un PhD in letteratura araba classica in Gran Bretagna, ha pubblicato raccolte di racconti brevi e di narrativa per l’infanzia. Alcuni dei suoi racconti sono stati tradotti in inglese, e sono consultabili sul sito della scrittrice, http://www.jokha.com/.

Nel suo romanzo, Ǧawḫah al-Ḥāriṯī ricostruisce la storia dell’Oman in un arco temporale compreso tra il XIX secolo e i nostri giorni attraverso le vicende di una famiglia. Dal nucleo centrale composto da Sālimah e ‘Azzān e dalle loro figlie, si dipanano i racconti sulle generazioni passate e quelle a loro successive con una particolare attenzione alle repentine trasformazioni dei modelli sociali. Le storie narrate si sovrappongono l’una all’altra con un andamento che non segue una successione cronologica, ma propongono salti temporali a ritroso, in un periodo che va dagli anni ’30 al nuovo millennio. Tra i vari racconti spiccano quelli legati all’evoluzione della condizione femminile in Oman e quelli sulla pratica della schiavitù, abolita nel paese nel 1970. La storia è ambientata tra l’immaginario villaggio di al-‘Awāfī e la capitale Mascate, pretesto per svelare le diverse facce dell’Oman. Sono presenti anche riferimenti ad altre città arabe come Il Cairo, oppure occidentali, e ai paesi africani da cui provengono gli schiavi.

La narrazione si fa particolarmente interessante laddove la scrittrice rimanda il lettore alle tradizioni, alle leggende e ai detti che fanno parte del patrimonio omanita e fungono da contraltare all’estrema modernità che ha stravolto il paese a partire dagli anni ’80-’90. Il romanzo, infatti, segue la storia dell’Oman dalla diffusione dell’elettricità all’esplosione del modello basato sul consumismo, da un sistema tribale a un mondo globale.

Per quanto riguarda la trama dettagliata, il romanzo si apre con la storia di Miyā, figlia di Sālimah ˗ a sua volta figlia dello šayḫ Mas‘ūd, un importante capotribù ˗ e ‘Azzān, originarie del piccolo villaggio di al-‘Awāfī. Miyā si innamora di ‘Alī il quale parte per andare a studiare a Londra, ma perderà le tracce del ragazzo e verrà data in moglie ad ‘Abdallāh, figlio del mercante Sulaymān, discendente di una famiglia di commercianti di datteri e di armi. Miyā avrà tre figli, la prima è una bambina che nasce nel 1981 a Mascate, e che la madre chiamerà London, in ricordo del suo primo amore, poi nasceranno Sālim e Muḥammad, colpito da autismo, sindrome che convincerà i genitori a non concepire più. Sālimah, nonostante la figlia voglia vivere a Mascate, la obbliga a ritornare al villaggio di al-‘Awāfī e ‘Abdallāh, per questa ragione, sarà costretto a fare la spola tra al-‘Awāfī e Mascate, dove continua a lavorare. Con questo stratagemma narrativo la scrittrice riesce a mettere a confronto la realtà urbanizzata e quella rurale del paese. Da questo primo nucleo di personaggi, inoltre, si dipanano tutte le altre storie.

Alcuni capitoli presentano una narrazione in terza persona e raccontano le vite dei diversi personaggi: di Sālimah e di suo marito ‘Azzān – i due si sposano quando lei ha circa 13 anni e lui solo qualcuno in più; di Miyā e delle sue sorelle Ḫawlah e Asmà, studiosa di letteratura come suo nonno, vissuto durante il protettorato britannico; dei figli di Miyā; di Ẓarīfah e Senghor; del giudice Yūsuf, ecc. Questi capitoli si alternano a quelli in cui la voce narrante è quella di ‘Abdallāh il quale racconta di se stesso, del suo incontro con Miyā e del loro rapporto, dei suoi figli, di suo padre e della storia dei suoi schiavi e della sua famiglia. La storia di ‘Abdallāh si sofferma sulla vita quotidiana nella casa paterna, sulla figura di sua madre, morta quando lui era ancora un neonato, sull’infanzia nel villaggio e sulla scuola, con il maestro Maḥmūd e i suoi compagni tra cui Zayd, che sarebbe entrato nell’esercito, e la cui figlia Ḥafīẓah concepirà tre figlie da altrettanti uomini.

I riferimenti storici citati nel romanzo permettono di seguire più agevolmente i salti temporali proposti dalla scrittrice. In questo modo il lettore ripercorre la storia dell’Oman dal XIX secolo in poi. Interessanti le pagine in cui la scrittrice si sofferma sull’economia del paese basata inizialmente sull’esportazione di datteri (uno dei capitoli finali è dedicato alla figura del commerciante Hilāl, padre di Sulaymān), sulle relazioni tra l’Oman e le regioni limitrofe come l’Afghanistan con cui il sultanato instaura un commercio di armi. In particolare, vengono citati due avvenimenti chiave per la storia moderna del paese: il trattato di Sebt del 1920 ‒ che divide l’Oman interno dalla regione di Mascate e delle zone costiere governate dal sultano appoggiato dai britannici ‒ e la battaglia di al-Ǧabal al-Aḫḍar (Green Mountain) del 1955, in cui alcuni gruppi si ribellano al sultano.

Attraverso tre generazioni di donne si assiste inoltre all’evoluzione della società omanita: Sālimah, Miyā con le sue sorelle, e London. Sālimah, insieme alle sue coetanee, tra cui la moglie del muezzin e la vedova del giudice Yūsuf che detiene il sapere tradizionale. Attraverso le sue storie, vengono descritte pratiche come l’organizzazione dei matrimoni, la preparazione del cibo ecc.

Sua figlia Miyā, invece, comincia a sperimentare le prime conquiste delle donne omanite, come la patente di guida. Le tre sorelle condivideranno il fatto di essere sposate a uomini che non hanno scelto: oltre Miyā, Asmà sposerà Ḫālid, figlio di ‘Īsà detto “l’emigrato”, laureato in belle arti e pittore, rientrato dal Cairo con la famiglia che vi si era trasferita dopo gli avvenimenti degli anni ’50. Con lui la ragazza vivrà una bella storia d’amore. Ḫawlah, invece, rifiuterà una serie di partiti perché innamorata di suo cugino Nāṣir, emigrato in Canada, che ha interrotto gli studi e vive di espedienti. Egli non darà sue notizie fino a quando sarà costretto a rientrare dopo la morte della madre. Alla fine Nāṣir sposerà Ḫawlah, entrerà in possesso dell’eredità lasciatagli dalla madre e, due settimane dopo il matrimonio, tornerà in Canada dove convive con una donna occidentale a cui non dirà niente del suo matrimonio precedente, e con cui vivrà per altri dieci anni. Durante questo periodo rientrerà ogni due anni in Oman per vedere il suo nuovo nato e mettere di nuovo incinta Ḫawlah. Nāṣir tornerà definitivamente in Oman solo dopo che la donna canadese lo avrà lasciato, mentre Ḫawlah si rassegnerà a una vita senza amore.

London viene incoraggiata a studiare e a imparare l’inglese da sua madre Miyā, la quale le fa frequentare le scuole delle missioni americane. London è ormai una donna emancipata e un medico affermato, si sposerà e poi divorzierà, anche se nel paese continueranno ad esistere manifestazioni di maschilismo. Un esempio è la storia di Ḥanān, un’insegnante amica di London, la quale viene stuprata insieme ad altre sue colleghe in una scuola del sud del paese da alcuni adolescenti che irrompono nell’abitazione in cui vivono.

Alle diverse storie d’amore si aggiunge quella tra ‘Azzān, sposato con Sālimah, e la sua amante Nāǧiyah, soprannominata “Luna”, una donna libera e intraprendente. Attraverso la storia di ‘Azzān si raccontano altre tradizioni beduine del paese, contrapposte alla natura contadina degli abitanti di al-‘Awāfī .

Con la famiglia vive Ẓarīfah, nata nel deserto il 25 settembre 1926, data del trattato di abolizione della schiavitù di Ginevra, dalla schiava ‘Anqabūṭah, detta “canna di bambù” per la sua altezza. Ẓarīfah viene venduta, al compimento dei sedici anni, dallo šayḫ Sa‘īd, mercante di schiavi e zio di Sālimah, al commerciante Sulaymān, padre di ‘Abdallāh, di cui diventerà la schiava e concubina. Ẓarīfah sposerà poi Ḥabīb, originario del Belucistan il quale, a un certo punto della storia, sparirà senza lasciare traccia. Dai due nasce Senghor, che porta il nome di suo nonno, e la cui figlia sposerà poi un omanita. Alla morte di Sulaymān, nel 1992, Senghor deciderà di partire per il Kuwait. La storia del nonno di Senghor parte, invece, dal Kenia dove viene tratto in schiavitù all’età di venti anni. Da qui lo spunto per ripercorrere la storia della tratta degli schiavi provenienti per lo più dal continente africano a partire dal 1845, anno della firma del secondo trattato contro la schiavitù tra i continenti africano e asiatico. Senghor viene portato a Zanzibar e, da qui, in Oman, dove verrà affidato allo šayḫ Sa‘īd. Senghor si sposerà e avrà due figli maschi e una femmina, ‘Anqabūṭah.

Nel capitolo finale, decisamente onirico, si vede ‘Abdallāh con i figli London e Muḥammad ‒ il figlio autistico ‒ sulla riva del mare, che ha una visione di suo padre, morto, e lascia scivolare suo figlio sulla superficie dell’acqua, allusione, forse, al futuro incerto del paese alla ricerca della propria identità.

Nonostante il folto numero di personaggi, le storie dei singoli si intrecciano in modo da non confondere il lettore. In questa sorta di saga omanita Ǧawḫah al-Ḥāriṯī non propone personaggi stereotipati, anzi si nota una particolare attenzione a non cadere in facili ritratti delle donne e degli uomini omaniti, e descrive un universo poco conosciuto anche all’interno dello stesso mondo arabo.

Monica Ruocco

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno I, numero 2, dicembre 2011

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Monica Ruocco |