Alba Rosa Suriano, Il teatro indipendente nella società politica egiziana. Nascita, evoluzioni e prospettive, Centro Editoriale Toscano, Firenze, 2010, pp. 209.

La sera del primo marzo del 1887, su un piccolo teatro preso in affitto dal Circolo Gaulois, fu messo in scena il primo spettacolo ideato da André Antoine che, da quella sera, inaugurò l’esperienza del cosiddetto Théâtre Libre. Nato dagli auspici di uno scritto composto da Zola nel 1881, Il naturalismo a teatro, dove veniva espressa la necessità di allargare il naturalismo al teatro, Antoine si faceva portavoce di un’istanza di cambiamento nella mise en scène come nell’articolazione degli spettacoli teatrali che si richiamassero ad una doverosa riforma che solo un teatro indipendente poteva portare avanti. In una eguale cornice, per certi aspetti, si inserisce la nascita del teatro indipendente in Egitto, le cui espressioni e rivendicazioni vengono analizzate nello studio di Alba Rosa Suriano Il teatro indipendente nella società politica egiziana.
Attenta a segnalare sin dall’inizio una difficoltà puramente definitoria, volta a creare una netta separazione da “teatro amatoriale” e “teatro indipendente”, dovuta alla mancanza di precipui atti distintivi, Suriano sembra volere evadere da possibili fraintendimenti e cercare piuttosto un compromesso: la studiosa si attiene innanzitutto ad una constatazione di Nehad Selaiha, secondo cui «[…] ci sono moltissime troupes che si definiscono “indipendenti”, anche quando la loro definizione dovrebbe essere quella di “amatoriali”. È importante quindi stabilire cos’è amatoriale e cosa professionista, cos’è indipendente e cosa non lo è» [p. 36]. In seconda istanza Suriano riporta i dibattiti che hanno segnato il sorgere di questa corrente teatrale tra coloro che vi hanno visto un movimento politico (Selaiha), altri che lo hanno ricondotto ad un’esperienza sociologica (Sa‘īd al-Imām), per poi rimandare al drammaturgo scozzese Andrew McKinnon [p. 37] che primariamente segnala una precisa distinzione tra “amatore” e “professionista”, ma che ha soprattutto il merito di calare il tutto all’interno della cornice egiziana, dove il dibattito assume connotazioni particolari dovute ad un contesto in cui l’attività professionale esula dal puro guadagno, non garantendo in tal senso, a chi la pratica, di poter realmente vivere dei suoi proventi. Il principio di un teatro indipendente come “quarta via” nella società politica egiziana per coloro che operavano nel mondo del teatro è, forse, la strada da preferirsi per tentare di capire sino in fondo questa esperienza artistica i cui esordi si collocano nel 1990.
Il volume si compone di sei capitoli, corredati da una bibliografia oltre che da un’interessante appendice finale che arricchisce il testo, poiché, in questa parte, emerge il merito della ricerca sul campo operata da Suriano che, pur attenendosi ai testi autorevoli composti sulla storia del teatro arabo, cerca una propria strada per andare ad aprire ai lettori un ulteriore spiraglio da cui osservare la produzione teatrale egiziana. L’opera appare strutturata secondo un principio che dal generale muove verso il particolare, nella prospettiva di indagare diversi aspetti di questo fenomeno culturale. Da un punto di vista generale, è soprattutto nel terzo capitolo che si colloca un’indagine di carattere storico, politico e culturale volta a dar ragione delle concause che hanno contrassegnato la nascita del teatro indipendente egiziano, le cui manifestazioni non possono assolutamente scindersi dal momento storico nel quale si sono sviluppate. Per motivi di natura prettamente pratica, Suriano ammette di volersi occupare solo di sei delle dieci compagnie teatrali che hanno dato vita al movimento indipendente con la preparazione e messa in atto del primo Festival del Teatro Libero. Di ognuna di queste compagnie la studiosa è pronta a segnalare caratteristiche e peculiarità, che vanno dal legame con la tradizione del teatro delle ombre di cui fu artefice la compagnia al-Waršah (Il cantiere), di cui si ricorda soprattutto lo spettacolo Ghasir el-Leil (Maree della notte), dove viene messa in evidenza l’abilità dei cantastorie e il riutilizzo della tradizione, per poi passare alle messe in scena che riprendono le Mille e una Notte, tipiche della compagnia al-Misaḥḥarātī, i cui spettacoli sono contrassegnati dall’uso del tamburo – cui si riconduce il titolo della compagnia stessa, versione egiziana del lemma classico misaḥḥar, colui che suona il tamburo – , con la preparazione di scene che hanno il sapore di quadretti popolari in cui si assiste al racconto di facezie.
Suriano segnala inoltre le attività della compagnia Masraḥ al-badīl, vale a dire del cosiddetto teatro alternativo, di cui si evidenzia l’alternarsi tra un impianto minimalista, dovuto alla scarsità delle risorse economiche, e uno decisamente più articolato, nato da maggiori finanziamenti ottenuti grazie all’intenzione di portare sulla scena adattamenti di opere straniere. Di questo teatro alternativo è interessante, tra le altre cose, osservare la precisa volontà di cambiamento, di cui si ha testimonianza grazie all’organizzazione di un forum sorto con l’auspicio di fornire alternative alla gente e creare un vero e proprio ponte tra l’élite e la società. Il fondatore della compagnia, Maḥmūd Abū Dūmā (Abou Doma), aveva infatti osservato: «The poor people in this country, which is 80 or 90 percent, don’t have an opportunity to dream, because their lives are occupied by butter and bread. We’re trying to reach them with these performances» [p. 74].
La predilezione per il ghetto, concepito come luogo in cui si può mettere in scena il teatro indipendente, con una propensione per impianti scenici dal forte impatto visivo, accompagna invece le attività della compagnia Shrapnel (Scheggia); per quanto concerne la compagnia al-Ma‘bad (Il tempio), voluta da Aḥmad al-‘Aṭṭār (Ahmed el-Attar), tra le cose più interessanti Suriano segnala la messa in scena, nel 1998, di al-Lağnah (La commissione), un’opera trilingue in arabo, francese e inglese. Lo spettacolo non mancò di suscitare opposizioni, con il parere sfavorevole del Ministero che vi aveva visto, in alcune parti, un impianto offensivo nei confronti dell’esercito. La studiosa riporta, in particolare, i dettagli di una scena in cui un cameriere viene chiamato come fosse un cane ed egli, sorprendentemente, si mette a quattro zampe, comportandosi proprio come l’animale: Suriano ritiene che, a tal proposito, venga trasmesso al pubblico «[…] un senso di oppressione e di violenza, un clima di brutalità creato dalle strutture del potere patriarcale, militare, politico, burocratico, culturale ed ideologico» [p. 88].
Le istanze rivendicate da André Antoine segnalate all’inizio si riconducono all’esperienza del teatro indipendente egiziano solo in parte: le aspirazioni del Théâtre Libre si legano alla scena egiziana limitatamente a quel che riguarda l’esigenza di modernizzare il repertorio e renderlo più accessibile, sotto diversi aspetti, al pubblico; nulla vi è invece di corrispondente, nel teatro egiziano, nell’esperimento di Antoine di reagire al predominio del “grande attore” ottocentesco. Il teatro egiziano si colora, ovviamente, di nuances totalmente differenti e che si ricollegano al preciso momento storico e politico coevo all’Egitto degli anni Novanta. el-Sawy, autore del manifesto con cui nel 1990 si annunciava la nascita del teatro indipendente, si è fatto da sempre promotore dell’importanza dell’autonomia dell’arte e dell’artista, da un punto di vista ideologico e economico. Secondo lui «[…] questo movimento deve essere svincolato dalle trame della burocrazia, che imbrigliano le istituzioni governative, e della censura, che soffoca la libertà d’espressione» [p. 57]. el-Sawi è comunque vicino ad Antoine quando rivendica un nuovo modo di fare teatro, lontano dalle forme classiche precostituite e ormai desuete tipiche di un teatro statale, come dalle rappresentazioni quasi cabarettistiche di quello privato. Questa spinta alla modernità, all’indipendenza, lega le diverse parti di cui è composto il volume di Alba Rosa Suriano, che dalle origini di questa espressione artistica conduce poi all’analisi dei repertori delle generazioni emergenti, sino ad approdare ad una rassegna riguardante i più interessanti Festival che hanno ospitato spettacoli afferenti al teatro indipendente. La parte conclusiva consta di un’appendice in cui l’autrice riporta le interviste realizzate a diversi esponenti del mondo teatrale, che rendono, in generale, quest’opera particolarmente densa di spunti di riflessione che offrono una prospettiva ulteriore sulla produzione teatrale dell’Egitto.

Ada Barbaro

This is an Article from La Rivista di Arablit - Anno III, Numero 6, dicembre 2013

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